Alcune riflessioni sul volume: A. Barbero, “Dante”, Laterza 2020
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Sabato 11 giugno 1289, il giorno di San Barnaba, Dante (Durante) Alighieri è nell’esercito fiorentino e partecipa alla battaglia di Campaldino contro gli aretini. Con questo episodio inizia il libro dello storico Alessandro Barbero, descrivendo un evento che proietta il giovane futuro poeta nella vita dell’epoca.
La sua esistenza è legata agli avvenimenti che accadono a Firenze a partire dalla metà del duecento: qualche anno dopo vengono coniati i primi fiorini d’oro che hanno un importante rilievo nella politica mercantile europea. È il conflitto tra guelfi, fedeli all’autorità temporale dei papi, e ghibellini, difensori del primato politico degli imperatori, che diviene sempre più una guerra tra nobili e borghesi, simile alle guerre di supremazia tra città vicine o rivali. Se prima della nascita di Dante la città è nelle mani dei ghibellini, nel 1266 Firenze ritorna in quelle dei guelfi ed i primi sono espulsi. A questo punto, il partito si divide in due fazioni: guelfi bianchi e guelfi neri, caratterizzati dalle famiglie che detengono il potere e dai loro seguaci. I primi sono rappresentati dai Cerchi, ricca famiglia mercantile che appoggia il governo del popolo; gli altri sono capitanati da Corso Donati, capo di un antico e consolidato clan della nobiltà fiorentina.
Dante nasce nel maggio 1265 da una famiglia che potrebbe essere definita nobile solo per l’antichità e il rispetto che suscita in città, non perché detiene un qualche titolo, né in quanto appartiene alla più ristretta cerchia dell’aristocrazia cittadina.
È un discendente di Messer Cacciaguida (probabilmente cavaliere), il trisnonno, il cui figlio si chiama Alaghieri, mentre il nonno è un certo Bellincione (Alachieri, Allagherii), attivo nella vita politica del comune. Di questo si è certi per una serie di documenti sottoscritti per definire affari e transazioni economiche; come pure si sa che Bellincione ha sei figli maschi tra cui Alighiero, il padre di Dante, che si occupa di affari e forse di prestiti, dunque un uomo che “maneggia soldi”. Del poeta si conosce: del suo innamoramento per Beatrice (Bice di Folco Portinari), di cui si trova riscontro soprattutto nella Vita nuova; della sua passione politica; della sua mirabile arte, quella poetica, che gli permetteva di entrare in tenzone con altri valenti uomini dell’epoca, come ad esempio Forese Donati. I due si sfidano con sei sonetti, tre per ciascuno, per rinfacciarsi colpe e malefatte con lo scopo non solo di un’esercitazione letteraria. Dante segue amici raffinati per costumi ed ideali, giovani poeti che si ispirano a Guido Guinizzelli e introducono un nuovo modo di fare poesia: il dolce stil novo. Poi si sa soprattutto della grande opera conosciuta in tutto il mondo: “La Divina Commedia”, oltre che dei numerosi lavori poetici, politici e filosofici.
Ci sono tuttavia molti periodi della sua vita oscuri. E qui entra in gioco lo storico Alessandro Barbero che indaga quei lati poco conosciuti, volgendo lo sguardo a comporre e scomporre ipotesi, per avere una visione più completa di Dante. Il confronto dei documenti e l’attendibile ricostruzione dei fatti sono realizzati attraverso un linguaggio chiaro, discorsivo, che immerge il lettore in un’atmosfera medievale in cui ci sono le strade di Firenze, i personaggi che confliggono, le disposizioni di governo molto faziose, ovvero un contesto non comune che in genere solo le immagini riescono a cogliere. Ed invece quelle pagine conducono il lettore, dotato di fantasia e sensibilità, ad immergersi nel clima politico e sociale dell’Italia della seconda metà del duecento e dei primi decenni del trecento.
Eppure questo volume non è un romanzo storico, ma una puntigliosa ricostruzione molto fluida di una storia che quando diventa carente è colmata dalle riflessioni dell’autore, attraverso ben ottanta pagine tra note e riferimenti bibliografici che danno il senso di un lavoro realizzato con grande acume. Il suo metodo è il confronto continuo con le fonti storiche, le uniche che vanno ben interpretate per riuscire ad offrire un grande affresco di vita e una sistematizzazione attenta e precisa della storia del grande poeta.
