Dopo aver affrontato la relazione tra il noi comunitario e il noi relazionale, fondato sul concetto di empatia, attraverso cui l’ego si rapporta alla coscienza d’altri, e ripensato il cum, inteso come mettere in comune con l’altro, stare insieme, ovvero esporsi all’alterità, riprendo il pensiero di un filosofo, scomparso il 23 agosto 2021, che già anni fa aveva parlato di “comunità inoperosa”.
Nell’ultimo decennio del novecento, si sviluppò un interessante dibattito sul concetto di comunità, che metteva in discussione l’idea che essa fosse da intendere “come quella sostanza che connette determinati soggetti tra loro nella condivisione di una comune identità”. In questo modo, la comunità appariva legata all’idea di proprio, ovvero di appropriarsi di quanto è comune ed era legata ad una appartenenza reciproca. I suoi membri risultavano “avere in comune il loro proprio, essere proprietari del loro comune”. (1)
Il dibattito di cui riferisco si sviluppò intorno al concetto di comunità, dopo la pubblicazione di due volumi, in cui il filosofo Jean-Luc Nancy mostrava come la comunità, nonostante le sue aporie e i suoi disastri, pur essendo esposta al ricorsivo mito della sua assenza, specie in Occidente, non possa non esserci. (2)
Le argomentazioni su quel concetto appaiono particolarmente evidenti in un volume curato da Ugo Perone, che riprese il seminario della Scuola di Alta Formazione Filosofica, che si tenne a Torino tra il 23 e il 25 maggio 2011, per argomentare Intorno a Jean-Luc Nancy, approfondendo le tematiche del suo pensiero. Nancy in quel consesso aveva predisposto una relazione dal titolo: Che cos’è il collettivo, ed intorno a quel lavoro si svolse un dibattito ricco e stimolante. (3)
Il proposito di Nancy era di accertare che la definizione di comunità non poteva essere univoca, in quanto nel mondo moderno si avvertono i segnali “della dissoluzione, della dislocazione o della conflagrazione della comunità”. Per lui, la comunità è definita non soltanto come la comunicazione intima dei suoi membri fra loro, ma anche come la comunione organica di se stessa con la propria essenza. In ogni momento della storia dell’Occidente, il sentimento dominante è sempre stato quello di una nostalgia per una comunità più arcaica e ormai perduta.
Per il filosofo, la comunità è l’essere “in comune”, ovvero l’esposizione all’alterità; è la necessità di ripensare il cum come ciò di cui e a cui dobbiamo rispondere. La comunità ci è data, oppure noi siamo dati secondo la comunità; di conseguenza “non è un’opera da fare, ma un dono da rinnovare, da comunicare”. Nancy parla di comunità inoperosa, “una comunità che non mette in opera alcuna comunità”. È per questo che la direzione dell’essere-in-comune, dell’essere-insieme, non rappresenta un rapporto astratto o immateriale o una sostanza in comune: la comunità è un essere in comune, essere uno con l’altro o essere insieme. Io sono “io”, solo se posso dire “noi”. (4)
Qui l’elemento relazionale è essenziale, come sostiene Nancy in: Che cos’è il collettivo, nel lavoro poi curato da Perone. E ciò perché esistere è essere rivolti “agli altri, al mondo o ai mondi, alle lingue, ai pensieri, alle sensazioni, alle figure, ai suoni, alle piante e agli animali”. Crede che si possa vivere e pensare in uno spazio in cui tutto inizia e finisce con dei “soggetti”. Specificando meglio, ognuno è un rapporto, nasce da un rapporto ed entra egli stesso in una quantità di rapporti. Se non sta in questo status, non esiste.
Si realizza qualcosa di collettivo, che precede le singolarità, e queste ultime provengono dall’essere insieme. Il semplice “uno” esige molti “uno”, e la loro pluralità li precede e li eccede. Tuttavia non vi è certamente pluralità senza singolarità, ed esse sono contemporanee al loro essere-insieme. Questa è la sostanza comune. Si potrebbe dire che l’“umanità” consiste in una circolazione, manifestazione del linguaggio, la circolazione del “senso”, che è quella del “mondo” in generale. L’universo non è un dato grezzo e in-sensato di “cose”, sopra le quali verrebbe ad articolarsi un logos. Nella circolazione, il “comune” e il “particolare” sono completamente e intimamente intrecciati. (5)
Tarditi, occupandosi della fenomenologia di quel concetto, rilevava che se riflettiamo sulla nostra esperienza dell’alterità, ci accorgiamo che l’altro è dinanzi a noi in persona, in carne e ossa. L’altro comunica “come corpo fisico, ma è anche una coscienza intenzionale i cui vissuti sono tuttavia inaccessibili alle nostre sintesi costitutive. L’esperienza dell’altro implica dunque sempre un’intenzionalità indiretta, la quale non può mai tramutarsi in presenza primaria: si tratta dunque di una sorta d’atto di presentificazione, d’una specie di rappresentazione”. Ecco la condizione di “possibilità appercettiva dell’analogia tra il mio corpo e quello dell’altro”. La somiglianza tra il mio corpo e quello altrui agisce in modo tale che il corpo fisico che mi si manifesta è percepito come un corpo organico simile al mio. (6)
L’autore si rifà a Husserl e alla sua idea di empatia, definita: “una forma particolare di esperienza attraverso cui l’ego si rapporta alla coscienza d’altri”. Non può coincidere però con l’altro, perché ciò comporterebbe l’assunzione immediata da parte dell’ego degli stessi vissuti dell’altro. Si tratta piuttosto di un atto di presentificazione, un’esperienza di una coscienza empatizzata, il punto di vista di un’altra coscienza. Se da un lato ciò che l’alter ego vede è strettamente connesso a ciò che vedo io stesso, dall’altro lato io non posso mai avere una visione diretta dei suoi vissuti, in modo tale che la mia esperienza e la sua rimangono sempre separate. (7)
La relazione tra l’empatia e il dato empatico è sempre mediata: il mio sguardo si issa sugli atti intenzionali altrui, tuttavia non vi accede direttamente, ma sotto la forma di un’analogizzazione. L’altro è un altro polo egologico, analogamente a me: tuttavia è un altro individuo, dunque un alter ego, un altro punto di vista, un’altra prospettiva sul mondo.
La questione dell’intersoggettività in Husserl, sostiene Tarditi, finisce quindi per oscillare tra la rivendicazione dell’ego trascendentale, secondo la via intrapresa dalle Meditazioni cartesiane di Husserl, e l’apertura nei confronti di una decentralizzazione dell’ego e una tematizzazione più profonda dell’empatia, soprattutto come chiave per entrare in comunione con lui, in ragione del comune essere corpi organici. (8)
Note:
- Marcantonio E., Comunità e co-esistenza, in “Intorno a Jean-Luc Nancy”, a cura di Ugo Perone, Rosenberg & Sellier, 2011, pp. 20-24.
- Nancy J.L., La comunità inoperosa, Cronopio 2013, 1983; Nancy J.L., Essere singolare plurale, Einaudi, 2021, 2001.
- Perone U., Intorno a Jean-Luc Nancy, cit.
- Marcantonio E., cit.
- Nancy J.L., in Intorno a Jean-Luc Nancy, cit., 13-19.
- Tarditi C., Intersoggettività e pluralità, in Intorno a Jean-Luc Nancy, cit., pp. 123-128.
- Ivi.
- Ivi.
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