Dieci anni fa si spegneva Natuzza Evolo, una donna che ha rappresentato, nella cultura popolare religiosa, un forte legame tra gli individui e le forme devozionali ed ha dato speranza e benessere, alleviando le sofferenze e permettendo il superamento di quelle che Ernesto de Martino definiva le “crisi della presenza”.
Il corpo di Natuzza
di Pasquale Martucci
“Parlare del tema della morte non significa risolvere ogni cosa sul piano intimistico tralasciando di analizzare la dimensione sociale delle morti (…) L’attività di Natuzza è in nome della vita; della vita dei superstiti, cui ridà sguardo e parola; dei morti, cui assicura continuità; in sintesi, di una comunità rifondata nella quale vivi e morti possono continuare in relazione: la vita è nel rapporto, è il rapporto” (1).
Ignorando le perplessità e le prese di distanza della scienza, per oltre mezzo secolo decine di migliaia di persone, provenienti da posti lontani e compiendo estenuanti percorsi, si sono incamminate per incontrare una mistica e chiederle, attraverso la preghiera e il linguaggio universale dell’amore, di alleviare le loro sofferenze e i loro dolori.
Fortunata Evolo, chiamata dalla sua gente “Mamma Natuzza”, era nata in Calabria, a Paravati, il 23 agosto 1924 (è morta il 1 novembre del 2009), e vissuta in quella realtà del mezzogiorno particolarmente desolata e povera. La sua storia è suffragata da testimonianze dirette non solo compiute da semplici persone credulone, ma da preti, medici, psichiatri e studiosi laici. Fin dal 1939, la donna pare avesse poteri inspiegabili: bilocazione; colloqui con Gesù Cristo, la Madonna, gli Angeli; contatto con i defunti; stimmate e effusioni ematiche; capacità di diagnosticare le malattie e suggerire le cure.
Il “fenomeno Natuzza” non è passato inosservato: molti se ne sono occupati realizzando diversi volumi; anche se intendo riferirmi alla lunga e complessa attività di studio, compiuta dall’antropologo Luigi M. Lombardi Satriani, che ha seguito negli anni il percorso della mistica, anche attraverso incontri e visite personali. Si è occupato di lei perché ne aveva sentito parlare fin da ragazzo, era originario di San Costantino di Briatico, a pochi chilometri da Paravati: nel 1978 realizzò alcuni documentari; nel 1981, pubblicò il libro: “L’assenza del presente”, tratto dai filmati; nel 1982, con Mariano Meligrana, scrisse: “Il ponte di San Giacomo. L’ideologa della morte nella società contadina del Sud”; nel 1984, girò il film con una troupe RAI, che fu proiettato presso Università ed Enti di cultura. Nel 2006 fu pubblicato il volume: M. Boggio, L.M. Lombardi Satriani, “Natuzza Evola. Il dolore e la parola”, che conteneva proprio questi documenti, oltre che alcuni interventi effettuati da studiosi di differenti discipline, che hanno inteso esprimere idee e testimonianze sulla donna dei miracoli (2).
L’antropologo ha interpretato il “fenomeno Natuzza”, anche se non ha potuto spiegare ciò che accade perché non è possibile “identificare il patrimonio inconscio”, osservando direttamente la emografia (gli scritti con il sangue delle sudorazioni), le stimmate, il suo parlare con i morti, la trasmissione del pensiero, la trance, e tutti gli altri fenomeni paranormali. Le sue argomentazioni, raggruppate in un lungo arco temporale, rilevano i limiti delle spiegazioni razionali e sono riconducibili entro quelle forme di aggregazione comunitaria che si ispirano alla religione popolare, all’utilizzo di miti e riti, segni e significati simbolici. E’ ciò che è sempre accaduto nelle culture fondate sulle capacità di far fronte agli eventi negativi, proprio come asseriva Ernesto de Martino e tutta la schiera di antropologi che ne hanno ereditato metodi di ricerca e capacità di inserire i fenomeni entro la complessità culturale.
