Nella criticità della vita di oggi, occorre che l’individuo ripensi un “nuovo umanesimo” che tenga conto della storia e della cultura dei popoli e si rivolga alla società futura. Molti interventi hanno proposto questa tesi al Festivalfilosofia, che si è svolto a Modena, Carpi e Sassuolo dal 13 al 15 settembre 2019.
“Osa sapere” tra notum e novum
di Pasquale Martucci
“Dobbiamo attrezzarci per capire e renderci amico questo futuro carico di complessità e incognite, perché sono in gioco e in discussione le nostre identità consolidate e rassicuranti: l’identità culturale, incalzata dall’avvento di culture altre; l’identità professionale, scalzata dai robot; e la stessa identità personale, che vede tramontare le parole ‹‹padre›› e ‹‹madre›› così come le abbiamo pronunciate e vissute per millenni”. (1)
Pensiero lungo e dialogo tra saperi per difendere la democrazia: questo l’intervento di Ivano Dionigi, l’ex rettore dell’Alma Mater Studiorum, a Modena nell’ambito del Festivalfilosofia. (2)
I vari studiosi, che si sono alternati nelle piazze delle tre città emiliane, sono stati invitati ad argomentare, come di consueto, su una parola chiave: quest’anno si è trattato del termine “persona”, declinato entro alcune piste tematiche: 1. genealogie della persona; 2. maschere e volti; 3. lessico dell’individuo; 4. io e noi; 5. sé come altro; 6. diritti della persona; 7. lezioni dei classici.
Per delimitare il campo di osservazione, mi pare importante considerare l’idea di una “persona” che vive in relazione con gli altri e costruisce la propria comunità, aperta alle più diversificate istanze e bisogni.
Ed allora l’individuo/persona ha un ruolo centrale se legato alla polis, alla funzione cioè politica, oggi attuale, come del resto lo stesso concetto di identità tra differenze ed uguaglianze, tra un io che necessariamente diventa un noi, in cui lo status di “persona” diventa “personalità”, ovvero relazione che permette di realizzare l’autonomia entro “leggi e valori”. Quest’ultima asserzione è del filosofo tedesco Michael Quante che, a proposito di “autonomia personale”, sviluppa il concetto di autocoscienza, cioè i comportamenti etici in una dimensione valoriale nel rispetto e in interazione con gli altri. (3)
Del resto, l’uomo è animale pubblico che ha logos e stabilisce ciò che è utile, giusto, bene, oltre ad essere dotato della formulazione di giudizi. Ed allora si forma la polis, in funzione di qualche scopo. Per il professore emerito di “Storia della filosofia antica”, presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, Giuseppe Cambiano, l’uomo è “iscritto per natura a vivere in comunità”. Da qui il compito della cultura, sull’esempio dei popoli del passato che intendono la partecipazione delle “persone” alla vita civica. (4)
Parlando di Atene, Cambiano sottolinea l’esistenza di una forma complessa e articolata di democrazia, che permette la partecipazione alle decisioni attraverso la rotazione delle cariche pubbliche, accessibile ai cittadini con sistemi di elezione e di sorteggio. (5)
E, prendendo spunto da Platone, si riferisce ad un esercizio del potere esercitato con sapere e saggezza (episteme e phronesis) non tanto per svolgere specifiche competenze, quanto per governare e deliberare bene sulla città nella sua interezza. (6)
Seguendo questa traccia, non poteva non trovare spazio e consenso l’intervento del professore Ivano Dionigi che in piedi, proteso verso il numerosissimo pubblico, difende l’intelligenza e la ricerca del logos in una società imbarbarita non solo dall’arrivo dei “barbari”, ma ormai incattivita ed incapace di affrontare le sfide della complessità.
Offrendo esempi tratti dalla lingua latina, oggi i termini andrebbero compresi nel loro significato reale, Dionigi sostiene che abbiamo bisogno di intelligere, ovvero cogliere / legere il dentro / intus e le relazioni inter delle cose; invenire, trovare il notum, dimenticato, e inventare il novum che ci viene prospettato. (7)
Già queste argomentazioni paiono essere esplicative contro le chiusure che ci circondano.
