Lo Spirito Assoluto nella dialettica hegeliana
di Pasquale Martucci
Il 27 agosto di 250 anni fa nasceva Georg Wilhelm Friedrich Hegel (Stoccarda, 27 agosto 1770 – Berlino, 14 novembre 1831), il filosofo più rappresentativo dell’idealismo tedesco, corrente che si sviluppò in Germania tra la fine del XVIII secolo e l’inizio del XIX, a seguito della svolta kantiana sulla teoria della conoscenza. Nella corrente idealistica, Fichte rappresenterebbe l’«idealismo soggettivo», Schelling l’«idealismo oggettivo», e Hegel l’«idealismo assoluto», seguendo lo schema di “tesi-antitesi-sintesi” da lui stesso elaborato, in cui l’unità di soggetto e oggetto, essere e pensiero, diventa mediata dalla ragione dialettica.
La sua filosofia fu tra le più profonde e complesse: Hegel sviluppò una visione storicista e idealista della realtà che ha rivoluzionato il pensiero europeo, gettando le basi per gli sviluppi successivi. Il suo sistema teorico non trascurò poi lo Stato, la storia, l’arte, la religione.
Remo Bodei ha sostenuto che Georg Wilheim Friedrich Hegel è uno di quei pensatori che hanno cambiato il nostro modo di vedere il mondo, sottolineando come il suo problema fu di comprendere la realtà, atraverso tre forme mentali: a) arte, ovvero intuizione, conoscenza immediata della realtà; b) religione, rappresentazione, immagini e miti; c) filosofia, concetto e pensiero puro. (1)
La sua opera più importante la scrisse nel 1806: “Fenomenologia dello Spirito”; tra il 1812 e il 1816 realizzò: “Scienza della logica”; nel 1817 pubblicò: “Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio”. Si tratta di tre opere che daranno sistematicità al suo sistema di pensiero. Poi pubblicò molti altri lavori su religione, diritto, politica.
Veniamo alla: “Fenomenologia dello Spirito”. Strauss (sinistra hegeliana) affermò che con quest’opera “salpò con il proprio vascello per circumnavigare il mondo, forse seguendo la rotta di Ulisse”. (2) E’ divisa in otto parti: Introduzione, Coscienza, Autocoscienza, Ragione, Spirito, Religione, Sapere assoluto, Prefazione. Hyppolite sottolineò l’importanza di “vedere come i medesimi concetti vi arricchiscano i loro significati ricomparendo in stadi diversi”. (3)
E’ il viaggio personale di Hegel, il suo itinerario filosofico, anche se non riguarda solo la sua coscienza individuale, ma segue il percorso della storia del mondo, un percorso non breve ma ampio: del resto “perfino lo Spirito (quello assoluto) del mondo ha avuto la pazienza di attraversare queste forme per l’intera loro durata temporale”, ovvero esplorare le diverse epoche dell’umanità. Ed allora l’individuo non può pensare di percorrere un cammino più breve. Questa precisazione delinea il pensiero hegeliano e permette di fare i collegamenti con coscienza e storia del mondo e le numerose figurazioni: dalla Coscienza all’Autocoscienza, e così via fino al Sapere assoluto, ovvero scienza, filosofia, letteratura, cultura in senso lato come percorso di civiltà. (4)
La “Fenomenologia dello spirito” si rivolge dunque alla storia del pensiero, attraverso un divenire, nel tempo e nelle epoche, dell’esperienza della coscienza. L’opera di fatto descrive i tre momenti dello Spirito che hanno caratterizzato la cultura umana e che si ripetono continuamente nella vita di ciascun individuo, con l’intento di dimostrare la contemporaneità del modello astratto e del modello concreto, affinché, attraverso i fatti della storia, possa dispiegarsi, rendendo conto di sé, il divenire dello Spirito (Geist). La prima posizione che lo Spirito ha assunto nella storia è quella dell’armonia originaria, rappresentata dai Greci, dove le forze del dio erano presenti nella natura stessa delle cose (animismo). Il secondo momento è quello della scissione: Dio si manifesta all’uomo, ma, attraverso il peccato originale, opera la scissione; l’uomo sperimenta l’angoscia e il dolore: è il Medioevo, l’età che precede la modernità fino a Kant. Il terzo momento è scandito dall’avvento della Ragione, lo Spirito si eleva ad una consapevolezza compiuta, conscio della tristezza della scissione, vuole riconciliarsi con il mondo, diventa così Autocoscienza, la presenza attiva di uno Spirito nel mondo che si riconcilia con il mondo stesso, la realtà è Soggetto, attività e automovimento. (5)
