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Il Cilento Antico e “Il canto dei cumpràti

di Pasquale Martucci

 

I rituali rappresentano “una connessione tra passato, presente e futuro” e rendono possibile “continuità e cambiamento”. Sono modelli istituzionalizzati nei quali vengono attualizzate e messe in scena conoscenze e pratiche collettivamente condivise. I riti sono legati alle azioni non alle parole: “sono processi corporei codificati simbolicamente (…) si svolgono nello spazio, vengono condotti da gruppi e sono determinati normativamente”. (C. Wulf, 2002)

 

Pur nella consapevolezza che le società umane non sono immodificabili, non sono chiuse ma adottano le novità che giungono dall’esterno, metabolizzandole, rielaborandole e facendole proprie, occorre tuttavia considerare l’importanza dei rituali tradizionali nella conservazione e nella trasmissione della cultura, riaffermando le credenze e gli ideali collettivi fondamentali della comunità. (M. Aime, 2013) Essi si manifestano soprattutto nelle occasioni festive, durante la celebrazione di un evento legato al “vissuto emotivo dei partecipanti” ed inteso come cornice del “complesso rituale”, delle azioni cerimoniali compiute dalla popolazione. (P. Apolito, 2014)

Intesi come “una struttura d’azioni sequenziali, di ruoli teatrali, di valori e di finalità, di mezzi reali e simbolici, di comunicazioni attraverso sistemi codificati” (C. Rivière, 1998), i riti sono da un lato evasione totale dalla storicità dell’esistenza e dall’altro funzionali al mantenimento delle regole della società, come sosteneva Ernesto de Martino. Si tratta di “un’operazione collettiva di autodifesa” dell’uomo di fronte ad eventi, in cui “l’esserci non è garantito”, che mettono in luce tutta la fragilità e inconsistenza del suo essere al mondo, essere “presente nel mondo”. Egli troverebbe riparo “nella ripetizione di gesti che inquadrano, rielaborano, superano gli eventi traumatici e permettono di affrontare le paure e le difficoltà vissute dall’individuo di cui si fa carico tutta la comunità”, superando la “crisi e il dramma della presenza” e realizzando il “riscatto”. (cfr.: lavori di e su E. de Martino)

I riti religiosi, che sono più resistenti ai cambiamenti in quanto ripropongono valori culturali consolidati, non lasciano spazio ad azioni che non siano formalizzate: si tratta di comportamenti abitudinari inseriti nelle categorie di tempo e luogo; predomina il linguaggio simbolico; viene messa in scena la rappresentazione di un teatro popolare di origini e tradizioni arcaiche, attraverso l’esecuzione di azioni, movimenti e gesti. (C. Wulf, 2002)

Tutto ciò per introdurre una rappresentazione ricca di simboli e significati: “Il canto dei cumpràti” (confratelli, appartenenti alle cungrèe, congreghe, confraternite), che si svolge nella zona del Monte Stella nel Cilento Antico, il Venerdì Santo. In questo territorio sono state costituite le confraternite di: Acciaroli, Agnone, Cannicchio, Cosentini (o detta della “Socia”), Celso, Fornelli, Laureana, Lustra, Matonti, Mercato Cilento, Montecorice, Omignano, Ortodonico, Perdifumo, Pollica, Rocca Cilento, San Giovanni, San Mango, S. Mauro Cilento, Santa Lucia, Serramezzana, Sessa Cilento, Stella Cilento, Valle e Vatolla.

I riti della Settimana Santa sono importanti come momento di “meditazione collettiva sul mistero della morte” e al tempo stesso di esorcismo della stessa. Questa meditazione, in accezione religiosa, è nei fatti non “una conclusione senza speranza dell’esistenza, ma un passaggio tragico verso la nuova vita”. (A. Cattabiani, 1988)

Il lavoro proposto vuole seguire una prospettiva sincronica, ovvero lo studio delle confraternite secondo un metodo antropologico che mette in rilievo, partendo comunque dallo sfondo storico di riferimento, la vitalità e la funzionalità del fenomeno nella società attuale, evidenziandone ruolo e funzioni, significati e valori. (M. Arduini, 2005)

