Ancora alcune riflessioni sull’opera di Antonio Scurati: “M. Il figlio del secolo”, Bompiani 2018.
La storia come un romanzo
di Pasquale Martucci
“I personaggi sono presenze molto forti, un romanziere li sente. E’ stato allora che ho deciso di confinarlo (si riferisce a Mussolini), cedendogli il racconto solo in pochi momenti. Ma ci sono moltissimi monologhi interiori in cui la storia è narrata attraverso il suo sguardo ambizioso. Non è stato semplice. Entrare in risonanza con la mente, con la psiche e con quella fascinazione collettiva che è stato il fascismo è molto destabilizzante”. (1)
E’ stato uno dei casi letterari dell’ultimo anno, il vincitore del Premio Strega 2019. Mi riferisco al romanzo di Antonio Scurati: “M. Il figlio del secolo”. Un lavoro che, recensito a partire dalla fine del 2018, ha trovato argomentazioni e molteplici riflessioni, che mi inducono a compiere ancora alcune considerazioni sul rapporto tra forma narrativa utilizzata e storia documentaria.
Da subito, rilevo che non si tratta di un romanzo storico, ma della modalità di affrontare la storia e di raccontarla come un romanzo: una storia che ha riscontri bibliografici, che tutti conoscono e che comprendono, e proprio per questo porta a individuare connessioni con la più stretta attualità. E molti cercano di conseguenza di portare le idee dall’una o dall’altra parte.
Liberandomi delle derive più o meno fondate sull’ideologia dell’opera, mi preme riflettere su ciò che è il titolo di questo lavoro, ovvero: è possibile fare storia attraverso l’utilizzo della forma narrativa?
La storia è quella di Benito Mussolini, nel periodo che va dal 1919 al 1925, ovvero la nascita e il consolidamento del fascismo. Pare che l’autore scriverà altri volumi (almeno due) che si occuperanno delle vicende successive.
Antonio Scurati trascina il lettore, pagina dopo pagina, come se vivesse il destino della storia, quella di un uomo che crea un suo movimento, tra socialismo e destra liberale, che mette insieme una pluralità di persone provenienti dalle esperienze più disparate.
Molti hanno sottolineato che questa storia non la si conosce mai abbastanza, in particolare quella dei sei anni che seguono la Grande guerra: dal giorno di fondazione dei Fasci di combattimento a Milano, il 23 marzo 1919; all’impresa di Fiume; alla tendenza di molta parte del Paese che spera nella rivoluzione dei lavoratori; alla reazione e al dilagare dello squadrismo; fino al discorso di Mussolini in Parlamento, il 3 gennaio del 1925, quando assumerà soltanto su di sé la responsabilità politica, morale e storica dei fatti accaduti. Conclude: “Se il fascismo è stata una associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere” (2)
L’opera ci conduce ad indagare sulle cause dell’inizio del fascismo, una sorta di risultato dovuto alla crisi economica, ai reduci scontenti dalla politica di governo del primo dopoguerra, alla “vittoria mutilata” conseguente alla conferenza di pace a Versailles del 1919, alla confusione che regnava da nord a sud per le misere condizioni di vita accentuate dalle spese militari per la guerra. Tutto ciò provocò un movimento di idee e di popoli che reclamavano nuovi diritti e si sviluppò un’ondata di malcontento cavalcata, con successo, da un giornalista proveniente da ambienti socialisti interventisti, che ambiva a cambiare l’Italia ed acquisire un potere sulle masse.
Scurati sceglie una rigorosa sequenza cronologica di eventi, in cui attori grandi e piccoli, recitando un copione decisivo, sembrano danzare nelle pagine, mostrare forza e debolezza, insomma essere quasi “psicanalizzati”. Mussolini è l’uomo senza scrupoli, lo spregiudicato giocatore di azzardo, lo scaltro animale politico; accanto a lui, si collocano gli squadristi fascisti, tra le cui file si contano anche facinorosi e delinquenti, che hanno paura del mondo borghese e temono l’avanzata del socialismo dilagante. Ci sono poi, personaggi femminili per lo più amanti del Duce, su cui spicca Margherita Sarfatti, appassionata e colta, appartenente alla alta borghesia milanese. C’è infine il mito di D’Annunzio e l’adorazione delle folle.