Lombardi Satriani sostiene che ci sono limiti alla ragione, anche se in genere ci riteniamo depositari degli strumenti conoscitivi, e allo stato attuale non si possono interpretare questi fenomeni: per comprendere l’altro a volte è necessario rinunciare magari alla “razionalità” e rivolgere la nostra intelligenza al cuore e alla sensibilità (3).
La donna di Paravati, descritta senza formulare giudizi valutativi, era certamente molto religiosa: il 5 novembre 2009, ai suoi funerali, nel piccolo centro calabrese, giunsero circa trentamila persone per assistere alla messa. Oltre cento sacerdoti e cinque vescovi celebrarono il rito funebre. Fu sottolineata la spiritualità della donna, la semplicità e il senso di obbedienza all’autorità ecclesiastica, alle indicazioni della Chiesa: riusciva a comunicare con tutti, mettendo il fedele in contatto con la spiritualità, con Dio. Le trentamila persone certamente non stavano lì solo per attestare la fede della donna: a quei funerali si levò un coro di voci per chiedere la santità per la mistica. E non furono solo istanze popolari; infatti con il passar del tempo, e negli ultimi anni di vita della donna, il clero ha riconosciuto l’importanza della sua opera nella comunità. Nel novembre 2018, papa Francesco ha autorizzato l’avvio del processo di beatificazione, aperto ufficialmente il 6 aprile 2019 con l’insediamento del tribunale diocesano.
La comunità religiosa del meridione è fondata su legami profondi tra popolazione e contesto: Lombardi Satriani fa riferimento al sangue e alla morte.
Il sangue è fortemente simbolico, una realtà precategoriale indispensabile per dare senso alla cultura e all’esistenza stessa nella realtà. Il sangue rappresenta una sorta di “filo rosso” che tiene uniti i tratti culturali del folklore meridionale, in quanto elemento “atto a dar vita e connesso alla morte” (4).
“L’inizio del tempo dell’uomo è segnato dallo spargimento di sangue di una vittima innocente; il sangue di Abele dà cominciamento al tempo della violenza, dei gesti procuratori di morte. Dopo la cacciata dall’Eden, l’umanità decaduta viene riscattata dallo spargimento di un altro sangue, che segna l’inizio del tempo rinnovato. Il sacrificio di Cristo, continuamente rinnovantesi, rifonda la vita dell’uomo e garantisce nel tempo la salvezza” (5).
Nelle feste, le rappresentazioni rituali del sangue nel mondo trovano la soluzione alla morte nella resurrezione della divinità che si umanizza, assumendo in sé tutte le precarietà della vita. I rituali intorno al funerale, che portano la pace dei morti, riguardano il ruolo delle persone nella gestione della loro esistenza.
L’antropologo nel rapporto sangue/vita rileva:
- il legame di sangue: è “sangu miu”, ovvero la forza del legame parentale. La famiglia è “unità metastorica di vivi e defunti”. Il sangue è come la vita: lo spargimento di sangue, la deflorazione della donna (6);
- il sangue sacrificale serve alla sopravvivenza ed è fattore di vita (7);
- il sangue come potere, non è sottoposto alle norme del quotidiano, può infrangere le barriere del tempo: introduce e richiama il potere. Le formule magiche richiamano il sangue come potere (8);
- il sangue e la morte sono associati. Nel caso di Natuzza il sangue rende visibile il futuro, è potere profetico (9). In questa accezione, il sangue introduce una dimensione sacra: “la ritualità rappresenta la trascrizione sul piano simbolico dell’esperienza di vita e di morte” (10).
