Dopo la pubblicazione del lavoro: Fenomenologia del calcio, ho ricevuto da Antonio Pellegrino alcune riflessioni che, a partire dal calcio, portano nel tempo e nella storia, nella realtà della terra e del cibo.
Il tenebroso abbraccio della virtù umana, è l’ingegno senza fine, è il mezzo senza scopo, è l’opulescenza dell’umanità consapevole. Pietra su pietra per emigrare con il pensiero, per forgiare il discorso, per puntellare la storia. Byte su byte per ordinare il mondo con l’abbraccio tenebroso. Chi cazzo comanda se non noi! La rabbia è il segnale dell’impotenza, l’addomesticamento quello della depressione. La democrazia delle cose. L’economia della distruzione. Non c’è metafora da elaborare. Non c’è pane da mangiare. Non c’è cibo colto, culto, coltura, cultura. Il prodotto è prima di ogni cosa economia. L’economia è prima di ogni cosa la prima cosa. Il profitto non è mai profitto se il deposito è bancario, se il lustro è miserevole, se l’umano è poi povero. I diagrammi a blocchi, le organiche funzioni del codice binario, i big data stipati nei granai delle furberie, il controllo domotico del pelo del culo, il fanatismo della supercaccola alla moda, il top hundred del consumo, la psoriasi dell’inchiostro, la corporeità della malattia, tutto ha un nome, tutto è prodotto, tutto è tenebroso. La squadra del cuore non è un ideale. Non è manco sport. Ho giocato a calcio, nelle categorie delle montagne cilentane. Conosco il calcio, il calcio per calciare la palla. Il mio compito era prenderla con le mani. Non ho avuto mai la stessa maglia. Lo sport era sport prima dello spettacolo. Così capisci che devi avere misura dell’altro. Questo è lo sport. Pure la vita è così. Impariamo noi stessi da noi stessi insieme agli altri. Torniamo a noi stessi. Nelle montagne del Cilento ci sono gli Ulivi intorno ai campi di pallone. L’olio è una benedizione. Torniamo a benedirci, a legarci con poca corda, meglio il controllo del vicinanzo che il controllo digitale, l’occhio che tutto vede, l’orecchio che tutto ascolta, la macchina che tutto induce. Meglio la prossimità della memoria. Il sedimento. La terra si sedimenta. Il legame si sedimenta. Il cibo vince la fame e si fa sedimento. Così si originano le radici. Questo è l’ingegno dell’evoluzione umana, la relazione, l’universalità. Incontrarsi nel cibo, condividere il pane, restare antropologicamente umani, istanti culturali di diversità, capaci di sedimentare cultura cosciente e sapere consapevole, pratica del nostrove e dell’altrove, dell’insieme multiforme dell’ethos che ci anima al mondo. Il cibo. Non il consumo di cibo, ma il cibo e basta. La verità non è il brand. La verità è il futuro con il cibo. Il cibo è Gaia. Gaia non è un prodotto riproducibile all’infinito e sempre uguale a se stesso grazie a mago Merlino. Anzi, l’abbraccio tenebroso, è proprio la magia che ci tiene sotto l’incantesimo degli oggetti. Cosa non è oggetto? I geni, il singolo gene è oramai un oggetto. I coronavirus sono l’oggetto del desiderio. Oggetto è il corpo, oggetto è la mente. Che abbraccio tenebroso nella psiche degli umani. Dopo l’ultimo pasto, non mangio più. Sciopereró con me stesso ogni volta che mi sarà chiara questa lezione. Non voglio essere un oggetto, e so già che lo sono. Digiuneró di questa modernità, c’è ne sono tante altre da percorrere, altre sfide, altri campi di pallone. Quello di Casaletto me lo ricordo, aveva spuntoni di pietra dovunque. Quello di Sapri era di sabbia, la stessa sabbia con cui in quegli anni si faceva pure un altro sport popolare, il cemento. Pure quello di San Giovanni era così, é quando facevi un tuffo o un uscita, il sangue era là con te a giocarsi tutta la partita. Ora, pure i campi di calcio sono tutti uguali, sintetici. Pure i calciatori di terza categoria hanno i tatuaggi. Un tempo la tauromachia, oggi il funkazzismo. Quando ero piccolo, volevo scappare dalla campagna per andare a giocare a pallone in piazza. Al mio paese, i ragazzini giocano ancora a pallone in piazza, e i nonni, fanno ancora l’orto. Questa è la mia prossimità, il mio cibo del digiuno. So con cosa digiunare. Questa è la mia luce contro le tenebre, contro questa modernità. La terra tutta, I viventi tutti, e poi questo piccolo fazzoletto di montagne che è l’Appennino. Qua dentro ci sono le arcadie di futuro da continuare ad evolvere. Le sapienze ecologiche, l’umanesimo delle speranze, le genetiche della storia. Ad ognuno il suo abbraccio di futuro, un calcio di rigore, una pianta di Pisciottana. Non è riduttivo, ma essenziale. Va solo alimentato con il digiuno. Il cibo è comunione. Il mercato bulimia.
Antonio Pellegrino
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