Calandosi nella storia, l’autore produce un racconto avvincente che tuttavia non si discosta dalla realtà. Tutta la narrazione sembra essere accaduta in un tempo presente, ed allora il lettore è sinceramente incuriosito e spronato a conoscere un personaggio, Benito Mussolini, che ha avuto un indiscutibile successo, caratterizzato da un’intelligenza capace di rispettare i tempi, di attendere quando è necessario aspettare, di agire quando è necessario intervenire. A contrastare l’avanzata fascista vi è una società civile debole ed impreparata; un re indeciso ed inerme; una élite culturale che flirta coi nuovi potenti; un mondo imprenditoriale accondiscendente; una opposizione spesso inconcludente perché lacerata da divisioni interne. Eppure le eccezioni ci sono ed è giusto non dimenticarle: “Don Sturzo, Gobetti, Gramsci ma anche e soprattutto Matteotti, figura stoica, unico vero antagonista la cui statura possa rivaleggiare con l’astro nascente di Mussolini”. (3)
Scurati è guidato dalla documentazione storica, entro i cui confini si muove, basando il racconto sempre e comunque su fatti ed eventi reali, corredando ogni capitolo di testi e documenti ufficiali: editoriali e articoli di cronaca politica, rapporti della pubblica sicurezza, manifesti dei partiti, discorsi e scritti dello stesso capo del fascismo, per mostrare al lettore i supporti documentali della ricostruzione effettuata. L’autore, che è anche uno storico, non azzarda molto anche se fa numerose concessioni al romanzesco.
Tra racconto e realtà è necessario offrire esempi che non lasciano dubbi sulla storia di quegli anni, a partire proprio dalla sottovalutazione che c’è stata del fenomeno “Fascismo”, anzi da una sorta di condivisione/accettazione delle sue prime attività violente.
Il Corriere della Sera del 23 novembre 1920, a proposito dei disordini conseguenti agli scioperi che hanno devastato il Paese, a partire dalla fine della guerra, rileva le responsabilità solo di una parte: “Di chi è la colpa? Chi se non il partito Socialista aspira in Italia alla guerra civile? Chi se non il Partito socialista crea e vuole questo ambiente di battaglia selvaggia? La battaglia trova necessariamente i suoi combattenti anche dall’altra parte”. (4)
Alla fine di quello stesso anno, Mussolini proclama ed aizza i suoi seguaci: “Mutiamo la paura in odio e scagliamoci contro il nemico. Facciamo un ariete di tutte le nostre vite”. I nemici sono i socialisti che soccombono dietro le azioni delle squadre fasciste in Emilia Romagna, che colpivano le Camere del lavoro e i consigli comunali, mentre Turati in Parlamento si appellava affinché “tutti si decidesse a smobilitare e a disarmare gli animi”. Il 22 dicembre 1920 ci sono ancora scontri tra fascisti e socialisti a Ferrara. I morti di questa parte sono ignorati, mentre i caduti fascisti onorati come martiri della libertà. I fascisti spadroneggiano in città, cantano i loro inni e la borghesia li osanna. (5)
Tutto però ha inizio nella primavera del 1919 a Milano. Mussolini si trova nella zona del Bottonuto, “pozzanghera putrida giusto alle spalle della piazza del Duomo”. Il protagonista, “tende il collo in alto e in avanti, serra la mascella, cerca aria respirabile (…) con il volto proteso al cielo sotto il cranio già quasi calvo, solleva il bavero della giacca, schiaccia la sigaretta sotto il tacco, allunga il passo”. (6)
Il racconto è stato ritenuto poco reale: l’autore mette in rilievo la società dell’epoca, oltre al personaggio, che alla fine della guerra era nella sua stanza di direttore de: “Il Popolo d’Italia”, ed aizzava gli Arditi definendo i socialisti massimalisti milanesi dotati di “anima filistea e pusillanime”. (7)
Giacomo Matteotti è “il socialista impellicciato”, che la storia ricorda come appartenente ad una famiglia agiata, ma che ha sposato i problemi dei contadini, ha scelto la gente del Polesine che dovrà diventare la terra della riscossa. Il leader socialista denuncia più volte ciò che accade in quegli anni: si tratta di una organizzazione i cui componenti “dichiarano apertamente che si prefiggono atti di violenza” (8); subisce violenze fisiche; è sovente aggredito e deve allontanarsi per non essere perseguitato.
In una delle pagine del libro, Scurati fa rievoca a Matteotti una storia drammatica, quando si reca sul palco per parlare alla folla. E’ il 12 ottobre 1920.
