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La cultura non è solo un modo di pensare, ma anche di interpretare il mondo sociale e individuale: mentalità, comportamenti, “un insieme più o meno coerente di pensieri e azioni”. L’esito di tutto ciò è un processo, che agisce su una “cultura storicamente determinata” (S. Abbruzzese, Modernità e individuo, Scholé Morcelliana, 2016).

La cultura è legata al materiale (macchinari, mezzi, oggetti), ma anche ad invenzioni e cambiamenti tecnologici. Si parla anche di cultura adattiva (non materiale), formata da istituzioni sociali (famiglia, scuola), sistemi di valori (leggi, tradizioni, costumi, modi di vivere), istituzioni politiche (governi, associazioni).

Siamo in presenza di un universo di vita quotidiana in cui si sviluppano relazioni: non è un mondo naturale, ma una risposta dell’individuo all’esigenza di costituire una collettività, considerando che la cultura specifica della stessa fa scaturire norme e principi e non solo semplice conoscenza.

La cultura è “mondi di significato”, anche in termini di autonomia e di chiusura, pur essendo un ambiente in cui vive l’individuo, che può avere dei confini mobili non necessariamente coincidenti con gli altri attori sociali con i quali si trova ad interagire. Eppure, se prevale l’idea di culture al plurale, le stesse risultano problematiche per una organizzazione intellettuale di cui è difficile sbarazzarsi. È il nostro modo di pensare che porta a concepire l’idea di cultura al singolare, perché la stessa può rivelarsi importante per esplorare il modo in cui l’umanità abita il suo contesto locale.

In questa prospettiva, il locale (il territorio oggetto di osservazione è il Cilento) può essere visto come “vita quotidiana”, attività ripetitive e pratiche ridondanti, che si svolge in situazioni fisse e alle quali le persone partecipano attraverso un “faccia a faccia”, rapporti duraturi e inclusivi, una specifica identità.

Oggi si parte dal presupposto che l’analisi si focalizza sulle rappresentazioni dei soggetti in relazione alle loro pratiche che, proprio come le rappresentazioni, sono determinate dal loro essere parte di un mondo sempre più globalizzato e de-localizzato. Si pone l’obiettivo di far emergere configurazioni di pratiche sociali, di simboli, di stili di vita, più o meno stabili nel tempo e nello spazio, senza mai dimenticare il carattere aperto all’influenza del globale, l’alterità.

La dialettica locale/globale è la tendenza alla continuità culturale e all’innovazione, allo scopo di evidenziare le interconnessioni esistenti al mondo in un’ottica di apertura e accettazione cosmopolitica delle differenze culturali. Salvaguardando le differenze e presentando una concezione più articolata della realtà, si supera il rischio di omologazione culturale.

L’antropologo Ulf Hannerz ha posto il problema del loci della cultura, ovvero dove essa si colloca (U. Hannerz, La complessità culturale. L’organizzazione sociale del significato, Il Mulino, 1998, or. 1992).

Sono importanti: gli attori sociali e le pratiche che svolgono (nel loci); i prodotti culturali (arte, letteratura, musica). La cultura è ovunque , anche se rientra nelle dinamiche di flusso, e dunque presuppone idee di movimento e evoluzione. È l’utilizzo della metafora del fiume: “un fiume da lontano appare come qualcosa che possiede una suggestiva immobilità. Ma allo stesso tempo, esso scorre in continuazione, e soltanto in tal modo mantiene la sua continuità nel tempo. Così accade per la cultura: anche quando se ne percepisce la struttura, questa è interamente dipendente da un processo continuo”. (U. Hannerz, La diversità culturale, Il Mulino, 2001, or. 1996)

Hannerz introduce il termine ecumene globale, un’espressione che deriva dalla parola greca “oikoumene” e indica la casa in cui tutti viviamo, ma anche la condizione dell’uomo contemporaneo che vive in un mondo senza più confini tra i diversi paesi e le diverse società, condividendo uno spazio culturale comune, nel quale gli elementi globali vengono recepiti e riformulati localmente.

Poiché complessità e dinamismo regolano il tutto, dovremmo finalmente arrivare a pensare la cultura non come un’entità fissa, monolitica, ma come qualcosa in costante movimento ed evoluzione.

L’ecumene globale è idonea ad indicare l’“interconnessione del mondo che avviene per mezzo di interazioni, scambi e sviluppi correlati, che riguardando anche l’organizzazione della cultura”. Molte persone possono condividere parecchi “habitat di significato” che potrebbero anche risultare del tutto estranei e incomprensibili fra loro.

Se le comunità tradizionali hanno perso i confini abituali in cui si definivano e in cui si proteggevano, e diventano molto permeabili, porose rispetto alle altre, in questa prospettiva lo stesso termine loci non viene inteso come il contenitore di una cultura, ma come un centro di incontro e intreccio di elementi culturali. Esisterebbe cioè, al di là del nostro esserne più o meno coscienti, un continuo incontro tra la dimensione locale (la nostra comunità, il luogo dei nostri legami parentali, amicali e professionali) e quella globale (stranieri che portano con sé da luoghi lontani modelli culturali differenti).

