La via della persuasione in Carlo Michelstaedter
di Pasquale Martucci
«Cosa che mi possa fare diverso da quel che sono non esiste, che mi potrebbe togliere di continuare in ciò e per ciò che non esiste, ma non potrebbe mai togliermi il mio mondo: che duri un anno o un secolo sarà sempre lo stesso».
(“La persuasione e la rettorica”)
Nato il 3 giugno 1887 e vissuto a Gorizia, il 17 ottobre 1910, 110 anni fa, Carlo Michelstaedter si toglie la vita con un colpo di rivoltella.
I suoi lavori sono stati pubblicati postumi: si tratta di idee e riflessioni che anticipano molte tematiche che si svilupperanno nel corso del novecento, da Heidegger a Severino e Derrida. Ad ogni modo, il suo pensiero è oggi rivalutato, soprattutto per i contenuti politici e i richiami alla dimensione comunitaria dell’agire umano.
Nell’arco degli ultimi cinque anni della sua vita, produce una mole enorme di scritti di vario genere: elabora la tesi di laurea: “La persuasione e la rettorica”, un importante contributo alla filosofia europea dell’inizio novecento; si occupa poi della composizione di saggi, racconti e poesie; infine disegna e dipinge. Svolge una serie di attività in cui mette in gioco tutto se stesso, così come amava immergersi nei ritmi della quotidianità, frequentare teatri e osterie, oltre che tanti amici, con il desiderio di vivere freneticamente per non perdere nulla della vita.
Ma è il filosofo Michelstaedter che interessa, e soprattutto le argomentazioni del suo lavoro sulla persuasione, da perseguire, e la rettorica, che offre soprattutto illusioni all’uomo, indotto a soddisfare i suoi bisogni e i suoi desideri e ad adattarsi alla vita.
La philopsichia (amore della vita), che Michelstaedter chiama anche dio del piacere, inganna l’uomo, facendogli credere di poter ottenere quello che desidera, cioè il conseguimento del piacere, il soddisfacimento dei propri bisogni, lo stesso perseguimento di un ideale fuori si sé. L’istinto che è alla base dell’amore della vita è la sopravvivenza dell’uomo, non la sua realizzazione: fa sì che egli si adatti, che sfugga al rischio e al dolore, amando irrazionalmente la vita e provando paura della morte.
L’essere umano è da lui presentato come un peso che pende ad un gancio, e la sua condizione è di chi desidera scendere verso il basso; se pur riuscisse a porre termine alla sua corsa verrebbe meno la sua stessa natura, quella di essere un peso. Per questo la sua vita è mancanza di vita: anche se l’uomo fosse perfetto, comunque finirebbe di esistere perché il peso gli impedisce di possedere la sua vita. Sembrerebbe questa una visione che non presuppone alcuna via d’uscita, che teorizza solo la morte come unica possibilità di avvicinamento ad una realtà autentica. Ed invece, la sua opera apre uno spiraglio nella persuasione, nella dimensione della finitezza di una vita che va vissuta, non come ricerca del piacere, soddisfazione dei bisogni, ma nella dimensione del dolore che dimostra il fondo reale delle cose e distrugge le illusioni. La via della persuasione sarà allora quella di fondare una nuova identità personale, che presupponga la presa di possesso dell’individuo che si concentri sul suo presente. La persuasione porta al superamento delle illusioni, alla constatazione che né dagli altri uomini né dalle cose ci si deve aspettare nulla e non si deve temere nulla. Chi raggiunge il possesso di se stesso acquisisce la libertà assoluta dai bisogni quotidiani, dai desideri e dai timori, e sa accettare con coraggio il dolore. Punto centrale è la concezione della morte che non è temuta né desiderata, ma è disarmata, per colui che non chiede la vita e non teme la morte, dà tutto e non chiede niente, non si accontenta, non si adatta, non si adegua, sceglie con coraggio la strada difficile della filosofia, della solitudine, del possesso di sé mai definitivo ma da conquistarsi ogni giorno. Chi si incammina sulla via della persuasione acquisisce la consapevolezza della finitezza, della possibilità di morire senza aver “paura della morte”. Michelstaedter sembrerebbe così anticipare il concetto heideggeriano di “essere-per-la-morte”. L’individuo persuaso avverte la morte come esperienza dalla quale partono le autentiche intuizioni dell’esistenza: bisogna dunque avere il coraggio di guardare in faccia la morte, per riuscire a percepire e finalmente a far proprie quella verità e quell’autenticità della vita.