- la funzione protettiva dei rituali legati al sangue: “nella realtà culturale del Sud sembra prevalere un equilibrio sincretistico tra atteggiamento della Chiesa e folklore del sangue”. Il fatto che il sangue è espressione di vita e che la comunità conservi il sangue di un santo (lo scioglimento del sangue di San Gennaro; il mito di San Pantaleone) equivale al possesso della stessa vita. Il principium sanguinis coincide con il principium vitae e i rituali tendono a implorare la protezione (11).
Lombardi Satriani intende il sangue, che fonda l’esistenza e fluisce in rapporto al tempo, basato sull’interscambiabilità dei codici linguistici: è un linguaggio che si scrive sul corpo, rendendo il proprio corpo come mezzo di comunicazione, il tramite con i morti, come accade in Natuzza, definita la “radio dell’aldilà” (12).
L’incontro delle persone con la donna è stato motivo di conforto e speranza, producendo pacificazione e carità. Le richieste essenziali hanno riguardato malattie ed informazioni sui defunti. La mistica entrava in contatto con i morti solo quaranta giorni dopo la loro scomparsa, perché devono espiare il Purgatorio per i peccati commessi.
Il destino degli uomini dopo la morte ha sempre avuto una grande rilevanza nel cristianesimo. I fedeli dovevano pentirsi e confessare le loro colpe: allora “si sottoponevano ad un periodo di penitenza per ottenere il perdono divino”. Il Purgatorio stava a testimoniare il luogo in cui i defunti si “purgavano” dei peccati meno gravi per essere accolti in Paradiso. (13)
Il periodo di penitenza dipendeva dai peccati commessi, ma anche dalle azioni compiute dai vivi: i suffragi, le preghiere, le elemosine, le messe compiute in nome del defunto avevano “il potere di abbreviare la sua permanenza in Purgatorio”. (14)
Oltre a permettere l’espiazione dei peccati da parte dei defunti, si avverte anche l’esigenza di avere i morti come alleati e protettori: ciò è molto sentito nella realtà meridionale, perché noi siamo la nostra cultura e Natuzza “ne interpreta le esigenze e dà delle risposte che rinviano ad un universo di bisogni e alle possibilità che a questi bisogni sia dato sbocco, uno sbocco efficace” (15).
La donna si metteva il fazzoletto sul petto, non spiegato, e dopo la sudorazione tirava fuori quel fazzoletto: era come se qualcuno avesse stampato alcune frasi su quel fazzoletto, scritte con il sangue (16). Accetta sofferenza, dolore e bisogni, si pone con umiltà è dà rassicurazione e sicurezza. Le sue attività si soffermano su una varietà di fenomeni: scritti e disegni con il sangue; guarigioni e richieste di soluzione ai problemi esistenziali; fenomeno della bilocazione; colloqui con i morti (17).
Boggio sostiene che “già riuscire a dialogare, superando la propria solitudine, è importante per liberarsi dal disagio di vivere” (18). Si tratta di un approccio solidaristico, che fa parlare il sociologo Felini “della religiosità del corpo”, di un corpo comunitario in cui i livelli dell’agire umano sono tutti armonizzati (19).
Secondo Lombardi Satriani, restituisce centralità alla “visione”: si tratta di una cultura che vuole vedere, cercare di vedere il non visibile “perché la realtà si dispiega sempre a due livelli, il realistico e il simbolico”. Il simbolico dà senso alla realtà: è realtà quello che si tocca con mano, ma anche quello che non si vede e che “dà senso all’agire umano”, dà risposta e significato ai propri comportamenti. La complessità umana non è solo corpo ma anche sentimenti e amore, e la cultura popolare non accetta separatezza ma unità della persona (20).
Il sociologo Cipriani spiega come il “fenomeno Natuzza” porta ad una sorta di epoché (sospensione del giudizio), di un giudizio compiuto (21). La mistica è partecipe di quella cultura popolare che non può essere lasciata ai margini: è una cultura che ha una sua drammaticità, è la ricerca della verità come conquista continua attraverso un itinerario di conoscenza (22).