Per comprendere Hegel occorre poi contestualizzare il dibattito sul criticismo kantiano a proposito della cosa in sé. Allora il filosofo pensò di compiere un processo sistematico della conoscenza, partendo dalla coscienza comune (realtà come dato) ad una coscienza che riconosce il complesso intreccio di rapporti che condizionano il punto di vista comune, ovvero la coscienza attraverso le sue esperienze. (6)
Si parte dal “sapere fenomenico”, sapere sensibile, per giungere al vero sapere: un itinerario dell’anima che, attraverso “una serie di proprie figurazioni”, si purifica e si innalza allo Spirito, giungendo “alla conoscenza di ciò che è in se stessa”. (7)
Ma Hegel non trascura di affrontare l’idea di Assoluto, costruito per la coscienza e che poi diventa il problema della costruzione del tutto, cioè il problema centrale della Fenomenologia. Prima di affrontare l’Assoluto, è importante chiarire quale tipo di conoscenza è più adatta a comprenderlo: potrebbe essere la conoscenza come strumento, ma anche la conoscenza come mezzo, perché, se “viene trascurata l’indagine critica preliminare del conoscere”, si potrebbe giungere ad un tipo inadeguato di conoscenza che non consente di pervenire alla verità. Hegel critica entrambe le posizioni e giunge a dire che non sarebbe possibile conoscere l’Assoluto se “non fosse e non volesse essere già presso di noi”. (8)
Non si tratta di accedere all’Assoluto come oggetto al di là del soggetto, “ma di prendere coscienza che esso è presso di noi e noi siamo presso di lui”, e che il problema del conoscere è di “cambiare il nostro modo di conoscere”. Perviene così ad una filosofia della totalità che si manifesta attraverso una serie di contraddizioni e di opposizioni. Il suo Assoluto comporta necessariamente la possibilità di includere ciò che non può rimanere escluso, poiché esso è una totalità onnicomprensiva che non può avere nulla fuori di sé. Quindi l’Assoluto è una unione di finito e infinito, ma anche una non unione e cioè opposizione di finito ed infinito. Ma per essere infinito deve anche essere finito, ossia deve includere la finitezza al suo interno. (9)
Nella parte dedicata alla “Coscienza”, inizia il suo viaggio alla ricerca del sapere assoluto e lo fa attraverso un “procedimento dialettico”. Muovendosi tra opposizione, negazione, antitesi, si realizza lo sviluppo dialettico della realtà: l’opposizione è ciò che fa muovere la vita, l’elemento dell’infinito progresso. (10)
Procedendo oltre, per Hegel la libertà individuale non esiste e tutto è determinato nello Spirito e dallo Spirito, che è anche Ragione, Essere e Idea e, insieme, il Dio che deve essere considerato come necessità assoluta che si fa identità assoluta. Sul concetto di necessità è “in sé” un’unica essenza identica “con sé”. Ciò che è necessario è “in sé” relazione assoluta. Nella sua processualità la relazione si nega e si supera in assoluta identità. Hegel si oppone alla separazione tra ideale e reale che era tipica del kantismo: per lui il presupposto della verità della conoscenza è un “monismo assoluto” di forme spirituali che si evolvono e si assolutizzano in un’unicità continua, dove il materiale e lo spirituale sono indistinguibili e connessi in un continuo superamento di momenti necessari del divenire storico per mezzo di una nuova figura, il fenomeno. (11)
Il capitolo più importante e studiato della Fenomenologia è quello dell’“Autocoscienza”, in cui la coscienza abbandona un rapporto teorico con il mondo per instaurarne uno pratico, concreto, attivo. La stessa è convinta del “proprio potere di dominio sul mondo o di opposizione ad esso”, con riferimenti sociali, culturali, politici e religiosi. In questo capitolo, c’è la figura di servo/padrone e quella della coscienza infelice. (12)