Il veterinario ha deciso che va abbattuta una vacca perché malata, e sotterrata per evitare epidemie: “L’uomo (il veterinario) ha appena travalicato i confini del campo quando dalle fratte sbucano una trentina di contadini famelici armati di badili, di falci e di accette. Avanzano in linea, a passo svelto, in ranghi serrati, come una falange che carichi il nemico. L’animale viene dissotterrato in pochi minuti, qualcuno scava gli ultimi palmi di terra con le mani, disteso sulla pancia ai bordi della sepoltura. Squartano la vacca a gruppi, con gli occhi luccicanti per la fame, si battono per contendersi un fegato, una mezza coscia. Un giovane maschio decapita ciò che resta dell’animale con un colpo d’accetta. Una vecchia scheletrica erompe nell’urlo dell’ossessa, si getta sul cranio della vacca, la afferra per le corna, se la carica sulle spalle e si dà alla fuga. Due ragazzi la inseguono, la abbassano e le strappano la testa. La vecchia, derubata del suo trofeo, torna barcollando, si lascia cadere in ginocchio sul limite della buca. Forse prega, forse implora – da quella distanza la scena è senza sonoro – forse si accinge a gettare le proprie ossa nella sepoltura spogliata da quella del bovino”. (9)
Il racconto è crudele ma rappresenta la realtà dell’epoca: è una storia qualunque che forse meglio di tanti saggi riesce a condurci nel tempo e farlo rivivere ad una società che ha rimosso la miseria e la condizione di drammatico disagio.
Questo è uno dei motivi che spinge a considerare quest’opera un romanzo che oscilla tra la trattazione storica e la rielaborazione letteraria, in cui l’autore propende per la prima limitando la libertà creativa ad una sapiente ricostruzione logica e cronologica, che aiuta a comprendere i fatti e gli eventi. Il racconto è percorso a tratti dalla violenza, dai brutali rapporti di forza che fanno dei reduci e degli Arditi gli inevitabili vincitori di un conflitto sociale che si consuma, tra la cecità e l’opportunismo della vecchia classe politica liberale e l’incapacità dei socialisti di tradurre il consenso politico e i moti di piazza in una vera azione rivoluzionaria.
Uno dei protagonisti è Gabriele D’Annunzio, che a partire dalla fine della guerra ha in testa solo la liberazione di Fiume. Al grido di: “Vittoria nostra non sarai mutilata”, sottolinea il clima di quel tempo. In realtà, l’Italia avrebbe vinto, ma al tempo stesso ha perso tante vite e tante altre sono rimaste segnate per sempre.
Qui si incunea il fascismo e si fa avanti il Vate (6 maggio 1919, presso il Campidoglio, a Roma): “Laggiù, sulle vie dell’Istria, sulle vie della Dalmazia, che tutte sono romane, non udite la cadenza di un esercito in marcia?”. (10)
E’ la rappresentazione di un’immagine che deve restare scolpita nelle menti, proprio come fa la prosa di Scurati nella sua storia raccontata. Nella contestualizzazione storica, il discorso di D’Annunzio è: “Ogni cittadino, in silenzio, abbruni la sue bandiere finché Fiume non sia nostra, finché la Dalmazia non sia nostra”. (11)
In quel periodo Mussolini, che intende incontrare il Vate, è attivissimo: pubblica il programma dei Fasci, in cui ci sono rivendicazioni sociali per i lavoratori; una politica estera interventista; l’espropriazione delle ricchezze; una nazione armata.
Scrive su: Il Popolo d’Italia, il 6 giugno: “I fascisti non vogliono riscrivere il libro della realtà, vogliono solo il loro posto nel mondo. E lo avranno. Si tratta solo di fomentare gli odi di fazione, di esasperare i risentimenti. (…): i fascisti devono solo passare all’azione, qualunque tipo di azione”. (12)
Finalmente il 23 giugno, alla presenza di Margherita Sarfatti, ora amante del Duce dopo esserlo stata del Vate, Mussolini e D’Annunzio si incontrano per la prima volta. Una sorta di viatico per l’intervento a Fiume, che consacrerà la gloria del poeta e trasformerà in chiave culturale e sociale quel centro: il Vate si interesserà molto meno dei disagi e dei problemi economici.
Con D’Annunzio, ben presto la città diventa crocevia di tutti gli artisti europei, “un mondo di mondi, il porto franco del ribellismo di tutte le sponde politiche, nazionalisti e internazionalisti, monarchici e repubblicani, conservatori e sindacalisti, clericali e anarchici, imperialisti e comunisti”. Nella visione del Vate, Fiume è il faro “la scintilla del nuovo fuoco che avrebbe illuminato l’Occidente”. (13)
La presa di Fiume da parte di D’Annunzio è un’impresa che si concretizza senza sparare un colpo. E il liberatore, l’11 settembre 1919, prima di srotolare la bandiera, proclama: “Italiani di Fiume! Nel mondo folle e vile, Fiume oggi è il segno della libertà; nel mondo folle e vile vi è una sola cosa pura: Fiume; vi è una sola verità e questa è Fiume! Vi è un solo amore e questo è Fiume! Fiume è come un faro luminoso che splende in mezzo a un mare di abiezione”. (14) Le considerazioni sul Vate vanno al di là della storia; a lui e alla sua retorica Scurati dedica molte pagine per porre in essere la grandezza del mito: “Ora il comandante non parla più all’uditorio, dialoga con la folla. A ogni sua parola la piazza risponde, con atti e con voci. Il teatro è nelle strade, tutta la città è a teatro ma ci è andata a guardare se stessa”. (15)
Sulla questione di Fiume e della Dalmazia, le visioni di D’Annunzio e Mussolini divergono. Il primo è aulico e sognante, che vive una sorta di non celata utopia; il futuro Duce è abile politico che si barcamena, si scontra anche con i suoi, ma ha una strategia per il lungo periodo non per l’immediato.