Una indicazione interessante è quella sul concetto di genius loci (P. Martucci, Del Cilento e del suo Genius loci, Susil Edizioni, 2023), riconducibile al fatto che i luoghi sono caratterizzati da una commistione di vita materiale e immateriale e si guadagnano l’anima, attraverso un processo di deposito, di accumulazione di affetti, che viene operato dalle diverse generazioni di persone che li hanno abitati. Ho definito il genius loci come l’immaginario sociale, lo spirito, l’anima, l’atmosfera che si respira, ma anche i colori, gli odori, i suoni, il linguaggio della popolazione, il silenzio. Esso permette di mantenere: l’identità di un gruppo (o di un luogo) ed assicura la continuità affettiva nei momenti di trasformazione e cambiamento; il sentimento di appartenenza, ma anche la possibilità di scambio tra ciò che viene riconosciuto come interno al gruppo e ciò che è invece considerato come esterno ad esso; la partecipazione e la cura del contesto/luogo;­ la conservazione e la trasformazione di oggetti e luoghi da estranei in familiari e accoglienti.

I Greci ed i Romani pensavano che i luoghi potessero avere un’anima e diventare sede di un genius loci, perché ciascun luogo è legato ad un particolare nume tutelare: un dio minore e locale che non risiedeva sull’Olimpo, ma in una certa città, collina o campagna. Ve ne erano di vari tipi: le Ninfe vivevano nelle fontane, nei ruscelli e nel mare, non erano immortali, ma in genere avevano una lunga vita; le Naiadi, ninfe delle sorgenti e dei laghi, apportavano fecondità; le Driadi erano spiriti degli alberi, dei boschi e delle foreste.

Nella cultura è importante la capacità di produzione, riproduzione e distribuzione/consumo. Pierre Bourdieu focalizza l’attenzione sulla pratica sociale, l’apprendimento, riproduzione e modifica del mondo sociale, per realizzare l’habitus che permette di vivere nel mondo. È l’idea di movimento e di appropriazione dell’attore sociale. Il mondo si caratterizza per una relazione dialettica, dove ogni elemento coinvolto influisce sull’altro, “in un processo continuo”. Esso trova “il suo dispiegarsi all’interno di particolari universi e mondi sociali”, tra strutture oggettive e costruzioni soggettive, dove si relazionano beni materiali (risorse economiche norme sociali, istituzioni) e schemi mentali incorporati (comportamenti, atteggiamenti, emozioni, sentimenti). L’habitus è la capacità di vivere le situazioni; una specie di mappa dell’esistenza quotidiana, insieme di principi regolatori, di pratiche, di modi di porsi rispetto alle situazioni che si affrontano; quell’istinto che ci fa prendere una strada al posto di un’altra. Il senso pratico è “invenzione attiva inventiva”, la capacità creatrice, che è quella di un soggetto che agisce. L’habitus è da intendere come un sistema vivente: flessibile, con capacità di adattamento. È un principio generativo prodotto della storia dell’individuo, un’esperienza sociale “incorporata e interiorizzata”. (P. Bourdieu, Ragioni pratiche, Il Mulino, 1995, or. 1994; Il senso pratico, Armando, 2005; Sul concetto di campo in sociologia, Armando, 2010; Cose dette. Verso una sociologia riflessiva, Orthotes, 2013, or. 1987)

Ann Swidler (Culture in Action: Symbols and Strategies, in “American Sociological Review”, 51, 1986) introduce il Patrimonio Culturale, ciò che ha effetti durevoli sull’agire sociale. È una cultura documentata che dà rilievo alla struttura sociale (con attenzione ai simboli, significati e pratiche svolte).

Non è possibile analizzare oggetti di studio (culturali) dal contesto sociale (Cilento), perché la cultura è luogo per esplorare pratiche (la cultura immateriale). La cultura è prodotta mediante l’attivazione di processi creativi, distributivi, ricettivi, tutte le forme materiali e immateriali di un territorio.

Tutto ciò permette la relazione tra produzione culturale, contesto sociale e fruizione per realizzare la circolazione di cultura, la combinazione dei processi, che avvengono attraverso un continuo e dialogico tra produzione e consumo e interazioni reciproche.

Sosteneva Franco Crespi (Manuale di sociologia della cultura, Laterza, 1996) che i cambiamenti delle forme culturali non nascono solo dall’adattamento delle “mediazioni simboliche” alle condizioni esterne, ma sono il risultato della creatività che emerge all’interno della cultura.

Esistono nella cultura almeno due spazi: estetico e sociale. Nel primo prevale l’esperienza emozionale; nel secondo il rapporto tra stasi e cambiamento, con la propensione a realizzare forme di esperienza. Lo spazio estetico permette di superare quello sociale consolidato, attraverso l’elemento creativo.