L’esigenza di avere quadri simbolici di riferimento, afferma Lombardi Satriani, è dell’uomo che potrebbe, in assenza di essi, precipitare nell’inconcludenza e perdere la sua identità. La morte è un’esperienza di lacerazione, ma la cultura popolare meridionale assume centrale il problema della morte, come “risposta all’esigenza radicale di rapporto con la persona scomparsa avvertita dal superstite”, per ripristinare un colloquio interrotto, per assicurare una “continuità di vita” (23).
Natuzza riesce a garantire la precarietà esistenziale della comunità sul piano simbolico e nella dimensione metastorica. Si instaura, per suo tramite, il dialogo con i propri morti e la protezione che questi ultimi attuano verso i loro familiari, realizzando un rapporto dialettico, che riesce ad evitare ai viventi di piombare nel caos “se vita e morte restassero senza nessi significativi”, senza che ci fossero “schemi ordinatori della realtà culturalmente modellata” (24).
Lombardi Satriani e Mariano Meligrana ne: “Il ponte di San Giacomo”, avevano ben delineato i luoghi espliciti del mondo contadino in cui si rifugia o si affronta la morte (25): nella cultura popolare religiosa, i presenti parlano agli assenti e tengono in vita un linguaggio e un flusso comunicativo che serve, attraverso la memoria, a rinsaldare tratti e legami sociali, perché, come dice Lombardi Satriani, la solitudine è peggio della stessa miseria: “è amaru ‘u nudu (povero), ma cchiù amaru è ‘u sulu”. (26)
Natuzza Evolo ha rappresentato dunque il mantenimento della tradizione in cui il rapporto tra vita e morte non è mai interrotto, instaurando una relazione che altrove sarebbe segnata dal silenzio e dall’intimità. Si pone accanto a coloro che provano sofferenze, è disponibile ad ascoltare ed è ricettiva alle istanze di tutti i suoi interlocutori: “il dolore trova così una sua legittimazione e uno spazio culturalmente previsto e consegnato alla saggezza di chi è vicino al sacro”. (27)
Questo hanno voluto testimoniare le trentamila persone, accorse a manifestare con la loro presenza la devozione a “Mamma Natuzza”, che ha rappresentato un ponte tra il mondo terreno è quello dell’aldilà, la cura, la speranza e l’affrancamento dalle sofferenze, oltre che la possibilità di condividere una dimensione di fede.
Note
- Boggio, L.M. Lombardi Satriani, 2006, “Natuzza Evola. Il dolore e la parola”, Armando 2018, 205.
- Tutti i documenti citati sono contenuti nel libro: M. Boggio, L.M. Lombardi Satriani, “Natuzza Evola…”, cit.
- Ivi, 95-96.
- Ivi, 151
- Meligrana, L.M. Lombardi Satriani, 1982, “Il ponte di San Giacomo. L’ideologa della morte nella società contadina del Sud”, Sellerio, 324.
- Boggio, L.M. Lombardi Satriani, “Natuzza Evolo…”, cit., 167.
- Ivi, 175.
- Ivi, 179.
- Ivi, 183.
- Ivi, 184.
- Ivi, 185.
- Ivi, 191.
- G. Merlo, “Il cristianesimo medievale in Occidente”, in G. Filoramo (a cura di), “Storia delle Religioni. Cristianesimo”, Laterza, 280.
- Ivi, 280.
- Ivi, 34-35.
- Ivi,
- Ivi, 124.
- Ivi, 109.
- Ivi, 100-101.
- Ivi, 113.
- Ivi, 120.
- Ivi, 115-116.
- Ivi, 126.
- Ivi, 202.
- Meligrana, L.M. Lombardi Satriani, “Il ponte di San Giacomo…”, cit.
- Boggio, L.M. Lombardi Satriani, “Natuzza Evolo…”, cit., 203.
- Ivi, 200-201.
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