Le elezioni del 16 novembre 1919 sono una disfatta per Mussolini. Qualche giorno dopo, il questore di Milano denuncia le azioni degli Arditi con bombe a mano e rileva l’esistenza di una organizzazione di tipo militare: “Qualunque siano le idealità dei dirigenti e dei componenti l’organizzazione è certo quindi che un corpo armato era stato costituito in seno ai Fasci di combattimento di Milano non solo contro le leggi dello Stato, non solo con la tendenza alla usurpazione dei poteri di polizia, ma con il deliberato proposito di commettere reati contro la persona”. (16)
Nelle pagine di Scurati, importante è soprattutto il confronto/scontro tra socialisti e fascisti, acerrimi nemici. Con il passar del tempo le denunce saranno contro i socialisti massimalisti che vogliono portare la rivoluzione bolscevica. Mussolini, segnato dagli eventi della fine del 1919, è con i lavoratori ma non con i dirigenti massimalisti della sinistra: è fervente avversario della borghesia. In seguito, cambierà radicalmente il suo orientamento anche se non dimenticherà mai l’importanza del popolo per la conquista del suo potere.
I socialisti trionfano alle elezioni di novembre e giungono in massa a Montecitorio. Il 1 dicembre, alla presenza del re, accade l’imprevedibile: “Allora i garofani rossi si alzano. Cala un grande silenzio. Tutti rimangono interdetti per qualche istante, i corazzieri stringono l’impugnatura delle sciabole, poi si capisce cosa sta accadendo: i socialisti semplicemente se ne vanno. Il popolo rifiuta di incontrare il suo re. Lo disconosce”. (17)
E’ il momento di svolta: i socialisti che hanno conquistato l’Italia non sanno cosa fare. Allora vengono picchiati dalle bande di nazionalisti che gli danno la caccia per le vie di Roma, obbligandoli a gridare “Viva il re!”. Anche Serrati è condotto in questura e picchiato. E’ proclamato lo sciopero generale. Quella giornata causerà una decina di morti che si aggiungeranno ai 110 riscontrati nel corso dell’anno per gli scontri tra polizia e socialisti. E’ il bilancio del primo anno di pace, dopo la guerra. (18)
L’anno successivo si apre con D’Annunzio che esalta la bellezza e l’amore: “La vita è bella e degna che severamente e magnificamente la vive l’uomo rifatto della libertà”, vergando nella forma la “Carta del Carnaro”, la costituzione proposta a Fiume da De Ambris (19). In primavera accade che: la Sarfatti si intrattiene con poeti e pittori soprattutto futuristi; Ungaretti scrive per il Popolo d’Italia; nel Paese ci sono scioperi a raffica; si consolida il giornale “L’Ordine nuovo”, fondato l’anno prima a Torino da Gramsci, Togliatti, Terracini e Tasca; nasce l’Associazione degli industriali, guardata con favore da Mussolini. Il Duce si sta spostando a destra: il 24 maggio 1920, il 2° Congresso dei Fasci vede in platea: commercianti, impiegati statali, la piccola borghesia; nessun disoccupato. Mussolini ribadisce ancora di prestare la sua attenzione ai lavoratori. (20)
Il 10 giugno cade il governo Nitti e in estate ci saranno scioperi e scontri; poi, con le occupazioni delle fabbriche, l’attesa è per la rivoluzione. I dirigenti socialisti decidono di rimandarla. Giolitti è per la quinta volta Presidente del Consiglio: non reprime le agitazioni ma agisce sul versante economico. I lavoratori devono però abbandonare le occupazioni. Scurati chiosa: “la classe operaia è stanca e delusa”. (21)
Tra fatti e racconto, ecco dispiegarsi l’avvio anche molto movimentato del fenomeno “fascismo”. Poi, gli anni a venire rappresenteranno una inarrestabile scalata al potere.