Veniamo a quest’ultima. La separazione tra ideale e reale, tra cielo e terra, ebbe luogo, secondo il filosofo tedesco, con l’avvento del pensiero ebraico e con il successivo pensiero cristiano. Allora si realizzò l’idea di un Dio che era scisso dal mondo e non appartenente alla natura delle cose. Ora l’uomo, lasciato al suo destino, viveva in uno stato di minorità che lo portava a quel senso di frustrazione e di pena, di infelicità concettuale: si realizzava dunque la scissione o alienazione, chiamata da Hegel: “coscienza infelice”. Questa situazione è necessaria per ricercare quel senso dell’armonia perduta, per creare la consapevolezza della propria esperienza tragica, la quale si risolve nell’aspirare alla riconciliazione finale con Dio, in una sorta d’armonia dinamica. Afferma Hegel che “questa coscienza infelice scissa entro se stessa è così costituita che, essendo tale contraddizione della sua essenza una coscienza, la sua prima coscienza deve sempre avere insieme anche l’altra. In tal modo, mentre essa ritiene di aver conseguito la vittoria e la quiete dell’unità, deve immediatamente venire cacciata da ciascuna delle due coscienze”. Di qui il passo verso il movimento, un triplice movimento secondo la relazione che essa assumerà in rapporto al suo al di là che ha forma e figura: in primo luogo “come coscienza pura, poi come essenza singola, comportantesi verso la effettualità come appetito e lavoro, e in terzo luogo come coscienza del suo essere-per-sé”. (13)
La figura del servo/padrone, parte dal presupposto che l’autocoscienza è in sé e per sé solo quando si confronta con un’altra autocoscienza ed avviene “il movimento del riconoscimento”. Si tratta dice Hegel di un intreccio che presenta aspetti e significati particolari, distinti, differenziati, “e in tale differenziazione, nello stesso tempo, devono sempre essere presi e conosciuti nel loro significato opposto, cioè come non differenti”. Per lui “l’ambiguità di ciò che è differenziato è insita nell’essenza stessa dell’autocoscienza”. (14)
La dialettica si realizza attraverso il seguente processo. Il signore è coscienza essente per sé, ma a sua volta deve essere mediata con sé da un’altra coscienza. Il rapporto avviene con il servo (che agisce nella cosalità) ed è legato al padrone in quanto non autonomo, mentre quest’ultimo esercita la sua potenza e dominio sul primo. Ma il signore si rapporta alla cosa mediante il servo, che trasforma la cosa mediante il suo lavoro. Ora il rapporto con la cosa è di non autonomia da parte del signore, che ne gode solo allo stato puro, in quanto il lato dell’autonomia della cosa egli lo lascia al lavoro del servo. Ovvero si tratta di riconoscere l’uno e l’altro, di far si che le due coscienze rimuovano se stesse come essere per sé. Il fare della seconda coscienza è il fare della prima: “ciò che fa il servo, infatti, è propriamente il fare del signore”. Hegel specifica: “il signore è soltanto l’essere per sé, l’essenza, la pura potenza negativa agli occhi della quale la cosa non è nulla, e il suo è dunque un fare puro ed essenziale all’interno di questo rapporto; il fare del servo, invece, non è puro, ma è inessenziale”. Il secondo momento segna il passaggio in cui quando va verso l’altro va in realtà verso se stesso, e così accade per il servo. Ed allora, la coscienza inessenziale costituisce per il signore “la verità della certezza di se stesso”. Il signore ora comprende di non avere una coscienza autonoma e non è certo dell’essere per sé come verità. La verità della coscienza autonoma è la coscienza servile: “Come però la signoria ha mostrato che la sua essenza è proprio l’inverso di ciò che la signoria stessa vuole essere, così anche la servitù una volta compiuta, diventerà il contrario di ciò che è immediatamente. Tornata al proprio interno come autocoscienza risospinta entro sé, la servitù si trasformerà allora nel proprio rovescio, e diventerà la vera autonomia”. (15)