L’origine delle confraternite risale al VII secolo, quando si iniziano a formare le prime comunità religiose di laici, ma solo alla fine del XV secolo si consolidano nel territorio cilentano. La loro missione era legata alla preghiera per i vivi e per i morti, alle opere buone per la salvezza delle anime proprie e di quelle dei confratelli. Tra le loro finalità sono da rilevare l’assistenza materiale e spirituale ai bisognosi, l’aiuto alle giovani spose che devono procurarsi la dote per sposarsi, ma anche forme di incentivo alle attività artigianali ed agricole. La costituzione delle confraternite è riconosciuta canonicamente in una parrocchia con formale decreto dell’Autorità ecclesiastica, con compiti regolati da uno Statuto e con una organizzazione al cui vertice ci sono un Priore e un Consiglio degli Anziani, detto dei “mazzieri”, ovvero coloro che portano un bastone durante le solenni cerimonie. Il bastone è associato al potere, ma anche alla saggezza, alla autorevolezza: Salomone dopo la sua morte restò in piedi appoggiato al suo bastone e di conseguenza attestò la “sua dirittura e rettitudine morale”. Il bastone è poi l’attributo del pellegrino e ne facilita la marcia, ma rappresenta anche “il contatto rigenerante con la terra madre”. (C. Morel, 2006)

La confraternita è stata sempre una associazione pubblica di fedeli, finalizzata specificamente all’incremento del culto ed alle opere di carità, ha sempre dato importanza alla penitenza, alla catechesi e all’evangelizzazione. Diverse norme ecclesiali hanno negli anni disciplinato le regole delle cungrèe, facendo abbandonare le forme penitenziali esasperate e perseguendo un atteggiamento più religioso e spirituale. E’ una associazione uguale per tutti, senza personalismi: le differenziazioni sono solo quelle di coloro che ricoprono incarichi particolari, per il resto si tratta di un ordinamento democratico, gestito comunitariamente e senza alcuna egemonia.

Un tempo le confraternite si incamminavano a piedi e raggiungevano i paesi limitrofi, oggi si viaggia in prevalenza con i bus. Il campanilismo era esagerato ed esasperato e spesso per una mancata precedenza o per un errato saluto si litigava in modo violento, soprattutto quando si era sotto l’effetto di alcolici che venivano offerti dalla popolazione con generosità. Partendo dai paesi di appartenenza e per omaggiare i “sepolcri”, le confraternite fanno il giro dei borghi più importanti, per sfidare le altre consorelle in una sorta di competizione canora inneggiante la vita e la passione di Cristo, della Madonna e dei Santi. Il canto è una sorta di sublimazione della voce per “elevare il corpo e metterlo al servizio della fede e della spiritualità”. Si tratta di un supporto espressivo dell’emozione, della pietà, della gioia o della tristezza, dell’estasi e della compassione che accompagna i riti e le cerimonie. Nel caso delle confraternite, il canto è commovente e lamentoso, “un appello al perdono, all’espiazione, all’adorazione reverenziale”. (C. Morel, 2006)

I canti dei cumpràti sono caratteristici: riprendono le antiche melodie contadine, le laudi, che meditano sulla passione di Cristo nel periodo della Settimana Santa. In molte occasioni, oggi si intona il “miserère in tono gregoriano melismatico”: si tratta di un canto melodico, “che carica su una sola sillaba testuale un gruppo di note ad altezze diverse, modulando l’intonazione senza interrompere l’emissione vocale”, con un preciso significato liturgico che esprime la gioia eterna e divina. Il canto, sia quello religioso che profano, è molto importante e diffuso in questa zona: i confratelli, con le insegne e le divise del proprio borgo, si recano in processione nelle chiese dei casali vicini, poi concludono il loro percorso nella propria parrocchia. (cfr.: “canto gregoriano melismatico”)