Nel 1921, Mussolini è l’unico vero politico tra i fascisti. Se gli altri sono violenti e lottano per l’immediato, lui mira ad alleanze, magari con i liberali di Giolitti, per evitare l’isolamento. Deve però barcamenarsi cercando di placare gli animi dei suoi. Il 3 e 4 aprile è a Bologna, acclamato da una folla oceanica: “L’accoglienza trionfale riservata all’ospite”, non si deve dimenticare che Bologna è soprattutto di Grandi, Arpinati ed altri capi locali, “è anche un’esibizione di potenza. L’ospite non l’ha generata quella forza, è soltanto venuto a sedurla”. (22)
Sottovalutando il problema, il piano di Giolitti è di: “imbrigliare l’illegalità fascista, ritenuta un fenomeno passeggero, impastoiandola nell’arco costituzionale”. Mussolini a sua volta intende: “suscitare il disordine per dimostrare che l’ordine può ripristinarlo soltanto lui”. (23)
Alle elezioni ogni piano fallisce: i socialisti, sebbene ridimensionati, sono la prima forza; i fascisti eletti sono quaranta, il Parlamento è frammentato e si avverte la crisi della democrazia. La XXVI legislatura sarà “l’ultima della decadenza e la prima dell’era fascista”. (24)
Nella prima seduta del Parlamento, il 21 giugno 1921, la prima stoccata di Mussolini sarà contro Giolitti, suo alleato elettorale. Poi attuerà una politica di pacificazione per non rimanere isolato, sfidando Farinacci, Tamburini, Forni Perrone Compagni, Balbo, Grandi: “Siamo un esercito e non uno sciame. E questo esercito lo comando io …”. (25)
I fascisti più duri vogliono il Vate come capo del fascismo, ma lui rifiuta. Mussolini rilancia e decide di fondare il partito nazionale. Ora la pacificazione non è più all’ordine del giorno. A fine anno si parla del progetto di rifondazione militare delle squadre fasciste, sul modello della legione romana. L’insegna sarà l’aquila di Roma, gli alfieri porteranno il fascio littorio sormontato dalla stella d’Italia. Ora Mussolini inizia a pensare alla dittatura.
L’anno 1922 si apre con il duce molto attivo nella vita mondana e sociale; fa anche un viaggio in Germania. Gli industriali ricominciano a finanziare il fascismo, mentre l’intento è di mantenere in vita un Parlamento che non sia troppo ostile. Tra il 1921 e la metà del 1922 si alternano governi fragili, mentre i fascisti occupano ormai il territorio del centro nord con rappresaglie e violenze. E’ la tattica di Mussolini, in attesa del momento opportuno: “La sola vera differenza tra il Duce e i suoi squadristi è che per lui la violenza è un semplice utensile affilato mentre per i violenti è un sanguinoso desiderio di luce, una sete, un appetito”. (26) Tratta a luglio perché non ci sia un governo tra socialisti e cattolici. E per fare questo fa entrare in azione in tutta Italia le squadre fasciste. Il 4 agosto lo sciopero generale socialista è sedato dalla reazione dei fascisti che distruggono in tutto il Paese: Cooperative, Circoli e Camere del lavoro. Turati dirà: “Lo sciopero generale è stata la nostra Caporetto”. (27)
Nella primavera del 1922, anche in dissenso con i socialisti che lo costringeranno a formare il Partito Socialista Unitario, Giacomo Matteotti scrive: “Credo che tra non molto mi dimetterò da deputato perché è tutta opera e lavoro inutile. Si è contro gli altri partiti; e il proprio partito non fa nulla di ciò che si dovrebbe fare. Allora, a che scopo?”. (28)
Nell’ottobre del 1922, la marcia su Roma è realtà: “L’atto rivoluzionario della marcia su Roma o si compie subito o non si farà più”. La decisione è l’azione violenta, e da giorni Mussolini ha il proclama in tasca: “Fascisti! Italiani! L’ora della battaglia decisiva è suonata …”. (29)
Gli accadimenti si verificano tra il 24 e il 31 ottobre del 1922.
