Nel 2020 è stato realizzato il film: Gli indifferenti, adattamento cinematografico del romanzo di Moravia, dopo il lavoro di Citto Maselli (1964) e la miniserie televisiva di Mauro Bolognini (1987). Il regista è Leonardo Guerra Seragnoli, anche autore del soggetto e della sceneggiatura con Alessandro Valenti. La fotografia è di Gian Filippo Corticelli; tra gli attori spiccano Valeria Bruni Tedeschi ed Edoardo Pesce.
Prima di parlare del film, è opportuno introdurre il concetto di indifferenza. Il termine deriva dal latino indifferentia, composizione di in (privativo) e differentia, senza differenza, e può significare in modo estensivo un comportamento di non scelta di fronte a due alternative, perché vengono considerate ininfluenti e incapaci di produrre cambiamenti rispetto alla condizione esistente. Gramsci affrontava proprio l’indifferenza definita abulia, parassitismo, vigliaccheria: l’indifferenza opera prepotentemente nella storia ma passivamente; è la fatalità su cui non si può contare; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Il tema dell’indifferenza coinvolge quello della libertà, poiché nella condizione di disinteresse viene a mancare la capacità di decidere e la stessa volontà è sospesa. Arthur Schopenhauer affermava che l’uomo arriva allo stadio della volontaria rinuncia, della rassegnazione, della vera calma, della completa soppressione del volere.
Con la nascita della filosofia esistenzialistica, il concetto di indifferenza si inserisce in una visione dove prevale l’elemento dell’individualità di fronte all’inutilità, alla precarietà, all’assurdità di una esistenza, cui nessuno può sfuggire. Il tema dell’indifferenza giunge fino ad Heidegger ed a Sartre. Quest’ultimo nelle sue opere descrive un ventaglio di comportamenti che vanno dall’amore all’odio includendovi anche l’indifferenza: il fallito tentativo di acquisire una precisa configurazione di sé, della propria coscienza attraverso la relazione con l’altro.
Il romanzo di Moravia e la trasposizione nel film più recente ha ambientazione a Roma, nel quartiere Parioli, ed ha come centro un lussuoso appartamento in cui si muove una famiglia della borghesia che non accettando la precarietà economica vive al di sopra delle sue possibilità.
È la storia della famiglia Ardengo, composta dalla vedova Maria Grazia e i suoi due figli Michele e Carla. Negli ultimi tre anni il manager Leo Merumeci, amante di Maria Grazia, ha offerto alla donna dei prestiti per ripagare alcuni debiti e continuare a condurre la vita agiata di sempre, con l’intento di divenire proprietario del lussuoso attico. Se il figlio Michele mostra tutto il suo disprezzo per l’amante della madre, Carla si avvicina all’uomo che prima la bacia e poi abusa di lei. L’amica di Maria Grazia è l’amante del figlio Michele, cui confida che Leo ormai si è invaghito della sorella. Michele raggiunge l’uomo nel suo appartamento e lo minaccia con una pistola, che si rivela scarica. Leo inizia a malmenare Michele ma viene fermato da Carla, che alla fine lascia l’uomo e va via con il fratello. Sembrerebbe che le cose si stiano mettendo nel dovuto ordine, con denuncia e cambiamento di uno strato di cose non certamente edificante. Durante il viaggio di ritorno a casa, Michele però è costretto ad ammettere che, se non fosse stato per Leo, avrebbero condotto una vita penosa. Anche sua madre, pur avendo appreso la verità, sembra indifferente agli eventi accaduti.
Nel romanzo di Moravia del 1929 c’è un’inquietudine familiare durante il conformismo fascista. Nella versione di Seragnoli, le scene sono ambientate nella Roma di oggi, che rappresenta ugualmente lo stato di precarietà, il senso di stare sull’orlo di un precipizio, tipici di un ceto benestante che vede prepotentemente la crisi. I personaggi che sembrano volersi ribellare sono i figli: Michele nella parte iniziale e Carla sul finale, quando minaccia di denunciare e cambiare lo stato delle cose. Ma anche i due fratelli alla fine si adattano allo stato di vaghezza e vacuità, di accettazione.
Moravia riesce a rendere con perfetto realismo le meschinità e le ipocrisie di una società, come quella della borghesia convenzionale che vive in un clima di costante menzogna. Se sul piano formale il romanzo fornisce un esempio realistico in aperto contrasto con l’ipocrisia dominante, lo scandalo per la scabrosità della vicenda, che contribuì al successo dell’opera, disturbò molto la classe dirigente dei primi decenni del novecento. La critica antiborghese era infatti rivolta a ricercare una nuova ed autonoma via morale, in antitesi ai principi del fascismo, anche se si risolveva attraverso esiti del tutto grotteschi. Oltre all’indifferenza, altri temi del libro sono: l’incomunicabilità e l’impotenza di fronte ad una vita concepita come destino da subire.
Il romanzo, concepito come una grottesca tragedia, è diviso in sedici capitoli scritti con un linguaggio essenziale, quasi scarno, tutto proteso ad evidenziare l’ambiente entro il quale si muovono i personaggi e a rendere in modo chiaro i pensieri che attraversano le loro menti. I protagonisti, che rappresentano il dramma di una intera generazione, sono inetti, incapaci di accostarsi alla vita, indifferenti: Moravia li avvicina ai personaggi tracciati dalle penne dai Svevo e Pirandello.
Ed infatti, libri come: Gli Indifferenti, ricordano il rischio che si corre quando si sceglie di restare in disparte, assistendo a debita distanza agli accadimenti che si verificano. In un saggio dedicato all’opera di Moravia, Edoardo Sanguineti faceva notare quanto l’indifferenza si potesse configurare come “la nuova condizione dell’uomo borghese nel momento in cui assume una sua critica coscienza, cioè precisamente una coscienza di crisi”.
È questo il più grande insegnamento, che induce a rileggere il romanzo e a guardare il recente film: si tratta di uno dei più grandi difetti, riscontrati in una larga parte della popolazione, che ci portano a pensare come sia meglio scegliere e sbagliare piuttosto che attendere indifferenti il corso degli eventi.
Lascia un commento