Per offrire qualche ulteriore spiegazione, l’autocoscienza del signore non è puramente soggettiva e immediata, ma oggettivata e mediata dal riconoscimento del servo. Ma non si realizza mai il momento in cui il signore va verso il servo e viceversa. “Se il signore tratta l’altro alla stregua di un servo, non si comporta però egli stesso da servo”, spiega Kojève, che afferma come non si realizza un riconoscimento vero e proprio. (16)
Dalla parte del servo, Hegel parla della sua ricerca verso l’autonomia, ovvero da tre momenti: paura, servizio, lavoro. La prima è la paura della vita stessa, ecco perché è pronto a rischiare per cambiare; la seconda, il servizio, implica il concetto stesso di libertà, la predisposizione ad essa; infine, lavorando, il servo si libera della propria natura che faceva di lui lo schiavo del signore, realizza cioè la propria autocoscienza. Dunque, la paura del servizio e l’attività formatrice del lavoro conducono il servo alla liberazione della coscienza e l’approdo all’autocoscienza. (17)
Il cammino dalla coscienza all’autocoscienza è il cammino del vero idealismo. Dice Gadamer che “la Fenomenologia è la scienza dello spirito che appare reale”: il principio dell’idealismo non trova alcun posto nella scienza dello spirito reale, anzi trova in esso la sua realizzazione, perché il pensare è certo di fare esperienza del mondo come sua propria verità e presenza: “egli dimostra l’idealismo della ragione passando per la certezza dell’autocoscienza”. La ragione sarebbe proprio l’unità di pensare e essere, ed allora è implicito che “l’essere non è altro dal pensiero, che l’opposizione dell’apparenza e dell’intelletto non è una vera opposizione”. Ora, dice Hegel, l’autocoscienza è divenuta per sé, ma non è ancora unità con la coscienza in quanto tale, e l’Essere non è conosciuto come spirito e ragione. (18)
Il momento speculativo hegeliano consiste nel conoscere l’Assoluto come identità di soggetto e oggetto, ove l’accento è porsi in egual maniera in tutti e due momenti. Ma è il soggetto che, riflettendo sull’oggetto, “acquista la verità di esso nella propria certezza, e si rapporta nella certezza solo a se stesso, al proprio sapere, viene ad essere il fondamento assoluto di ogni verità”. (19)
Non sono le cose che partono dall’Assoluto, ma l’Assoluto è il procedere. Da ciò se ne deduce che la Realtà è infinita, è un Soggetto che tiene i fili della storia e che parla attraverso i suoi uomini, quegli uomini che la storia l’hanno sempre fatta in prima persona e operano per il naturale svolgimento. La storia del mondo è la storia stessa di Dio, è la storia dell’avvento dello Spirito, del realizzarsi della Ragione. La fenomenologia si ripercorre a partire dalla forme più semplici della coscienza individuale; è il ricongiungersi dell’universale con sé stesso, attraversando il concreto: in pratica è come se esistessero due piani separati che s’intersecano e sovrappongono quando l’Assoluto s’incarna nello Spirito soggettivo.
A proposito della celebre frase: “Ciò che è razionale, è reale; e ciò che è reale, è razionale”, Hegel intende che la ragione (Vernunft) non è semplicemente uno strumento della mente umana, ma è intelletto (Verstand), un principio metafisico, che diviene e si sviluppa nel mondo. Nella prima parte (“ciò che è razionale, è reale), afferma che ciò che è ragionevole diventa realtà, si attua in forme concrete: un ideale razionale prima o poi si realizza e se non si realizza, vuol dire che non è razionale. La seconda parte della formula (“ciò che è reale è razionale”) dice che in tutto ciò che è reale (nella natura e nella storia) si può rintracciare un’intrinseca razionalità. La realtà ha un suo sviluppo logico, poiché è il manifestarsi di una struttura razionale (l’Idea, o Ragione), che è inconsapevole nella natura e consapevole nell’uomo. Tutto ciò che esiste deve poter essere compreso, perché non esiste veramente nulla che la nostra ragione non sia in grado di capire. Pertanto, il manifestarsi di un’azione reale è rintracciabile nella sola Ragione, origine e procedimento del reale stesso.