Il 24 Mussolini è al San Carlo di Napoli e si appropria della scena. Croce applaude. Rivolgendosi poi al suo allievo, Luigi Russo: “D’accordo Luigi. Ma voi sapete quanto me che la politica è teatro. Tutti commedianti. Quel Mussolini è un bravo istrione”. (30) Tra il 26 e il 27 del mese, tutta l’Italia si mobilita, anche se Mussolini tratta segretamente: “C’è un solo uomo in grado di salvare il Paese dal caos della violenza squadrista. E’ lo stesso uomo che prima deve suscitarla”. (31) Il 27 ottobre, il Duce tratta ancora per strappare a Giolitti alcuni ministeri, però dice ai suoi che la marcia non si può più fermare. Da Roma gli fanno sapere che deve lasciare Milano per la capitale. I fascisti si preparano; il re intima a Facta, il presidente del Consiglio dimissionario, di mantenere l’ordine pubblico. Facta va a dormire, mentre Mussolini detta a Il Popolo d’Italia: “La storia d’Italia a una svolta decisiva – La mobilitazione dei fascisti è già avvenuta in Toscana – I grigioverde fraternizzano con le camicie nere”. (32) Alle due di notte il Presidente del Consiglio ordina di preparare lo stato d’assedio, che il re firmerà il giorno dopo. Il re non firma. Fallisce, il 29 ottobre, l’ipotesi di governo Salandra. Il re convoca Mussolini a Roma per l’incarico. Lui si presenterà alle 11:05 del 30 ottobre per governare l’Italia. Il 31 lascia entrare i fascisti in città, lo stesso mattino del giuramento al Quirinale, ad un redattore del Corriere della Sera afferma: “Dite la verità, abbiamo fatto una rivoluzione unica al mondo. In quale epoca della storia, in quale Paese si è fatta una rivoluzione come questa? Mentre i servizi funzionavano, mentre i commerci continuavano, gli impiegati negli uffici, gli operai nelle officine, i contadini nei campi, mentre i treni viaggiavano regolarmente”. (33)
La sua Presidenza del Consiglio si apre subito con una minaccia celebre: “Con 300.000 giovani armati di tutto punto, decisi a tutto e quasi misticamente pronti a un mio ordine, io potevo castigare tutti coloro che hanno diffamato e tentato di infangare il fascismo. Potevo dare di quest’aula sorda e grigia un bivacco di manipoli”. (34)
L’unico a non tacere è Giacomo Matteotti, consapevole del regime. Il 18 novembre alla Camera dei deputati, parla della degenerazione del tessuto democratico, anche se afferma che intende limitarsi solo ad “osservazioni strettamente tecniche, come se fossimo in regime di democrazia e non di dittatura”. (35)
Nel marzo del 1923, sulla rivista: “Gerarchia”, Mussolini scrive che il fascismo è già passato e tornerà “a passare sul corpo più o meno decomposto della Dea Libertà” e che “al crepuscolo mattinale della nuova storia ci sono altre parole che esercitano un fascino molto maggiore, e sono: ordine, gerarchia, disciplina”. (36)
Il Duce ordina azioni contro i contestatori delle degenerazioni del fascismo, anche se sono adoratori del Duce. E’ il caso di Alfredo Misuri, che aveva gridato per il ripristino della funzione democratica del Parlamento. Ma all’uscita dalla Camera a tarda sera: “Quando Alfredo Misuri sbuca dalla garitta dell’orinatoio pubblico, Dùmini non fa nemmeno a tempo a uscire dall’automobile che Bonaccorsi (picchiatore squadrista) è già in strada. Ora il bastone lo impugna nella destra, non lo nasconde, non lo ostenta, lo brandisce con assoluta disinvoltura, quasi fosse un mero prolungamento del braccio. Misuri, che ancora armeggia con la patta dei calzoni, non lo vede arrivare (…) La bastonata sul cranio echeggia nel vicolo stretto” … gli squadristi gli sono addosso e “infieriscono a manganellate (…) Allora Bonaccorsi si china e, accostando l’ulcerazione del suo finto labbro leporino a un avambraccio, stacca a morsi un lembo di pelle ancora odoroso di piscio”. (37)
Mussolini vuole la legge elettorale che assicuri al suo partito il potere. La legge Acerbi stabilisce che i 2/3 dei seggi saranno destinati a chi ha la maggioranza relativa (almeno 25% dei consensi). Mussolini lega la legge alla tenuta del governo, mentre De Gasperi chiede che si distinguano le due questioni. Sono cavilli: passa sia la fiducia a Mussolini che la legge Acerbi. (38)
Nell’agosto del 1923, il Duce ora concede il suo corpo alla folla: “Il suo potere promana dalla moltitudine e il suo torace, le sue cosce nude, i suoi muscoli dorsali dovranno sempre rimanere nella bruciante zona di contatto con la folla”. (39)
Mussolini odia i continui dissidi tra fascisti, vorrebbe occuparsi di alta politica. L’occasione si presenta il 29 agosto 1923, in seguito ad un’imboscata in Grecia di alcuni ufficiali fascisti. Mussolini chiede quale riparazione condizioni inaccettabili; in assenza di ciò invia una squadra navale per occupare l’isola di Corfù, violando tutti i trattati internazionali. (40)
Il 28 ottobre, il primo anniversario della marcia su Roma è l’apoteosi del Duce con il discorso: “Se domani io vi dicessi …”, in cui procrastina l’occupazione del potere di dodici anni per cinque, “noi dureremo perché vogliamo durare”. (41)
La primavera del 1924 è la data più importante di quel periodo.