È proprio la vita di un uomo che ha debolezze, ma anche un senso di giustizia al di là delle fazioni: basti pensare che nell’esercizio dei suoi uffici pubblici è contro l’imperatore ed al contempo avverso al papa. Interessante è la ricostruzione dell’infanzia di Dante, dell’amore, degli amici, degli studi (grammatica, retorica, ma poi latino, poesia e filosofia), prima di inserirsi a pieno titolo nella vita politica. Un capitolo importante è sulla moglie Gemma di cui si sa poco, l’essenziale, ovvero di essere imparentata con i Donati, figlia di Manetto Donati, cugina di Corso e di Forese, ma appartenente ad un ramo meno potente della famiglia dei guelfi neri. Il matrimonio avviene forse con un atto preliminare nel 1277, oppure nel 1285 o ancora nel 1293, epoca in cui il poeta ha un’età più consona ad un matrimonio: nascono da quell’unione Iacopo, Pietro, Antonia (probabile monaca a Ravenna col nome di suor Beatrice), e verosimilmente Giovanni. Gli affari di Dante sono ancora più intricati: possesso di proprietà terriere nel contado; affari in danaro preso in prestito, ma anche transazioni creditizie non sempre nel ruolo di debitori. Insieme al fratello Francesco, afferma Barbero, vivono comodamente di rendita come “cittadini rispettabili e onorati della loro città”.
A Firenze il governo è detenuto da sei Priori delle Arti, espressione del mondo artigianale ed imprenditoriale; dal Gonfalone di giustizia; dai Signori, che tuttavia si alternano per non avere eccessive concentrazioni di potere. Poi ci sono cinque Consigli, che coinvolgono centinaia di cittadini e si rinnovano ogni sei mesi. Fanno politica le Capitudini delle Arti; infine il Podestà, che esercita il potere esecutivo ed è sottoposto a verifiche annuali, pur essendo un professionista fatto venire da un’altra città.
Dante partecipa alla vita politica tra il 1295 e il 1301: si iscrive, come deve essere allora, ad una corporazione, all’Arte dei “Medici e Speziali”, che raccoglie alcune delle menti più all’avanguardia della cultura dell’epoca; appartiene ai guelfi bianchi, contro la famiglia di sua moglie (Donati). Quando la lotta tra le due fazioni si fa più aspra, Dante cerca di difendere l’indipendenza della città opponendosi alle tendenze egemoniche papali. È tra coloro che si oppongono alle intromissioni nella vita pubblica di Firenze di papa Bonifacio VIII che, col pretesto dell’assenza dell’Impero e contando sulle discordie cittadine, mira al dominio sulla Toscana. Nel 1300, Dante è eletto tra i sei Priori, i più alti magistrati del governo che compone la Signoria. Nel 1301, a Firenze il partito dei neri prende il sopravvento, sostenuto dal papato. In quando personaggio scomodo e forse poco tutelato da amici ed alleati, è condannato all’esilio per una vita sempre in bilico tra onori e cadute, che segnano la sua esistenza. È accusato di corruzione, sospeso dai pubblici uffici e condannato al pagamento di una pesante ammenda. La sua famiglia è individuata tra i prestatori, e partendo da lì si trova il pretesto per esiliarlo. Una prima sentenza del 17 gennaio 1302 lo condanna, con l’accusa di baratteria, allora comunemente usata contro gli avversari politici, a una multa, al confino e all’esclusione dagli uffici; non essendosi presentato in città, una successiva sentenza del 10 marzo dello stesso anno lo esilia in modo perpetuo, con minaccia di morte se trovato entro i confini del comune.
Il libro di Barbero però non si limita a ciò. È importante verificare chi è il poeta e tutte le caratteristiche che delineano la figura di quel personaggio, illustrandone le inquietudini e le scelte che lo portano a non essere funzionale alla vita di Firenze. Ed allora vive altri luoghi ed altre esistenze. I vent’anni d’esilio, fino alla morte, lo privano della sua città e ne segnano il pensiero e la poesia. Dapprima Dante lotta insieme ai bianchi e con loro spera di poter rientrare; ma già prima del luglio 1304 se ne allontana. Intorno al 1306, implora il perdono alla Firenze nera, perché “exul immeritus”, che ha subito ingiustizia.