L’etnomusicologo Maurizio Agamennone ha sostenuto che “è su questo territorio che da secoli si compie il piccolo rito penitenziale cilentano”, ovvero quella sorta di “pellegrinaggio che mette in movimento reciproco”, durante la Settimana Santa, “tutti i sodalizi attivi, estendendosi a coprire e marcare l’intera area del Monte Stella”. I cumpràti effettuano un percorso circolare tra le navate della chiesa intervallato dai canti, l’elemento più caratteristico della cerimonia. Di forte carica emotiva sono il “miserère in latino e i pianti della Madonna”. (M. Agamennone, 2008)

Assistendo ai canti del Venerdì Santo nel Cilento Antico, Agamennone notò una certa originalità: “i tratti di tipicità consistono soprattutto nella linea melodica prevalente e nel sostegno su note tenute di bordone eseguite da cantori che qui nella tradizione delle congreghe chiamano bassi”. Un’altra caratteristica tipica della zona è individuabile in certe forme di emissione della voce; spesso si tratta di “una voce ingolata che produce notevoli effetti armonici nella regione acustica”. (A. Di Rienzo, 1990)

Tutte le fasi del rituale sono caratterizzati da simboli e significati antichi, riconducibili alla religiosità popolare. Il tratto distintivo dei confratelli è l’abito indossato: una larga tonaca che ricorda le manifestazioni pubbliche di espiazione dei peccati del mondo. L’indumento essenziale è un camice bianco con cappuccio, che richiamano da un lato la tunica indossata da Gesù nella Via Crucis e dall’altro il cappuccio inteso come protezione e conservazione dell’energia spirituale. Tra gli altri elementi simbolici: un corto mantello (mozzetto), differente per ogni cungrea, che si riferisce alla “cappa magna” di un dignitario non religioso e rievoca la protezione, la difesa, l’impenetrabilità; il cingolo è la corda portata ai fianchi che richiama alle funi con cui fu legato Cristo (si tratta di una corda con diversi nodi, di numero dispari, che ricordano i momenti della “Passione”); lo stemma, il “signum”, riporta l’effigie del Santo che caratterizza la confraternita; un lungo bastone un tempo, insieme al cingolo, era simbolo di umiltà e penitenza (in genere lo porta il priore, i confratelli che ricoprono cariche importanti e i più anziani). I colori, che da soli evocano e sostituiscono le parole, come veicolo di comunicazione a livello simbolico si situano verso l’alto (l’uomo che si colloca tra la terra e Dio) e verso il basso (in rapporto al corpo). Nel caso delle cungrèe richiamano i loro tratti distintivi: il bianco è il colore delle cappe indossate un tempo dai flagellanti; il rosso è il fuoco della carità che infiamma il cuore e il simbolo assoluto della divinità; il marrone richiama l’Ordine Carmelitano; l’azzurro è il  colore della Madonna; il nero è il simbolo della terra che ha dato la vita e che ospita anche il ritorno con la morte. (C. Morel, 2006)

Il rito de “Il Canto dei cumpràti” si caratterizza per un inizio (l’opera di vestizione e il raduno prima di iniziare il pellegrinaggio), uno svolgimento (l’intera giornata con tutti i momenti di canto e preghiera e i movimenti ripetuti di anno in anno) e una conclusione necessaria per chiudere con profondo trasporto la giornata di passione e penitenza.

Osservando le forme rituali de “Il canto dei cumpràti”, si possono rilevare i seguenti elementi caratteristici:

  1. gli abiti tipici dei confratelli, come strumento di significazione e comunicazione, rappresentano, insieme ai loro simboli religiosi, la specificità della propria comunità di appartenenza (C. Pont-Humbert, 1997);
  2. il pellegrinaggio/processione, inteso come ricerca religiosa e “ricordo o riproduzione del cammino spirituale verso Dio”, è da cogliere come metafora del viaggio tra comunità limitrofe, in cui avvengono scambi culturali e momenti di socializzazione. Il pellegrinaggio è spinto dalla “pietà itinerante nel cui quadro si inscrive e si impone la necessità di superare una frontiera, di operare una separazione con il contesto comune” (C. Morel, 2006);
  3. la cerimonia ufficiale si sviluppa in un tempo e in un luogo prefissato (chiesa), con un rituale corale per intonare i canti. La sosta al sepolcro è suggestivo: il bacio (adorazione) che i confratelli a coppia in ginocchio eseguono davanti al Sepolcro, con tre inchini di cui due simultanei verso gli altari e uno tra due confratelli;
  4. i comportamenti dei partecipanti sono legati ai gesti, ai movimenti, alle espressioni, alla preghiera, al canto. Si è mantenuto in molti casi il battito disciplinae (flagellazione) con cordicelle: i confratelli si percuotono tre volte la schiena per espiare le colpe. Questa azione serve a purificare l’individuo e a provare la sua fede, ad espiare le colpe o i crimini. (cfr.: Pont-Humbert, 1997; C. Morel, 2006)

