Di seguito, alcune mie note e riflessioni contenute nella parte introduttiva della silloge di Emilio La Greca Romano: “Carmina et fragmenta”.
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Quando Emilio La Greca Romano mi ha inviato la sua nuova raccolta invitandomi ad elaborare un’introduzione, ho risposto di provarci pur con riserva, rendendomi conto della complessità delle tematiche, ma consapevole degli stimoli che si producevano nella mia mente andando avanti con la lettura; e con il sorgere delle emozioni sono stato indotto ad appuntare parole, ad immergermi in un coinvolgimento totale. Infatti, le tante liriche, che hanno titoli icastici, conducono ad un’atmosfera pregna di sensazioni, accenti, pause, suoni, che permettono di catturare e trasmettere emozioni.
La poesia è una forma d’arte che recupera espressioni e sonorità. Deriva dal latino: póesis (produzione, creazione), che mutua dal greco poiéin (fare, produrre) e riconduce a poeta, inteso come operaio, autore di opere in versi. Vengo ad abitare nella via dei poeti / fatti di sangue e fango, / di sporche mani, / operai del cuore che sanno sapori di cucine / e suoni di venti e stanno arguti nei sensi / e in echi di palpiti vestono resistenza d’amore, riporta Emilio La Greca Romano, in: “La via dei poeti”.
In Italia, la poesia si diffonde soprattutto nel duecento in Sicilia per poi interessare Toscana e Italia centrale. Tra i più famosi poeti, ci furono in seguito Dante e Petrarca. C’è stato uno sviluppo in senso stilistico e con precise regole (metrica), mettendo insieme in sequenza: parole, versi, strofe, componimenti. (1)
I versi contengono proprio un versus, ovvero una riga, una fila, una disposizione del testo, che risponde ad una unità ritmica, accompagnato dal suono (lira, da cui lirica) e sancita da uno schema (metrum, misura, da qui metrica). La poesia, come prima forma letteraria scritta, attraverso elementi creativi e di libertà, permette di esprimere speranze, sogni, gioie, dolori, amore, immagini. È associata alla lirica, al canto lirico, tipico della cultura greca antica, che esprimeva nei versi l’importanza di patria, amore e natura.
La poesia per eccellenza è ancora considerata quella lirica, che individua: verso, come unità di misura del testo poetico; significante, caratterizzato da versi, rima, strofa, suoni e ritmo; significato, legato a scelte lessicali e sintattiche, figure retoriche di significato, di ordine e di posizione. Come si vede, si tratta di tanti elementi che utilizzati accuratamente permettono di esprimere, differentemente dalla prosa, una narrazione molto efficace. Il significato più tipico è quello connotativo, legato alle immagini che evoca il verso, ma anche quello figurato, per connettere parole con suoni e ritmo, e permettere di raggiungere sfere sempre più elevate di emozioni e pensieri. (2)
Con il passar del tempo la poesia acquisisce caratteristiche che la distanziano dall’attenzione allo stile per indirizzarsi ai contenuti. Ciò accade soprattutto nel novecento, quando i poeti subiscono influenze storiche, politiche e legate alla stretta attualità, portandoli ad evocare nei loro versi “le nuove relazioni tra la parola e il sentire”. Si tratta di rendere più “elastica e comprensiva la nozione stessa di lirica”. A partire dagli ultimi decenni del novecento, il disorientamento ideologico, la messa in discussione dei riferimenti culturali, la comunicazione di massa, i social media, più recentemente, hanno influenzato la poesia, portandola ad interessarsi alla concretezza della vita ed a questioni meno legate ad una lirica in senso stretto. (3)