Nell’incontro tra i due spazi si intrecciano i paesaggi della cultura, in cui “la capacità immaginativa degli individui è trasformata in fatto collettivo”. Arjun Appadurai (Modernità in polvere, Meltemi, 2001, or. 1996) parlava di immaginazione nella vita sociale, che permette di realizzare molteplici visioni di vita possibile. In realtà non è univoca la possibilità, ma sono tante in riferimento alle sensibilità che si realizzano nel rapporto uomo/territorio. È fondamentale l’immaginazione e la possibilità creativa che permettono di produrre cultura attraverso il ruolo delle “industrie culturali” definite creatività diffusa.

Il mondo culturale va ripensato come un palcoscenico nel quale è possibile il cambiamento con un interprete creativo che si muove tra contesti e loro rappresentazione.

Una questione essenziale nel Cilento, connotato da una forte identità e moltissime risorse, si può individuare nello sviluppo sostenibile puntando sul turismo culturale, una delle poche strade per invertire la tendenza dell’abbandono e dello spopolamento.

Si può parlare di turismo culturale in quanto esiste un ricco patrimonio storico, archeologico e architettonico e si sta affermando una nuova consapevolezza di viaggiare all’insegna della cultura, che permette ad arte e storia di fondersi con la ricerca di saperi e sapori locali, visite di luoghi e paesaggi, partecipazione ad eventi e feste tradizionali.

Il turismo culturale deve essere in questo territorio: il luogo eletto a simbolo della propria esistenza, da intendere come esperienziale (rapporto estetico), sperimentale (ricerca), esistenziale (centro dell’esistenza).

Il Cilento è certamente un territorio vasto che racchiude una grande varietà di risorse: di conseguenza, sembra importante rivolgersi a questo ambito per individuare una possibile prospettiva.

Con il Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano, si possono individuare alcune condizioni che caratterizzano l’intera sub-regione: gli interessi storico-territoriali; il patrimonio artistico, architettonico e naturale; la vita e la cultura materiale; il linguaggio e l’oralità; le feste e gli eventi.

Si può fare qualcosa, magari utilizzando la modernità tecnologica, i servizi e le possibilità territoriali per esaltarne le ricchezze. I processi culturali e le nuove strategie volte alla costruzione sociale sono oggi affidati alle nuove reti, le tecnologie digitali che aprono nuovi scenari soprattutto per le nuove generazioni. (A. Baldazzi, A. Gentile, T. Valentini, La creatività. Prospettive e orizzonti di ricerca nelle scienze umane e sociali, Mimesis, 2022)

Per fare questo, occorre ricerca e conoscenza: realizzare iniziative che valorizzino i centri storici e facciano vivere le “pietre”, il passato, che non deve restare muto e silenzioso, coinvolgendo le nuove generazioni che devono fruire tutto ciò che c’è di buono della nostra cultura, e trovare in essa le possibilità future, uno sbocco per modificare le cose statiche ed immutabili.

Il nesso tra culturacreatività e sviluppo locale ha bisogno di un potenziamento e di una valorizzazione, costruendo le condizioni economiche, ambientali e istituzionali che facilitino l’emersione della cultura nelle sue molteplici espressioni.

È importante la costruzione di un dialogo tra soggetti per condividere una particolare “cultura di regole”: un fare e rifare continuo all’interno di un rapporto reciproco, senza trascurare la dimensione territoriale, la cultura e la riflessione intorno alle risorse presenti, con l’obiettivo di ancorare l’elaborazione teorica all’analisi della vita quotidiana, per permettere ai giovani di recuperare il rapporto con la loro cultura e con la comunità di appartenenza. (Cfr.: P. Martucci, Culture Immateriali, in corso di pubblicazione)

Questo comporta l’attuazione di interventi e di incentivi per riattivare l’economia locale mediante modernizzazione e reinterpretazione di attività tradizionali, con una particolare attenzione alla valorizzazione del Patrimonio Culturale Materiale e Immateriale Unesco.

Il territorio si deve indirizzare non solo alla cultura dello sviluppo ma anche allo sviluppo della cultura, ovvero ad una dimensione che permette di acquisizione l’attitudine a conoscere, conservare e diffondere la storia e la cultura dei luoghi. La sfida è di trasformare l’arretratezza in opportunità, in fattore competitivo di sviluppo, puntando sul paradigma identitario espresso nell’assioma “prodotto/ territorio”, come leva di sviluppo integrato da rimodulare in chiave contemporanea realizzando interventi mirati per valorizzare i borghi più interni.

 

 

2 Responses to “La cultura del territorio”

  1. Sergio Mantile

    Bellissimo articolo, caro Pasquale. Mi ha ricordato uno degli imperativi del sociologo, che ho fatto mio da decenni. In particolare, quello del grande Wright C. Mills, quando, ne L’immaginazione sociologica, afferma che il sociologo dovrebbe individuare – e descrivere – le connessioni tra gli elementi della vita quotidiana, che sono sotto gli occhi di tutti e attengono alla percezione quotidiana, e i processi di alto livello che li hanno determinati, e che non sono immediatamente visibili. L’esperienza della realtà avviene nella vita quotidiana, attraverso proprio le finestre, le griglie culturali. Sono quelle griglie, più o meno cangianti,che ci permettono di conoscere, ricordare ed utilizzare il territorio che ci identifica.

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