Riflessioni e analisi sul concetto di “verità”, di cui si occupò il filosofo francese negli ultimi anni della sua vita. Intellettuale discusso per posizioni e modi di essere anticonformisti, ma soprattutto dotato di grande capacità di formulare analisi ed idee, Michel Foucault risulta essere un pensatore ancora molto attuale.
Ogni società si è sempre confrontata con un termine molto controverso, quello di “verità”, perché le interpretazioni di questa parola sono state spesso antitetiche: alcuni hanno affermato che non esiste, altri hanno parlato di una o tante verità, molti di verità assolute. Questo concetto sembra facile da definire, se lo si riconduce alla “conformità alla realtà” che evoca certezza, autenticità, obiettività, oggettività, giustezza, esattezza, precisione. Si scopre invece che la “verità” lascia più di un dubbio quando cominciamo a domandarci se è vero quel che si dice, se è credibile chi lo dice, se sono fondati modalità e contenuti trasmessi, specie se tutto è messo in discussione rapidamente dalla velocità con cui si afferma e si diffonde la comunicazione.
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Il concetto di “verità” di cui intendo trattare è il termine parrēsia (dire-la-verità), dove in gioco non è la correttezza formale del discorso, ma il diritto o il dovere di dirlo. In questa accezione, le domande sono del tipo: Chi è in grado di dire la verità? Chi la dice deve avere dei requisiti per dirla? La si deve dire sempre o solo in determinate circostanze? Che rapporto c’è tra dire la verità e l’esercizio del potere? In gioco non è la struttura logica della verità, ma la capacità e la forza di dirla.
Il lavoro integrale è in Pubblicazioni.
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