Vincenzo Cardarelli produce liriche con temi legati a viaggio, morte e soprattutto il trascorrere del tempo. Il poeta è attento alle parole, ma anche alla musicalità della frase, al ritmo e ai suoni che restano, ad accostamenti lirici e concettuali che permettono di catturare l’attenzione del lettore per indurlo a riflessioni, ad aperture emozionali. Si tratta della ricerca di una prosa poetica definibile “alta”, che si affida alla complessità e ad una difficile etichettatura, oltre che alla tendenza ad esprimere le proprie passioni in senso non solo emotivo. (4)
La differenza sostanziale è oggi riferibile al rapporto poesia/prosa, in cui quest’ultima presenterebbe, secondo alcuni, una perdita di ricchezza espressiva e sonora: il testo poetico è scritto in versi (precise regole, lunghezza e ritmo), con funzione evocativa (musicalità ed effetti sonori, immagini, emozioni), con un messaggio “universale” che resta, a differenza della prosa. Oggi c’è anche una poesia che è prosa, con il tentativo di mettere in discussione i versi; una poesia di ricerca, che privilegia l’aspetto visivo, l’assemblaggio, la logica del discorso, la coerenza sintattica; una post-poesia, che molti non considerano affatto poesia. (5)
Ad ogni modo alcuni affermano che anche nella prosa c’è una musicalità, un ritmo, un accento, soprattutto quando essa riguarda un atteggiamento dell’animo, un modo di affermare la soggettività dell’uomo, “un realizzarsi del suo sentimento attraverso quello che egli pensa o si rappresenta”. (6)
Emilio La Greca Romano utilizza versi liberi, che non rispettano uno schema prestabilito di rime e non hanno la stessa lunghezza. In: “Tornerà bruma d’alba prima”: Crepuscolo ha parola di pentagramma / a danza di tuoi capelli gonfi di vento, / al tuo petto che rincorre indocile quiete, / amore nelle tenebre, infuocate labbra, / purpurea, larga passione in variopinta, / insolente bellezza. Cito ancora: “Tiepida parola e danza degli occhi”: A provocazioni affabili saggio silenzio / di pace o tormento, di quiete o moto? Assenza. Implacabile tuo acceso pensiero / corre tortuosi, accidentali tratturi silenti / nel bagliore accecante del vivo sole.
L’autore pare indirizzarsi in alcuni casi ad una poesia essenziale, che utilizza la parola quando è necessaria, facendola spesso arricchire di suoni che vengono rilevati nei versi: poesia pura e libera, con descrizione di stati d’animo, utilizzando sinestesie. Si potrebbe forse definire quello stile ermetismo? In La Greca Romano rilevo: “Madre”, e l’unico verso: Grandezza d’amore e d’assenza, ovvero l’amore enorme e sconfinato per la madre e l’assenza, la sua scomparsa quando si è ormai adulti e si sente forte quel distacco terreno. Ma qui, ognuno è libero di vagare nell’interpretazione. Oppure: “Noi d’amore”: Noi d’amore, d’amore soltanto. / Restando a bisogno di noi, / siamo chiara univoca portata, / fertile albore, unicità di parola / palpito di sole, ragione d’alba. Ancora: “Musiche”: Abbiamo musiche / diverse, multitono, / come vestiti leggeri, / ci stanno in un moto, / in una quiete, / nelle statiche frazioni / di pensiero e respiro. In: “Viaggio”: Sei un viaggio troppo lungo, / una grandezza che sfugge, / oltre tastiera finita, / ansiogena immensa melodia.
A ben vedere, temi e accenti molti diversificati.
Per parlare della nuova: “Carmina et fragmenta”, mi affido ad alcune liriche tratte dall’opera, scelte in maniera soggettiva e certamente non comprensive dell’intero pensiero, ma che illustrano alcuni temi principali legati essenzialmente ma non solo ad “amore”, che contiene in sé passioni, stati d’animo, ma anche tempo passato e ricordi, memoria e luoghi.
L’amore nell’intera raccolta è qualcosa che non è possibile definire, perché non è spiegabile, limitandosi a costituire sensazioni e tentativi di spiegazioni. In: “Non so dirti cos’è”, una delle più belle poesie contenute nella silloge, il poeta è certo di una sola cosa: Gridarti dal petto che siamo d’amore, d’amore soltanto.