Giacomo Matteotti aveva pubblicato il 1 aprile il libro: “Un anno di dominazione fascista”, in cui denunciava violenze soprusi e delitti. (42). Poi alle elezioni del 6 aprile, la lista fascista ottiene il 64,9 % dei voti. Il 30 maggio Matteotti parla delle violazioni fasciste in campagna elettorale. Da quando è stato eletto quattro anni prima, Giacomo Matteotti ha pronunciato 106 discorsi al Parlamento.
Nell’ultimo, afferma: “Voi che avete in mano il potere e la forza, voi che vantate la vostra potenza, dovreste meglio di tutti essere in grado di fare osservare la legge … se la libertà è data, ci possono essere errori, eccessi momentanei ma il popolo italiano, come ogni altro, ha dimostrato di saperli correggere da se medesimo. Noi deploriamo invece che si voglia dimostrare che solo il nostro popolo nel mondo non sa reggersi da sé e deve essere governato con la forza. Molto danno avevano fatto le dominazioni straniere. Ma il nostro popolo stava risollevandosi ed educandosi. Voi lo ricacciate indietro”. Poi rivolgendosi al suo compagno di banco: “Il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparatemi l’orazione funebre”. (43)
L’azione del 10 giugno 1924 si svolge in pieno giorno: “La Lancia Lambda scivola sul lungotevere, sorpassa l’uomo che lo percorre senza cappello con una busta bianca sotto il braccio, poi frena, si arresta, le portiere si spalancano su entrambi i lati (…) Matteotti, strattonato, reagisce (Malacria e Volpi lottano con l’onorevole) … Amleto Poveromo, macellaio a Lecco, avanza alle loro spalle con il suo passo pesante. Assesta a Matteotti un unico cazzotto alla tempia, il colpo di mazza al cranio con cui un tempo abbatteva le bestie. Matteotti crolla. Dùmini intanto li ha raggiunti. Sollevano in quattro, uno per ciascun arto, il corpo inerte (…) Matteotti si rianima e riprende la lotta. I suoi rapitori riprendono a colpirlo mentre lo trasportano. Ma quello scalcia come un ossesso (…) Matteotti tempestato di colpi non cessa di urlare (…) L’ululato della vittima sconquassa l’indolenza del pomeriggio dell’estate incipiente. Poi, d’un tratto, la convulsione si smorza. Le urla sono cessate. Al loro posto un gorgoglio, un rantolo strozzato”. (44)
Il rapimento colpisce tutti. L’indignazione è generale, le proteste sono anche degli stessi fascisti: “Il probabile crimine appare così perverso e odioso da mettere in crisi l’intero sistema”. (45)
A ciò deve porre rimedio il Duce, che ha ricevuto in diverse occasioni la visita della moglie di Matteotti che chiede del marito. Ora rileva l’avversione di parte dell’opinione pubblica. Si dice pronto a fare giustizia ed afferma che il delitto è stato commesso proprio per screditare il fascismo. Ma tutto è vano: c’è bisogno di un colpevole.
Il 16 agosto del 1924, il corpo è ritrovato: “La terra, dunque, ha reso il cadavere di Giacomo Matteotti. Il cadavere, pur con i suoi pochi lembi di carne, placa il fantasma. L’incubo è finito. La fine è iniziata”. E il Paese esce da un incubo. Ai funerali, le grida sono per il martire della libertà: “Il fascismo, di nuovo odiato dal mondo, ripiomba nel baratro dello squadrismo” . Anche D’Annunzio definisce l’Italia del delitto Matteotti una “fetida rovina”. (46)
Mussolini è accasciato e accusato.
Ha uno scatto d’orgoglio il 3 gennaio 1925 alla Camera dei Deputati, in cui si accusa di essere il capo di quella associazione a delinquere che è il fascismo. La situazione sarà chiarita al più presto. Mussolini rimane seduto al suo banco di Presidente del Consiglio a lungo e da solo. Medita le prossime mosse.
E qui si chiude un lavoro di più di ottocento pagine, che ha visto il profondo impegno dell’autore nella ricerca di fonti storiche per narrare una storia reale. Quello di Scurati è stato definito un romanzo, in cui ruotano fatti storici e personaggi reali: se le vicende del fascismo sono quelle note, il racconto evidenzia alcuni passaggi “di invenzione”, come le storie private e gli stati d’animo di molti protagonisti nei confronti dei quali, secondo alcuni critici, l’autore avrebbe avuto un atteggiamento quanto meno di indulgenza.
Il merito maggiore dell’opera sta nella capacità di far calare il lettore nella realtà violenta di quegli anni, attraverso uno stile aspro e a tratti ironico, con accenti cupi e grotteschi che appaiono quasi incredibili.