Hegel nell’“Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio”, specifica il farsi dinamico dell’Assoluto, ovvero il divenire, il continuo cambiamento della realtà: a) idea in sé (tesi), che può essere identificata con il Dio prima della creazione dell’entità finita (il mondo); b) idea fuori di sé (antitesi), è la Natura, cioè l’estrinsecazione o l’alienazione dell’Idea nelle realtà spazio-temporali del mondo; c) idea in sé e per sé (sintesi), che ritorna in sé, cioè lo Spirito, ovvero l’idea che ritorna al suo stadio iniziale, gonfia di concretezza, dopo il passaggio attraverso la Natura. Il compito della filosofia è di prendere atto della realtà quale essa sia. Essendo la filosofia la più alta e compiuta manifestazione dell’Assoluto, non può essere presente in ogni stadio del pensiero umano, ma solo alla fine del percorso, quando la realtà è già compiuta e non vi è più nulla da trasformare. Si tratta di rendere sistematico e organico il processo descrittivo che presuppone aspetti che per Hegel sono quelli razionali e necessari. E se il reale è razionale, la filosofia deve sostanzialmente accettare la realtà presente, senza contrapporre ad essa degli ideali alternativi poiché la realtà, sostanzialmente, è già come deve essere. Ed allora il suo compito è prendere atto della realtà storica e giustificarla con la ragione. (20)
Il merito di Hegel è di aver restituito alla filosofia il diritto e la capacità di pensare contenuti e di conseguenza “il primato assoluto del soggetto”. Il punto di partenza è identità / non identità che di fatto pone al centro l’uomo, anche se poi di fatto nella dialettica cerca di trovare l’oggettività. Per lui, “la filosofia antica poteva essere più vicina della moderna alla fluidità dell’elemento speculativo perché i suoi concetti non sono ancora staccati dal terreno del molteplice concreto che essi devono comprendere”: si tratta cioè delle determinazioni che devono essere elevate all’universalità dell’autocoscienza. (21)
Ora è necessario trovare l’universalità, quella che Hegel chiama la “certezza di se stesso”, ovvero l’autocoscienza. La filosofia antica sarebbe immersa nella sostanza, concetto a sé e non per sé, ovvero soggettività. Dice Gadamer che la dialettica deve essere “del nostro pensare” e non solo “del pensato”, ed allora la dialettica del concetto dovrà compiere “lo sviluppo verso il concetto del concetto, verso il concetto dello spirito stesso”. La conclusione è che si sbaglia a pensare che la dialettica sia un “traballante sistema soggettivo del pensiero di ragionamenti che vanno e vengono, ed a cui manca il contenuto” (Hegel). Ora, scrive Gadamer, quella hegeliana è una dialettica che vuole “costruire questo sistema del mondo come universale sistema di rapporti di concetti”. (22)
La dialettica dell’essere è la dialettica implicita nel linguaggio, nel rapporto dinamico tra le strutture logiche, grammaticali e semantiche: “tale dialettica si dispiega nella vivente realtà del dialogo, e non è altro che dialogo”. E procedendo così Gadamer rileva: “la dialettica deve riprendersi nell’ermeneutica”. (23)
Dice Bodei che il punto di arrivo del pensiero hegeliano è il “sapere assoluto”, e cioè che l’uomo attraverso il pensiero comprende la natura e il soggetto riesce a capire l’oggetto. L’oggettività è creare le istituzioni, lo Stato, realizzando un progetto e dunque riconoscere me stesso nelle istituzioni. E creare le istituzioni è anche fare delle azioni, dei pensieri, dei sentimenti, creare lo spirito oggettivo. (24)
In conclusione l’attualità di Hegel non è facilmente percepibile, anche se, visti gli sviluppi successivi, dobbiamo molto e siamo debitori del suo pensiero che si è elevato per dare una sistematicità non solo alle idee più elevate ma anche ai fatti concreti della realtà. Liberò la filosofia dalle astrazioni e la fece aderire al mondo, per esprimere una verità che sta nella contraddizione, nella dialettica, nel processo storico, nella fatica del lavoro storico e sociale con cui l’uomo produce se stesso e il proprio mondo.
Note:
- R. Bodei, “Hegel e la dialettica”, Gruppo Editoriale l’Espresso, 2011, 24.
- Georg W. F. Hegel, “Fenomenologia dello Spirito”, Armando 2007.
- Ivi, 12-13.
- Ivi, 13-14.
- Ivi, 119-121.
- Ivi, 15.
- Ivi, 42.
- Ivi, 43-46.
- Ivi, 47-48.
- Ivi, 50.
- Ivi, 117-178. Si tratta di una sintesi delle parti, dalla ragione al sapere assoluto.
- Ivi, 52-53.
- Ivi, 56. Da 89 a 90 e da 95 a 116.
- Ivi, 55.
- Ivi, 72-74.
- Ivi, 78.
- Ivi, 80-83.
- H. G. Gadamer, “La dialettica di Hegel”, Marietti 1973, 1971, 73-74.
- Ivi, 156.
- Georg W. F. Hegel “Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio (1930)”, Bompiani 2000.
- H. G. Gadamer, cit., 13-14.
- Ivi, 14-15.
- Ivi, 174.
- R. Bodei, cit., 21-22.
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