Per la confraternita, è importante il momento della penitenza, il processo di conversione a Dio attraverso il riconoscimento del peccato e il proposito di una vita santa. Considerando che la fede senza le opere è morta, la religione popolare ha sempre dato importanza alle opere di penitenza, contrizione e riparazione per permettere di “elevarsi per sbarazzarsi dagli errori commessi”, alle attività caritative non disgiunte dal culto pubblico. (C. Morel, 2006)

Nella “Summa Theologiae”, Tommaso d’Aquino, riprendendo Sant’Agostino quando rilevava che “il peccato è privazione di misura, bellezza e ordine”, sostenne l’importanza di una vita corretta e giusta per l’educazione e la partecipazione del popolo alla “Verità rivelata”. Da ciò, risulta evidente come colui che non riesce a pentirsi e a chiedere perdono riceve, tramite l’uso della disciplina, la grazia da Dio di pentirsi e diventare umile: flagellandosi libererà il suo cuore dall’orgoglio e dalle passioni. La flagellazione si pone anche come “atto mistico investito del potere di aumentare il fervore spirituale”. (C. Morel, 2006)

Questi sono i simboli e i significati che caratterizzano “Il canto dei cumpràti” nei paesi del Cilento Antico. Si tratta di rituali che influenzano profondamente la vita delle comunità: vengono riproposti anno dopo anno con comportamenti e funzioni che esaltano la religiosità popolare, nonostante oggi molti turisti sono soprattutto interessati ad ascoltare le voci dei confratelli che, con i loro tratti distintivi, i loro costumi, i loro simboli, entrano ed escono dalle chiese e percorrono le strade dei paesi, preceduti dall’intonazione di un miserère.

 

Riferimenti bibliografici

 

Riti e tradizione popolare:

A. Cattabiani, 1988, “Calendario. Le feste, i miti, le leggende e i riti dell’anno”, Rusconi Libri; C. Pont-Humbert, 1997, “Dizionario dei simboli, dei riti e delle credenze”, Editori Riuniti; C. Rivière, 1998, “I riti profani”, Armando; J. Cuisenier, 2001, “Manuale di tradizione popolare”, Meltemi Editore; C. Wulf, 2002, Rito, in (a cura di C. Wulf) “Le idee dell’antropologia”, Bruno Mondadori; M. Arduini, 2005, “Conflitti, rituali, identità. Analisi antropologica ed etnografia di campo dall’Alto Lazio”, in “La ricerca folklorica”, n. 52, Grafo; C. Morel, 2006, “Dizionario dei simboli, dei miti e delle credenze”, Giunti Editore; M. Aime, 2013, “Cultura”, Bollati Boringhieri; P. Apolito, 2014, “Ritmi di festa. Corpo, danza, socialità”, Il Mulino.

Ernesto de Martino:

E. de Martino, 1948, “Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo”, Bollati Boringhieri; E. de Martino, 1995, “Storia e metastoria. I fondamenti di una teoria del sacro” (a cura di M. Massenzio), Argo; G. Sasso, 2001, “Ernesto De Martino fra religione e filosofia”, Bibliopolis Napoli; C. Gallini (a cura di), 2005, “Ernesto de Martino e la formazione del suo pensiero”, Liguori; A. Signorelli, 2015, “Ernesto de Martino. Teoria antropologica e metodologia della ricerca”, L’Asino d’oro edizioni.

