Quando il 14 gennaio 1976 fa veniva pubblicato il primo numero del quotidiano: la Repubblica, lo aspettavano in tanti che come me hanno continuato a leggerlo ininterrottamente in tutti questi anni. Quel giornale ha rappresentato una voce importante nel panorama editoriale nazionale diventando a lungo il principale giornale per tiratura. È stato definito dal suo fondatore: “Una scuola professionale, e quel che più mi sta a cuore, una scuola morale. E uno stile”.
Considerato uno dei più grandi giornalisti italiani del XX secolo, di ispirazione socialista liberale, azionista e radicale, Eugenio Scalfari 45 anni fa fondò la Repubblica, che si caratterizzò per l’indipendenza e l’immaginazione: fu pensato per i giovani, le donne e per un’Italia moderna e riformista, riuscendo a tenere insieme persone diverse, molte delle quali di rilevante personalità. Basti pensare ad Arbasino, Asor Rosa, Placido, Duby, Lévi-Strauss, Garboli, Calvino, Citati, Malerba, Tabucchi, Villari, per ricordare solo alcuni che collaborarono nei primi anni. Scalfari chiamò con sé alcuni giornalisti importanti: Gianni Rocca, Giorgio Bocca, Sandro Viola, Mario Pirani, Rosellina Balbi, Miriam Mafai, Barbara Spinelli, Natalia Aspesi, Corrado Augias, Enzo Golino, Edgardo Bartoli, Fausto De Luca, Paolo Filo della Torre, Enzo Forcella, Orazio Gavioli, Giuseppe Turani, Bernardo Valli. Forattini curava le vignette satiriche. In seguito giunsero: Giampaolo Pansa, Enzo Biagi e Alberto Ronchey. E poi tanti giornalisti che si sono succeduti negli anni e che sono diventati importanti grazie alla collaborazione con quel giornale.
Si può affermare che la Repubblica ha influenzato la storia di questo Paese, attraverso battaglie civili e progressiste, avendo per obiettivo una collocazione europeista di sinistra, una sinistra laica.
Scalfari in: “La sera andavamo in Via Veneto. Storia di un gruppo dal Mondo alla Repubblica” (Mondadori, 1986), spiegò le gesta di un gruppo di “liberali” e “radicali” che, a partire dal Mondo di Pannunzio (1949), giornale “laico e anticlericale”, realizzò prima il settimanale l’Espresso (1955), che si rivolgeva ad intellettuali e grande pubblico per la laicizzazione della società (divorzio, aborto, obiezione di coscienza, femminismo), e poi la Repubblica, che si presentava con uno “stile brillante” nel linguaggio, meno rigido e “alto” degli altri giornali dell’epoca, e una grande attenzione al giornalismo d’inchiesta.
L’idea del fondatore era che “i simpatizzanti o addirittura i militanti del PCI avevano il loro giornale di partito, ma i mutamenti in corso nella società e di riflesso nel partito rendevano quella sola lettura sempre più insufficiente e insoddisfacente. Infatti, la gente comunista non se ne accontentava e risultava chiaro dai sondaggi d’opinione che molti di loro erano disponibili ad acquistare un secondo giornale, oltre all’Unità”.
Eugenio Scalfari, nel volume: “Per l’alto mare aperto” (Einaudi, 2011), ha descritto la modernità, ovvero lo spirito stesso che anima ancora il giornale, come un viaggio osservando, per chi ha l’animo di farlo, “anime e stelle danzanti”. È stata quella “un’epoca durata quattro secoli, mai simile a se stessa, sempre in cerca di sperimentare il nuovo, di allargare il respiro delle generazioni, di modificare l’identità senza smarrire la memoria”. La storia però non finisce, “un’altra epoca nascerà come è sempre avvenuto finché l’homo sapiens riuscirà a guardare il ciclo stellato e a cercare dentro di sé la legge morale”.
Questo pensiero pare ancora oggi caratterizzare la Repubblica, nonostante il suo padre fondatore non se ne occupi più direttamente.
Infatti, nell’aprile 1996, dopo vent’anni, la direzione della testata passò ad Ezio Mauro. Mario Calabresi subentrò nella direzione il 15 gennaio 2016, il giorno dopo il 40º anniversario della fondazione del giornale. Il 5 febbraio 2019, Mario Calabresi annunciava la fine della sua direzione per scelta degli editori: per la carica di nuovo direttore era stato chiamato Carlo Verdelli. Infine, il 23 aprile 2020, la newco Giano Holding, diventata proprietaria del 60,9% del Gruppo editoriale GEDI, e il Consiglio di Amministrazione nominava Maurizio Molinari, colui che è oggi il direttore del giornale.
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