Sant’Onofrio tra religione e credenze popolari
di Pasquale Martucci
Nel centro di Petina, luogo dalla profonda religiosità popolare, il 2 agosto si festeggia solennemente Sant’Onofrio. Questo paese, alle pendici orientali degli Alburni, ha origini che risalgono all’anno mille. Circondato da querce, castagni e aceri, conserva nel suo centro storico il Convento di Sant’Onofrio, antica Abbazia benedettina risalente al XII secolo. Tra i documenti più antichi in cui si parla di Petina si ricordano alcune pergamene conservate nell’archivio del monastero della Badia di Cava dei Tirreni e nell’Abbazia Benedettina di Montevergine, datate verso la fine del millecento.
Sono frequenti i riferimenti al Monastero di Sant’Onofrio del quale, poco lontano dal centro abitato, sono rimasti i ruderi. Questo Santo è il Patrono, il santo eremita che domina, con gli occhi mai bassi ma rivolti al cielo, tutta la popolazione e trasmette un senso di serenità. Onofrio era figlio del re di Persia, poi diviene monaco ed abate, infine anacoreta che si dedica in solitudine alla preghiera. E’ considerato il protettore dei parrucchieri: la cerva che nell’iconografia sta ai suoi piedi è l’animale che l’ha assistito e nutrito. Vi è anche una corona alla base della statua che sta a significare l’abbandono del potere, delle ricchezze.
L’attaccamento per il Santo a Petina è attestato dal fatto che in ogni famiglia qualche componente si chiama Onofrio. La religiosità della popolazione è stata sempre molto forte e si è manifestata attraverso la ricerca di un contatto diretto con il Santo. A quest’ultimo si affidava la protezione anche di beni materiali: era invocato in qualsiasi momento di bisogno.
La processione del 2 agosto si manifesta attraverso vari attestati di fede: le persone incalzano scalze dietro la statua che viene perfino trasportata dalle donne, cosa inusuale negli altri centri del Cilento. Sotto la statua di Sant’Onofrio, vi è ressa tra i vari fedeli che vogliono occupare una posizione vicina al Santo: vi sono percorsi prestabiliti, così come pure luoghi fissati in cui è opportuno trasportare la statua. Nel giorno di festa la Madonna segue il Santo, anche se in alcuni momenti del percorso le statue sono appaiate. Durante la processione, un tempo la manifestazione devozionale prevedeva la presenza di ori e banconote che addobbavano il Santo, oggi resta una cassetta di raccolta delle offerte che vuole far abbandonare l’antico e troppo poco ortodosso modo di esplicitare la venerazione. E’ ancora importante la presenza di diverse “cinte”. Le cinte, in altre aree cente, accompagnavano le processioni in tantissimi comuni: quelle più diffuse erano candele unite a forma di barca o di torre, portate dai fedeli durante i riti sacri per manifestare la volontà di offrire un segno di devozione. I canti che fanno parte della ritualità sono dotati di diversi intercalari dialettali. All’uscita dalla chiesa si prova una grandissima emozione. Alcuni anni fa era ancora in uso che un pastore della zona, in occasione della festa, regalava “u piecuru”: una riffa con estrazione consentiva di vincere l’animale.
Si raccontavano tanti miracoli su questo Santo: molte persone giungevano dai paesi limitrofi per togliere un voto specie se c’era un familiare ammalato. E ciò accadeva sempre durante il giorno della festa.
Giovanna Zito, in un’intervista a Petina dell’11 giugno 2001, ha raccontato la potenza di questo Santo per la popolazione: “Stìano jenno a’ Mereca e stìa affunnanno (affondando) ‘a nave. U marenaro disse: – Raccumandateve l’anema, nun tengo chiù che fa! E’ assuto Sant’Unofrio e San Ciro che hana menato li funi sotto ‘a nave, e l’hana salvata”. E’ il viaggio verso l’ignoto, l’America, e non si può che raccomandare l’anima a Dio. La leggenda vede invece l’intervento dei Santi che legando con funi la nave riescono a salvare le vite umane.
A Petina si ricorda che per sciogliere un voto si mandava perfino l’oro da lontano. Sant’Onofrio è tutto pieno d’oro e il cesto delle offerte si riempiva due o tre volte in occasione della festa. Diceva la già citata Giovanna Zito: “‘U prevate s’addà fa’ sulo ‘a prucessione e niente chiù!”. Intendeva dire che il prete doveva farsi i fatti suoi, doveva solo occuparsi di fare la processione e nient’altro. Non si doveva intromettere sui simboli della devozione popolare.
Molte sono le storie di miracoli.
“Mio fratello Alberto, questa cosa è capitata proprio a me! Un nipote di papà fumava … sapete in queste cantine … e toccò vicino alla gamba: aveva tre anni. Tutto scottato. Mamma mia, questo bambino era stato scottato in un posto e si diffondeva in tutte le parti del corpo. – Portatelo dal medico! … – Oh povera me!, disse mamma. Ogni tre ore dovevamo dargli il latte con la medicina. Il medico: – E’ stato scottato da una sigaretta, portatelo a fare le analisi! Nelle analisi risultò una ferita emorragica: ogni tre ore gli davamo la medicina. Come un bambino piccolo: il latte con la medicina! Mamma, povera mamma, prendeva le urine e le faceva analizzare ogni ventiquattro ore. Ma uscivano parti intere di pus nelle urine … E andava a Polla, all’ospedale. Quando è stato, … mamma tornava all’una, con l’autobus dell’una, … e questo bambino, verso le undici, le dieci e mezzo, le undici meno un quarto, ha cominciato a chiamare: – Mamma, mamma! … – Ma che c’è, Alberto! Non chiamarmi, fratello mio! Io sto contando le gocce della medicina nel latte. Io ho nove anni più di lui. – E’ venuto Sant’Onofrio, è entrato dalla finestra … il letto era ai piedi della finestra … – e mi ha detto che sono guarito. Quando è tornata mamma non c’era più niente … niente, niente, niente! Poi mamma ha portato le analisi dal medico che ha detto: – E’ un miracolo! Questo era già vicino al cancello del cimitero! Per me non c’erano più medicine per salvarlo! Mamma fece appendere i soldi alla statua di Sant’Onofrio”. (Giovanna Zito, intervista 11 giugno 2001)
Si narra anche, è sempre Giovanna Zito, che un bambino mangiò delle prugne bianche, e il nocciolo gli restò nella gola. Per il medico non c’erra niente da fare. Ma il giorno di Sant’Onofrio la creatura si alzò dal letto e aveva il nocciolo della prugna in mano. E allora il padre trasportò la statua del Santo sulle spalle da Pertosa a Petina.
Il sacro esiste proprio perché l’uomo avverte il richiamo dell’Assoluto e si interroga sulla vita, sulla morte, sul significato della propria esistenza. Ma accanto alla religione rivelata da Dio e all’insegnamento di Gesù Cristo, sono presenti anche forme e manifestazioni di religiosità popolare che vanno dagli usi, costumi e pratiche tradizionali, fino alle feste, processioni, visite ai Santuari. Senza dimenticare i racconti favolistici e probabilemnte esagerati che servivano a tenere coesa la comunità, e sovente riguardavano eventi oscuri e terribili, quando il male sembrava prevalere. Poi tutto passava con l’intervento di una figura protettrice rappresentata da un Santo o dalla Madonna.
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