L’inizio è coinvolgente: Non so dirti cos’è, / ma è voglia d’animo e corpo, / d’avventura insieme / nelle magiche spire / dei giorni che saranno, / negli epiloghi dei miracoli di luce / che raccolgono le sere; / non so dirti cos’è / se non pensiero di te / che ha forza di farsi vero segreto / abbraccio di cuore / nei ritorni di tenui crepuscoli.
Un esempio è: “Resti mai vaga, mai fallace paradiso”, che recita: Eri come d’una stagione non fatta, / tutta d’amore e d’attesa, / ti destinavi a sorriso di parole, / assumevi fragranza di cilentano mattino / che mi spaccava il petto / e abitava i tuoi occhi. / Eri tutta mia nelle parole carezzevoli / e ti avviluppavi nel rumore di allegra giovanile stagione. / E ora sei, ancora sei, nel seguitare di quest’alba, / ricerca d’amore e senso, / con brevi rughe / nella corsa del tempo nuovo / e mi accosto alla tua faccia / con fede di miracolo.In cui l’eri non è del tutto passato, infatti il sei rappresenta ancora il senso del desiderio, nonostante qualche ruga che non fa perdere l’amore, perché nella visione dell’amato sei pur sempre: “Rosa d’Afrodite”, dove si estrinseca carnalità e passione, estasi ed appagamento.
In: “Tuo venire nuovo”, il poeta si rivolge al cuore del lettore: Aria di luce, invito d’incontri, di ritorni, / di accese parole d’amore, / è la volontà del tuo petto; / ha suoni, rumori, silenzi / il tuo venire nuovo, la riconsegna di noi / nella musica del giorno che dilata / e mi accoglie il capo sul tuo vulnerabile ventre.
Provo a declinare questo amore, che non è solo contemplazione e struggimento ma anche desiderio, corpo e sensi: “Arresi agli amplessi”; oppure: “E t’ho vista arrivare”, con desiderio e vogliose labbra articolanti suoni e parole; oppure ancora: “Dammi labbra come fuoco della terra”, in cui la narrazione è affidata alla descrizione del corpo. Un corpo che non è nella sua interezza ma solo accennato in alcune parti, come una ruga che emerge nella contemplazione, ma mai corpi caduchi che potrebbero indurre ad abbandonare il desiderio (“Verità di baci tuoi e languide carezze”; “Nuda m’invadi”).
Poi c’è l’amore affidato ai ricordi giovanili, alle emozioni passate; l’amore dei luoghi che non sono più tali, vicoli cambiati, atmosfere caotiche, insomma l’avvento del nuovo. Luoghi nativi dunque evocati: “Paese accende nel bagliore”; “Viaggiamo nei paesi che siamo”; “Col Cilento negli occhi”; “Torniamo a sudata terra d’amore”; “Ora moto pace a Monte Cilento”.
L’amore affidato alle emozioni della parola cuore è molto presente nelle liriche. Si apre, fa sussultare di fronte al mare, altro elemento sognato e vissuto, in cui rifugiarsi quando prevalgono i pensieri: “Siamo d’amore e mare”; “Sapore d’amore e mare”; “Mare e pace”. Il mare si infrange a riva in un moto tranquillo, un moto che ti porta a desiderare le braccia dell’amata, ma è anche un movimento d’acqua che plasma la terra.
Qui natura e uomo si incontrano, e poi risacche, onde, gabbiani, ovvero una percezione profonda dell’elemento naturale e della sua relazione con il mondo umano, attraverso sconfinamenti e condizionamenti. D’Annunzio considerava la natura come entità viva e movimento continuo, in cui i sensi e l’animo dell’uomo dovevano avere una comunione con le forze della vita, un’unione con il tutto. E tutto ciò poteva portare ad una sorta di panismo, che a tratti è presente nella raccolta. Cito l’attualissimo: “Coronavirus”: Oltre ombre educate passi fobia / di lacrime nostre / e comporti alba ancora mano nella mano / e labbra passino il cielo nella bocca, / e l’anima nascosta dell’amore in ogni petto / e d’aborto particelle in cerchio di gobbe.