Il pensiero di Michelstaedter procede per liberare il potenziale di tragicità dell’esistenza, attraverso contrapposizioni concettuali (persuasione/rettorica, vita/morte, piacere/dolore), senza alcun tentativo di mediazione dialettica. Per lui, la via della persuasione non ha segni, indicazioni che si possano comunicare, studiare, ripetere. Ma ognuno ha in sé il bisogno di trovarla nel proprio dolore, ognuno deve nuovamente aprirsi da sé la via, poiché ognuno è solo e non può sperar aiuto che da sé: la via della persuasione non ha che questa indicazione. La salvezza individuale è possibile solo in una singolarità irripetibile, irriducibile, concentrata in sé.
Il suo solipsismo è perciò radicale: non ci sono vie, non ci sono cammini, c’è solo il viandante che nel deserto dell’esistenza è il primo e l’ultimo, crocefisso al legno della propria sufficienza e schiacciato dalla croce di falsi bisogni. Poiché il mondo è negatività assoluta, al pensiero non resta che negare questa stessa negatività rifiutando i dati dell’immanenza.
La produzione poetica e quella pittorica di Michelstaedter possono essere considerate un prolungamento e un completamento di questo sentimento tragico e mistico. Nel verso poetico egli tenta di esprimere l’inesprimibile, di dire con parole ciò che sfugge al sistema di segni codificato e perciò già da sempre istituito retoricamente; nel segno pittorico, traluce l’impossibilità di giungere a quella che Parmenide chiamava “la ben rotonda verità”: non siamo giocati solo dalle parole, ma anche dalle immagini di una realtà fatta di colori e di forme che ci sfuggono nella loro immediatezza e alterità. Anche l’arte e la poesia, come la retorica filosofica, si rivelano infine per quello che sono: fragili orpelli di cui si orna l’oscurità dell’essere e che ogni linguaggio escogitato dall’uomo sarà sempre impotente a esprimere.
La breve vita di Michelstaedter scorre all’insegna di una volontà di vivere continuamente illuminata dal desiderio di un altrimenti e di un altrove metafisico che fa di lui, già in giovane età, un impulsivo, un irrequieto esploratore di linguaggi e di mezzi espressivi, capace di spaziare attraverso discipline e molteplici interessi. Nell’apologo dell’aerostato, incluso ne: “La persuasione e la rettorica”, l’essenza del pensiero occidentale viene fatta risalire a un “parricidio”: quello di Aristotele nei confronti di Platone. Quest’ultimo, nella metafora costruita da Michelstaedter, escogita un mechánema, una macchina volante per abbandonare il “peso” del mondo e giungere all’Assoluto. Maestro e discepoli riescono a liberarsi negli alti spazi del cielo, ma restano a metà strada, fra una mera contemplazione dell’essere e del tempo e la nostalgia della terra e delle cure mondane. A riportarli sulla terra ci pensa allora un discepolo più scaltro e intraprendente degli altri, Aristotele, il quale, tradendo il maestro, fa scendere il mechánema restituendo così a tutti “la gioia d’aver la terra sicura sotto i piedi”.
Questa nostalgia del mondo intelligibile platonico fa quindi di Michelstaedter un discepolo di Schopenhauer, più che di Nietzsche. Aveva iniziato ad occuparsi di speculazione filosofica al liceo con le traduzioni dal greco e dal latino, spinto dal suo professore di filosofia, Richard von Schubert-Soldern, che riconduceva il sapere alla sfera del “soggetto”, e dall’amico Enrico Mreule, ex compagno di classe, che gli fece conoscere: Il mondo come volontà e rappresentazione. Oltre a Schopenhauer , il nucleo attorno al quale si sviluppa il suo pensiero è costituito dalla riflessione sul rapporto tra individuo, vita e morte. Michelstaedter sceglie alcune figure come ideali interlocutori e ispiratori di tutta la sua opera: Parmenide, Socrate, Eraclito, Empedocle, Simonide, Eschilo, Sofocle, Cristo, Buddha, Petrarca, Leopardi e infine Ibsen. Ad essi si oppongono, come campioni della rettorica, Platone, Aristotele e Hegel.
