Di seguito pubblico due poesie dense d’amore e ricordi del paese natio di Emilio La Greca Romano
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“A tessitura corta di tramaglio tuo ritorno”
Sognante marina assorta
a lunare curvatura altalenante,
dispone accanto
corali albescenti case.
A sferoide di luminoso plasma
una solitaria chiesa antica ai mari.
Dimore stanno allegre a luccichio brillante
in multiplo chiaror d’oriente
che traguarda il sole.
Del Cilento, dolina in petto,
mia piazza, fiorale schiusa mattutina,
a gioviale voce di paesi
e forme di bellezza sparsa.
Ho veduto uliveti distese verdecenere
tuffanti nel blu marino,
aspra terra di borgate solitarie,
cuori abbarbicati a rocce severe
come paesi di sommità crollanti,
adagiate minute, dure case a riva.
D’amore candido abitanti pietre,
spose fedeli, come bacianti grani,
distese melodie convenevoli parlanti,
in docile linea di carena.
E noi arrestati da bellezza di natura,
nutriti da imprese vive,
a metafora di scuola mare.
Grida storia nostra tessitura.
Intrecciammo reti corte di tramaglio.
Versammo giovanili, in diletto solitario,
al paese che ancor aggrada nel ricordo.
Senza localismi
passammo ad altra maniera,
a lunghe tessiture,
a respiro d’aria larga,
senza morte di chiusura.
E nell’ora che si tocca col respiro
che grida suo moderno,
siamo reti provenienti,
intreccio di pensieri,
groviglio di parole,
viluppo di saperi,
intricate decisioni.
Invalso resta tramaglio ai mari.
Tornante a salvezza di passato,
a fede mia indiffusa.
Tornante a carreggiati solchi di campi,
a conche chiuse.
Tornante a dolcezza arborea di paese.
Tornante a colorazioni e forme
di mutabili rocce fatte parole,
a morbide sere di speranza,
a nostri cieli chiusi estesi.
Tornante antico,
tornante assai di forza,
mio ridivenir convinto;
così, d’amor che brucia il petto,
a remota scuola di paese, nel sol che avvampa son rimasto.
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“Miracolo d’Iddio”
E’ restata alle vie l’odoranza ballerina di castagne,
falsa elemosina riparante di Salerno dogliante,
ora partoriente nella sera accesa che si piega,
a confusa luce persa d’emisfero.
Per fragorosi vicoli allumati di mercanti,
mancanti pace, rincorsa a sordo Natale.
con sparsi sapori e soli caldi aliti di gelo.
A marina torno, a bagliori della costa lontani,
ostinata nel seguir ogni suo divisamento.
Torna l’estate del pensiero e mi riscovo.
Dalla piazza mare sospesi ai versi,
a ritmica unità di poesia nuova.
Ridente in cuore perduta stagione.
Tornami repentina a occhi d’amore.
Portami scarsi, scavati rugosi pescatori,
evocativo potere degli odori.
Arrecami nelle strade di festa a marittimi aromatici,
a clemente offerta d’acqua,
a respiro di paese restante brivido di cuore,
a strutture esperidiate nei profumi del mio mare.
Andiamo a poseidonia ancora,
dirigiamo ad altre alghe marine.
E posiamo nascita al petto,
nel cerchio senza schiamazzo,
sul muschio vegetale dell’estate.
A trionfo di bellezza di natura
portami indocile cuore,
ai succhi fruttosi freschi delle coste,
nello iodio che sale dall’acqua di bella stagione,
come liturgia di santi in celestiale orazione.
Eternami nel verde sale che lambisce abitate pietre,
negli occhi suoi d’amore,
scivolante sole sulla pelle.
Portami pensiero questa sera.
Parlami d’allegro Natale,
nella maschera d’assenza del paese,
al niente mio fatto preghiera.
E torna, rivieni in baci di gelo
alle agrumate onde paradiso,
alle madri genuflesse, ai sospesi grani,
a credenti d’assoluta convinzione,
in chiesa di sale, nei vicoli di cuori.
Restami paese negli odori dove spira brezza mare.
e l’amore ha suo farsi cosi grande, oltre parola.
E qui m’assuma immensità d’universo come amore.
La sera muore tarda, fra luci di sol gelo.
Nell’aria larga del mattino torneremo nati nuovi.
a morbida terra fragranza,
all’odorizzante pietra forte e sola,
al sentire scomodo di muffa
e copiosa fresca pioggia.
Staremo a libertà nel canto di fragranze,
a melodie sapori.
Non mi passi un sole al petto, resti canto mio,
in questo nudo amore, biancheggianti case, miracolo d’Iddio.
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