Le poesie di Emilio La Greca Romano sono tante cose, ma soprattutto l’abbandono per alcuni attimi dei sentimenti, in una specie di sussulto che non è più rivolto alle evocazioni amorose, ma a criteri più meditati. C’è un rivolgersi al classicismo, a Elea o Poseidonia, alla filosofia antica, in cui prevalgono pensieri e melanconia, ricordi ed auspici. Qui la mitologia ha una funzione essenziale, con evocazioni legate a: natura, luoghi, mare, contenute in versi qua e là proposti: “Torrido sole di Leo”; “D’amore soltanto tornammo”; “Come di greca filosofia”; “Fresca carne d’amore a gemiti di sole”, in cui sono riproposte tante immagini del passato e di luoghi che hanno segnato la nostra cultura. In: “Stanchezza bella lamentata d’una vita antica”, si ammirano versi del tipo: e tutto passi immune, / si assuma ancora nostra comunanza / e quella stanchezza bella lamentata / d’una vita antica.
Non è trascurata poi la tradizione religiosa: “Col volto tuo negli occhi”; “Sciroccata Madonna di salsedine”; “Restiamo con fede alla vita”.
Nella silloge è evocato l’amore come svolgersi del giorno e del tempo, dall’alba alle tenebre, o viceversa, dalla vita alla morte, dalla penombra che porta lontano e poi fa risorgere. Mettendo insieme varie liriche, emerge l’immagine preponderante di una luna molto evocata: “Ricurvi ai sorrisi della luna”; essa è notte e buio: “Notte nera affoga l’alba”, forse morte e vita al tempo stesso, in quanto amplesso e desiderio di corpi che si congiungono (“Sei sera nelle mie braccia”).
Nella già citata: “Resti mai vaga, mai fallace paradiso”, il grappolo della vigna porta ad ubriacare, ovvero la sublimazione dell’orgasmo, che si consuma: “Nell’utero di giorno compiuto”, “Non mettiamoci dopo, rimandati a domani, nella volontà di un farsi impresente”. Poi la notte sfuma e sopraggiunge l’alba/aurora: “E’ alba dentro”, in cui la luce e il sole portano l’assenza di paura; “Albe d’anime”; “Accendi albe nuove con labbra allegre”; “Andiamo verso primi albori”; “A prosperi vigneti nell’alba nuova”, tutte sottolineano il risveglio, il sorgere del sole, il ridestare dei corpi.
In: “Croci bianche nell’avvento di resurrezione”, c’è un’originaria immagine di croci, respiri lontani non più presenti, sangue e morte, ma anche l’avvento di resurrezione, con le carezze del vento e con il sole, il giorno e il futuro.
Qui il poeta imprime le immagini vissute e provate. Osserva il corpo e ne traccia le sensazioni che evoca. Nella bella: “Persistenza d’infuocate labbra d’estate”, tra parole e attese, osservando il sole che segna lo scorrere del tempo, ricordi di natiche e schiene e poi sospiri e parole, si possono rammentare infuocate labbra d’estate. Lo sguardo si posa favorito dalla luce che piano piano illumina, un giorno che viene e riempie gli stessi cuori della bellezza degli scenari vivi, che si presentano agli occhi e ai cuori.
Nella: “Irrinunciabile estensione d’amore”, la lirica si presenta più meditata, non solo passione ma anche intelletto e riflessione in cui si parla di forma e materia, universo ed eterno, infinito … e poi di nuovo finisce con il rivolgersi alla bellezza del corpo.