Confraternite, cungrèe:

E. La Greca, A. La Greca, A. Di Rienzo, 1984, “Usi e costumi del Cilento”, CI.RI. Cilento Ricerche; A. La Greca, 1991, “Il Folklore”, Centro Promozione Culturale del Cilento; P. Martucci, A. Di Rienzo, 1999, “Il sacro e il profano”, Ed. Studi e Ricerche; A. La Greca, 2016, “Storia delle confraternite nel Cilento (diocesi di Vallo della Lucania)”, Centro Promozione Culturale del Cilento.

Canto rituale:

A. Di Rienzo, 1990, “Il canto delle confraternite”, Il Mezzogiorno Culturale, Anno III n.11; M. Agamennone, 2008, “Varco le soglie e vedo”, Edizioni Squilibri; Le informazioni relative al: “canto gregoriano melismatico”, sono tratte da: https://it.cathopedia.org; www.treccani.it/enciclopedia; https://www.musicacolta.eu (altro…)

2 Responses to “Simboli e Rituali – Il Cilento Antico e “Il canto dei cumpràti””

  1. Prof. Vincenzo Esposito

    I riti confraternali cilentani
    si chiariscono meglio solo se vengono comparativamente
    accostati ad altri due momenti rituali del comprensorio
    cilentano: il Pellegrinaggio al Santuario della Madonna
    della Stella, della metà di agosto, sulla cima dell’omonimo
    monte, e i diversi rituali del “Volo dell’Angelo”
    che si svolgono in alcuni paesi della stessa zona in occasione
    della festa di S. Michele arcangelo. Ritengo che
    tali momenti rituali, costituiscano tre modi complementari
    di rappresentazione performativa dell’identità
    culturale cilentana che oscilla tra una possibile apertura
    verso una “alterità” limitrofa (riti confraternali) ed una
    forma ristretta, quasi autarchica e difensiva, di identità
    locale (“Volo dell’Angelo”). Senza trascurare il momento
    della totale con-fusione rituale in una forma identitaria
    molto ampia e molto più genericamente cilentana, senza
    distinzioni di campanile (pellegrinaggio alla Madonna
    della Stella). Sulla comparazione dei tre momenti si è svolta,
    diretta dal sottoscritto, una ricerca etnografica.
    In sintesi, penso che i cortei processionali dei
    confratelli cilentani possano rappresentare ritualmente
    in tentativo di “pacificazione tra gruppi e comunità
    potenzialmente rivali e antagonisti”. Ma di questo ho
    già scritto altrove così come ho già detto che altri
    rituali dello stesso contesto mettono in scena il tentativo
    di difendere un’identità locale più ristretta dall’intrusione
    dell’alterità e della diversità (“Volo dell’Angelo” e
    combattimento teatralizzato con il diavolo). Così
    come ho anche già scritto che, nel Pellegrinaggio alla
    Madonna del Monte della Stella, ritualmente i confini
    identitari vengono simbolicamente allargati a tutte le
    comunità comprensoriali che diventano così depositarie
    di una teorica e generale forma di cilentanità.
    (Cfr. Esposito, Vincenzo, Dal Cilento verso Capri.
    Feste mediterranee della provincia di Salerno.
    Ischia Ponte (NA), Imagaenaria, 2005).

    Prof. Vincenzo Esposito

    • Pasquale Martucci

      Ho letto con interesse il commento del prof. Vincenzo Esposito per le sue argomentazioni e per la specificazione dei tre momenti rituali che costituiscono “la rappresentazione performativa dell’identità culturale cilentana”. In questo scritto ho rilevato solo uno dei rituali legati alla cultura popolare religiosa di questa terra, credo che, come ho già fatto in passato, anche in futuro concentrerò le attenzioni su altre e differenti dinamiche socio-culturali di questo territorio. Questo sito, come ho più volte sostenuto, è aperto agli interventi di tutti coloro che vogliono rilevare l’importanza di una cultura che, per costruire e porre le basi del suo futuro, rivolga sempre uno sguardo verso il passato, verso la nostra tradizione.

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