Tuttavia, contrariamente a ciò che si crede, quegli anni non sono del tutto vani. Oltre a realizzare le sue opere, il fatto che sia “un politico di una qualche notorietà, e soprattutto un poeta e un dictator di chiara fama” gli permette di trovare ospitalità presso le cancellerie di alcuni signori tra Lombardia, Romagna, varie zone dell’Italia centrale. Per cercare di individuare i luoghi dell’esilio, Barbero, consultando un’infinità di fonti, riporta: Verona; Urbino, presso diversi nobili tra cui Uguccione della Fagiola, come sostiene Boccaccio. Frequenta l’Appennino centrale e l’aristocrazia della montagna; Bologna; Padova; Sarzana, presso i marchesi Malaspina; Parigi. Dante dimora tra le grandi famiglie nobili che dominano le aree montuose d’Italia centrale, a suo dire le uniche in grado di risollevare le sorti dell’Italia da coloro che si occupano solo di affari.
Lo storico fa immergere il lettore in queste città, nelle ferventi attività, che permettono ad alcune di primeggiare sulle altre; riprende le condizioni sociali, economiche, politiche, gli affari, le beghe e i tradimenti che si svolgono lungo lo stivale. Sul soggiorno bolognese, molti documenti accreditano la tesi che Dante abbia scritto il Convivio e il De Vulgari Eloquentia, con intenzione politica e pedagogica, anche perché la città è retta proprio da un comune popolare e guelfo. Ma per il poeta l’intenzione è di diventare politico e filosofo laico, e dunque quella città può essere per lui molto importante.
Se Barbero riporta nei primi capitoli un Dante esponente del popolo, in seguito rileva il suo rivolgersi, quando è in esilio, ai signori che sono generosi per i suoi servigi. Il suo pensiero politico prende la sua forma definitiva. Per parlare dei malanni d’Italia, individua le discordie dei vari comuni e crede che la ragione sia da individuare nella carenza di un potere civile unico, cioè dell’Impero. Qualcuno crede che da guelfo moderato il poeta sia divenuto quasi un ghibellino.
Intorno al 1310 Dante è molto speranzoso sulla sua sorte: c’è la discesa di Enrico VII in Italia per farsi incoronare re d’Italia a Milano e imperatore a Roma. I guelfi di Firenze fanno credere al popolo il ritorno dei ghibellini in città, mentre Dante esorta i neri ad arrendersi all’imperatore. Non è più il poeta implorante perdono. La morte di Enrico VII (1313) frena però ogni speranza: Dante torna a Verona, ospite questa volta di Cangrande. Forse a questo periodo risale l’opera: la Monarchia, in cui espone il sogno di una monarchia universale.
Un altro elemento di rilievo accade dopo la disfatta dei fiorentini contro Uguccione della Fagiola, che governa Pisa e Lucca, a Montecatini. Dante e la sua famiglia sono banditi come “ghibellinos et ribelles”.
La Commedia trova origine plausibile tra il 1306-07; prima della morte di Enrico VII è completato certamente l’Inferno. Si crede invece che il Purgatorio solo verso la fine del 1315 sia stato concluso. Per Barbero ancora un evento non del tutto chiaro è la dedica del Paradiso a Cangrande della Scala da Verona, quando al contrario ci sono riscontri che l’ultima Cantica sia stata completata a Ravenna, la città che lo accoglie fino alla morte.
Come tutto ciò che concerne la vita di Dante Alighieri, anche la data della sua morte appare piena di contraddizioni: parrebbe essere avvenuta tra il 13 e il 14 settembre 1321. In quella notte “il profeta andò a scoprire se quando aveva immaginato in tutti quegli anni era vero”, come è riportato nelle righe conclusive del volume.
Questo libro è uno dei documenti più riusciti sulla vita di Dante. Pur non analizzando la sua poetica e i suoi scritti, Barbero offre la possibilità di chiarire alcune vicende del poeta, riportando le tante questioni che da un lato hanno condizionato la sua esistenza e dall’altro, nonostante i disagi dell’esilio e le alterne fortune della sua vita, gli hanno comunque permesso di scrivere opere che hanno parlato non solo alla sua generazione ma all’intera umanità. Ed infatti, il suo capolavoro: la Divina Commedia, uno dei testi poetico-letterari più letti e studiati al mondo, lo colloca tra i più grandi poeti della storia.
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