Eventi che segneranno la sua esistenza sono nel 1907 la morte della donna da lui amata, Nadia Baraden, e nel 1909 quella del fratello Gino: entrambi ricorrono al suicidio. Tra il 1909 e il 1910, completati gli esami, ritorna a Gorizia e inizia la stesura della tesi di laurea, assegnatagli dal docente di letteratura greca, Girolamo Vitelli, concernente i concetti di persuasione e di retorica in Platone e Aristotele. La sua attività è febbrile: oltre a: “La persuasione e la rettorica”, scrive anche la maggior parte delle Poesie e alcuni dialoghi, tra cui spicca il Dialogo della salute. Il suo isolamento diventa pressoché totale, mangia pochissimo e dorme per terra, come un asceta; vede solo la sorella e il cugino Emilio. Il 17 ottobre 1910, dopo un diverbio con la madre, impugna la pistola lasciatagli dall’amico Enrico Mreule e si toglie la vita.
Se Michelstaedter è stato a tratti considerato come un filosofo dai toni accesi e individualistici, vi è in lui certamente una vena, che senza alterare minimamente il significato della sua esperienza intellettuale ed esistenziale, può essere qualificata come civile. Nei suoi scritti minori, ci sono spunti politici che rinviano ad un mondo in cui l’uomo troverà la forza per costruire un proprio sistema, in cui mettere al centro lavoro e giustizia. In molte pagine de: “La persuasione e la rettorica”, c’è l’apertura all’universo dei rapporti condivisi ed al tempo stesso la possibilità di gettare le basi per una comunità di individui che rappresenti una forma di convivenza in cui ci sia l’ideale della persuasione.
Michelstaedter pensa ad una comunione vera con il mondo:
«Finché l’uomo vive, egli è qui, – e là è il mondo, finché egli vive vuole possederlo, finché egli vive, in qualche modo s’afferma: dà e chiede, entra nel giro delle relazioni – ed è sempre lui qui e là il mondo diverso da lui. Ma di fronte a ciò che era per lui una data relazione, nella quale affermandosi egli chiedeva di continuare, ora egli deve affermarsi non per continuare, deve amarlo non perché esso sia necessario al suo bisogno, ma per ciò ch’esso è: deve darsi tutto ad esso tutto per averlo: poiché in esso egli non vede una relazione particolare ma tutto il mondo, e di fronte a questo egli non è la sua fame, il suo torpore, il suo bisogno d’affetto, il suo qualunque bisogno, ma egli è tutto: poiché in quell’ultimo presente deve aver tutto e dar tutto: esser persuaso e persuadere, avere nel possesso del mondo il possesso di sé stesso – esser uno egli e il mondo».
Non solo essere persuaso, ma anche persuadere: è questo l’approdo della ricerca teorica di Michelstaedter, che si apre alla pluralità e si pone come obiettivo la riformulazione di concetti come “educazione”, oltre al già citato “giustizia”. In un quadro che sembra condurre ad una soluzione meramente individualistica della problematica esistenziale, ecco che il suo pensiero non disconosce i presupposti per poter immaginare una società che si impone di «crear sé ed il mondo». In realtà, il suo è un approccio critico al pensiero dominante (rettorica), allo stato attuale delle cose che crede di essere immodificabile e acquisito una volta per tutte.
Riferimenti: opere di Carlo Michelstaedter
- C. Michelstaedter, “La persuasione e la rettorica”, a cura di V. Arangio Ruiz, Formiggini, 1913; a cura di E. Michelstaedter, Vallecchi, 1922; a cura di M. A. Raschini, Marzorati, 1972; a cura di S. Campailla, Adelphi, 1995; a cura di A. Comincini, Yorick Libri, 2008.
- C. Michelstaedter, “Opere”, a cura di G. Chiavacci, Sansoni, 1958.
- C. Michelstaedter, “Epistolario”, a cura di S. Campailla, Adelphi, 1983.
- C. Michelstaedter, “Poesie”, a cura di S. Campailla, Adelphi, 1987.
- C. Michelstaedter, “Il dialogo della salute e altri dialoghi”, a cura di S. Campailla, Adelphi, 1988.
- C. Michelstaedter, “La melodia del giovane divino”, a cura di S. Campailla, Adelphi, 1988.
- C. Michelstaedter, “Sfugge la vita. Taccuini e appunti”, Aragno, 2004.
- C. Michelstaedter, “Dialogo della salute e altri scritti sul senso dell’esistenza”, Mimesis, 2009.
- C. Michelstaedter, “I figli del mare e altri scritti sulla vita e sulla morte”, a cura di E.S. Storace, AlboVersorio, 2015.
- C. Michelstaedter, “L’aerostato della filosofia”, a cura di N. Zippel, Castelvecchi, 2015.
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