Una stoccata dal palco è verso l’uniformità di una lingua (l’inglese), che è “contro la storia e la natura dei singoli e dei popoli (…) perché ogni individuo o popolo è dotato del proprio logos”. Non è possibile non seguire l’esempio: “in varietate concordia” (unità nelle diversità), il motto del Parlamento europeo del 4 maggio 2000. (8)
Un momento particolarmente atteso è stata la puntualizzazione delle parole che permettono alla persona di relazionarsi con le persone. Il caso citato riguarda il termine hostis: un tempo era lo straniero con diritti pari al civis, non nell’accezione di ostile e nemico, ma nel duplice significato di ospitato e ospitante, di qui hospes (ospite), ovvero chi era accolto e si impegnava a ricambiare (il concetto di reciprocità). (9)
Il professore fa l’esempio dei romani: il civis per eccellenza è Enea che subordina le esigenze personali alla vocazione politica; poi, Romolo che costruisce le mura molto più ampie delle necessità del suo tempo; infine, la realizzazione di un impero che aveva concesso la cittadinanza a coloro che provenivano da altre parti del mondo. (10)
Tutto ciò porta alla cultura dell’et et, contrapposta a quella dell’aut aut, ovvero dell’aumentare e non del sottrarre, e tutto ciò sarà fondamentale per la costruzione di una persona aperta e attenta alla complessità. (11)
Per parlare della più stretta attualità, come non rilevare il caso del termine populismo, da popolo, ma ormai non più inteso secondo l’accezione di res publica. Il populus dovrebbe riconoscere il diritto (consensus iuris) e il bene comune (communio utilitatis). (12)
E’ ora necessario guardare al presente, al futuro e alla “rivoluzione tecnologica”, che è partita dalla frammentazione e trasformazione dei saperi, che andrebbero ricondotti entro la rivalutazione e l’interdisciplinarietà dell’osa sapere, il titolo del suo ultimo libro.
Oggi, il problema è la possibile creazione di qualcosa che ci supera e ci sopravvive, che è destinato a mettere in difficoltà noi stessi, esseri “imperfetti e destinati alla fine”.
“Di fronte a questo progresso scientifico e tecnologico vertiginoso e destabilizzante l’uomo per la prima volta rischia di sentirsi inferiore rispetto agli effetti che ha causato, ai prodotti che ha creato, alle macchine che ha costruito”. (13)
La soluzione è la politiké techne. Citando il “Protagora” di Platone e la “Politica” di Aristotele, narra di Prometeo che consegna il fuoco agli uomini per proteggerli dalla natura e dalla ferocia degli animali. Ma gli uomini continuano a farsi la guerra perché conoscono solo la tecnica, ed allora Zeus fa intervenire Hermes affinché doni agli uomini l’arte della politica: l’uomo, infatti, è il solo essere vivente destinato alla polis, sempre però accompagnata dal logos. La politica in grado di risolvere il problema è affidata a colui che sa, il filosofo, non al demagogo che vende solo illusioni, che “ti consola e ti dice quello che tu vuoi sentirti dire”. (14)
Riflessioni che intende rendere ancora più esplicite, riscuotendo il lungo applauso della folla stipata in piazza Duomo:
“Oggi la politica sconta nuove prove e contraddizioni, identificata al vertice con un certo leaderismo di seconda mano e alla base con una moltitudine di piccoli superuomini che danno vita a una sorta di niccianesimo di massa”. (15)
Il professore ora arringa quelli che potrebbero essere suoi studenti: del resto a chi rivolgersi se non ai giovani, agli uomini che costruiranno il futuro?; e li esorta a comprendere la differenza “tra lo spazio e il tempo” e la coabitazione tra il qui e ora (hic e nunc) e l’ovunque e sempre (ubique et semper). (16)
Questa la prima possibile indicazione.
L’altra è il modo di coniugare il novum e il notum, ovvero il presente del sapere tecnologico con il noto della storia del pensiero umanistico.