Tanti hanno apprezzato quelle pagine; c’è stata poi la stroncatura di Galli della Loggia che ha ravvisato alcune inesattezze storiche ed alcuni anacronismi, a suo dire particolarmente gravi per uno storico mosso da una forte intento di oggettività e di fedeltà al vero. (47)
Gli errori ci sono, ma non inficiano, a mio dire, in alcun modo la ricostruzione di quegli anni: il cuore del racconto ne resta fondamentalmente immune e lascia avvincere pagina dopo pagina anche coloro che non amano particolarmente quel periodo storico.
Cito su tutti un commento: “La gran parte dei capitoli non sembrano raccontati dall’interno, cioè dal punto di vista dei fascisti, ma dalla voce esterna di uno storico che giudica i fatti secondo parametri che non sono lontani da quelli usualmente adoperati dalla storiografia sull’argomento. Questo non vale ovviamente per i capitoli in cui parla direttamente Mussolini, e segnatamente il primo e l’ultimo. Non a caso, i più interessanti e densi di spunti: forse una strada da battere in futuro con maggiore determinazione”. (48)
Scurati riesce dunque nell’intento di rappresentare un periodo storico importante: fa sentire anche la voce interiore del Duce accanto all’altra voce, quella dal balcone, sottolineata nelle immagini di repertorio, nella retorica propagandistica e nelle acclamazioni della folla.
Il suo lavoro mostra con grande evidenza il ricorso metodico alla violenza come strumento di potere, oltre che la paura della gente e l’incapacità dei politici di reagire all’avanzata del fascismo. Ma c’è anche l’altro eroe, quello che prende le emozioni, l’unico che combatte senza fare concessioni e mantenendo un atteggiamento coerente: è Giacomo Matteotti, che anche quando picchiato ed inviso alla stragrande maggioranza della popolazione, estrae la sua verità, le sue denunce, la sua vita che deve nascondere per poi riapparire e contrastare il potere. E poi D’Annunzio, che è un comandante di retorica, che infiamma le piazze, ma ne esce disgustato in quanto non può competere con la doppiezza della politica, con un disegno scritto da altri utilizzando il suo nome.
I socialisti e gli squadristi sono l’alternanza nella lotta: se in origine i primi auspicano una rivoluzione sociale, infine prevalgono gli altri che della violenza fanno la propria ragione di esistenza. Ed infatti anche il Duce ha difficoltà a controllarli.
Nell’opera l’autore non giudica e non commenta, fa parlare i fatti, dipingendo un affresco di un secolo fa e permettendo al lettore di rintracciare analogie con il presente.
Per questo motivo, il volume dovrebbe essere nella disponibilità degli studenti e delle scuole italiane per far conoscere il nostro passato. Credo che questa metodologia di racconto possa avvicinare alla lettura anche i più annoiati, coloro che rifiutano di trovare nelle note e nelle fonti la ragione di un passato da conoscere.
Note:
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Antonio Scurati, intervista di Simonetta Fiori, “Mussolini. Attenti al Duce”, il Venerdì di Repubblica, 14 settembre 2018.
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A. Scurati, “M. Il figlio del secolo”, Bompiani 2018, 825.
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Luigi F., Commento al volume di Scurati,in: “Q Libri Network”, 2 novembre, 2019.
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A. Scurati, “M. Il figlio del secolo”, cit., 259.
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Ivi, 280-281.
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Ivi, 18-19.
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Ivi, 45.
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Ivi, 328.
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Ivi, 240.
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Ivi, 52.
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Ivi, 54.
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Ivi, 67.
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Ivi, 124-126.
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Ivi, 91.
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Ivi, 104.
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Ivi, 149.
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Ivi, 153.
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Ivi, 154.
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Ivi, 180.
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Ivi, 204.
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Ivi, 229.
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Ivi, 378.
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Ivi, 385.
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Ivi, 399.
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Ivi, 411.
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Ivi, 492.
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Ivi, 506.
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Ivi, 513.
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Ivi, 523.
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Ivi, 537.
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Ivi, 547.
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Ivi, 574.
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Ivi, 599.
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Ivi, 606.
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Ivi, 611.
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Ivi, 650.
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Ivi, 655.
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Ivi, 667.
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Ivi, 674.
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Ivi, 678.
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Ivi, 694.
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Ivi, 727.
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Ivi, 748-749.
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Ivi, 762-764.
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Ivi, 771.
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Ivi, 801-805.
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E. Galli della Loggia, “M. di Antonio Scurati, il romanzo che ritocca la storia”, Il Corriere Cultura, 13 ottobre 2018.
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Il testo è tratto da: Lego-ergo-sum, in: “Q Libri Network”, 25 gennaio 2019.
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