Infine, il sole che ora riscalda e fa abbandonare le sensazioni perché è alto e non procura che rumori e grida, insomma la vita che si desta per vivere il quotidiano. Qui: “Giorno di paese”, in cui il sole porta allegria e speranza e fa sentire leggiadri, ma anche: “Leggiadri nel sole che in bei motti abbaglia”; “Trascini il cuore nel sole che ti sorge”; “Paese accende nel bagliore”; “Sole sulle tue labbra”; “Stiamo a miracolo di sole in baci d’amore”.
Il nostro introduce termini quali: amaritudine, disamore, insonnitudine, dolcitudine, legati a nostalgie e ricordi lontani, che possono affievolirsi e confondersi all’arrivo della donna amata: “E t’ho vista arrivare” (bellissima), con desiderio di carne, vogliose labbra articolanti suoni e parole.
La poesia di Emilio La Greca Romano è evocativa, in quanto compaiono struttura e musicalità, immagini ed emozioni, trasmettendo al lettore messaggi legati a sinestesie, personificazione rispetto al rapporto con la natura, similitudini e metafore. È una poesia oggettiva nel senso che è attenta a riconoscersi uno spazio al di fuori del tempo e della realtà (Cardarelli), ma assume connotazioni soggettive, in cui l’autore è presente in prima persona nell’esaltare l’amore e nel ricordo di temi legati alla natura e alla capacità di collocarla nel passato. È un soggettivismo lirico, in cui il soggetto è dentro e si occupa di un linguaggio a tratti simbolico. I poeti fanno una poesia onesta, come affermava Saba, con funzione conoscitiva capace di portarci verso verità profonde dell’animo umano e delle cose, che vengono tuttavia colte nella loro essenzialità ermetica (Ungaretti). (7)
Questo per affermare che oggi l’elaborazione poetica “è una vera e propria attività creatrice, che non presuppone nulla e crea a un tratto il suo mondo”. Ed allora non si può non asserire la funzione soggettiva, la libertà del soggetto che si crea un proprio mondo astratto e fantastico, ma ci sono le leggi del mondo cui nessuno può sottrarsi, che entrano “dentro di lui, nella sua coscienza, nel suo pensiero”. (8)
Consapevole di ciò, Emilio La Greca Romano lascia traccia senza spingere, fornisce immagini e parole, suoni che sostituiscono le parole, senza ulteriori spiegazioni. Sono gli stati d’animo che prevalgono e che quasi sempre sono confusi come un sonno da cui destarsi, cercando il sogno che invece emoziona. E sta al lettore provare a rendere i pensieri meno imperscrutabili.
Queste sono le sensazioni che producono queste liriche, queste sono le parole che mi va di imprimere sul foglio, non avendo che la prosa da offrire, e non certamente i suoni, le immagini, i versi che solo un poeta riesce ad esprimere compiutamente.
Note:
- C. Segre, C. Ossola (a cura di), “Antologia della poesia italiana. Il novecento”, voll. 5 e 6, Einaudi, 1997 – 1999.
- G. Lavezzi, “I numeri della poesia. Guida alla metrica italiana”, Carocci, 2006; N. Gardini, “Storia della poesia occidentale. Lirica e lirismo dai provenzali ai postmoderni”, Mondadori, 2005.
- G. M. Villalta, “Poesia”, Enciclopedia Italiana Treccani, appendice VII, XXI sec., 22-25; M. Cucchi, S. Giovanardi (a cura di), “Poeti italiani del secondo Novecento. 1945-1995”, Mondadori, 1995.
- C. Segre, C. Ossola, “Antologia della poesia italiana. Il novecento”, cit.
- Paolo Giovannetti, “La poesia italiana degli anni duemila. Un percorso di lettura”, Carocci, 2017.
- G. Gentile, “Poesia”, Enciclopedia Italiana Treccani, vol. XXVII, ed. 1949, 590.
- C. Segre, C. Ossola, “Antologia della poesia italiana”, cit.; M. Cucchi, S. Giovanardi, “Poeti italiani del secondo Novecento. 1945-1995”, cit.
- G. Gentile, “Poesia”, cit.
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