“E avvertiamo, altresì, la necessità di un dialogos, un’intesa tra i diversi mondi, linguaggi, saperi: un orizzonte e uno sguardo panoramico da affidare a un nuovo umanesimo inteso (…) come pensiero lungo che tenga insieme e spieghi i diversi punti di vista”. (17)
La conclusione non poteva non riguardare il ruolo della scuola, in primis l’università, da intendere: come extraterritorialità (all’interno della polis); come internazionalità (relazione con l’esterno); come autonomia (dotata di legge propria ma non chiusa); come comunità (cum e munus / dono); come scienza (mettere in discussione i propri obiettivi). Il tutto attraverso i codici della tradizione (affidare e dare) e traduzione (trasferire), ovvero identità e alterità. (18)
Come Platone ed Aristotele designavano il filosofo in grado di formare le menti dei cittadini, così Ivano Dionigi ritiene importante il compito dell’insegnante, il magister, colui che sa di più (magis) e che si mette in relazione con gli altri (ter). (19)
E quel magister non deve dimenticare di valorizzare il passato, in quanto “la tradizione è salvaguardia del fuoco e non adorazione delle ceneri” (20): si possono solo così affermare quei saperi che formano gli uomini per realizzare l’umanesimo, inteso nella formula di Cicerone come studia humanitatis. (21)
Gli scroscianti applausi del pubblico accompagnano ora il professore all’uscita del consesso.
Le sue parole hanno declinato alla perfezione l’importanza del termine “persona”, una categoria che entra a pieno titolo nella cultura europea attraverso autonomia, diritti, dignità, soggettività, diversità, reciprocità, ma sempre in azione / relazione con le forme sociali e politiche. Ritengo che, in questa accezione complessa, si può esprimere l’essenza compiuta di questo termine, centrale nel dibattito filosofico e non solo.
Note
- I. Dionigi, “Il presente non basta. La lezione del latino”, Mondadori, Milano 2016, p.99.
- I. Dionigi, “Senza barbari, cosa sarà di noi?”, Lezione magistrale, Festivalfilosofia, Modena 14 settembre 2019.
- M. Quante, “Autonomia personale”, Lezione magistrale, Festivalfilosofia, Modena 14 settembre 2019.
- G. Cambiano, “Politica” di Aristotele, Lezione dei classici, Festivalfilosofia, Modena venerdì 13 settembre 2019.
- G. Cambiano, “Come nave in tempesta. Il governo della città in Platone e Aristotele”, Editori Laterza, Bari 2016, p.7.
- Ivi, p.23.
- I. Dionigi, “Osa sapere. Contro la paura e l’ignoranza”, Solferino RCS Media Group, Milano 2019, pp.12-13.
- La citazione è contenuta nei volumi di I. Dionigi: “Il presente non basta. La lezione del latino”, cit., p.19; “Osa sapere. Contro la paura e l’ignoranza”, cit., pp.21-22.
- I. Dionigi, “Osa sapere. Contro la paura e l’ignoranza”, cit., pp.25-26.
- I. Dionigi, “Il presente non basta. La lezione del latino”, cit., p.59; cfr. anche, “Osa sapere. Contro la paura e l’ignoranza”, cit., pp.28-29.
- Cfr.: I. Dionigi: “Il presente non basta. La lezione del latino”, cit., p.111; “Osa sapere. Contro la paura e l’ignoranza”, cit., p.33.
- I. Dionigi: “Il presente non basta. La lezione del latino”, cit., p.58; “Osa sapere. Contro la paura e l’ignoranza”, cit., p.38.
- I. Dionigi, “Osa sapere. Contro la paura e l’ignoranza”, cit., p.50.
- Ivi, pp.54-55.
- Ivi, pp.56-57.
- Ivi, p.60.
- Ivi, pp.63-65.
- Ivi, pp.72-74.
- Ivi, p.85.
- La frase è di G. Mahler, riportata all’inizio del volume di I. Dionigi: “Il presente non basta. La lezione del latino”, cit.
- I. Dionigi: “Il presente non basta. La lezione del latino”, cit., p.76.
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