“Non sanno quello che dicono i cantori della cultura contadina e della madre terra!”, ovvero un mondo patriarcale e violento, un inferno, che non può essere rimpianto. Così si è espresso un lettore di Repubblica (24 giugno 2021). È stato sostenuto da Francesco Merlo, che ha parlato di un contadino metafisico, non reale ma insito in una cultura reazionaria e falsificata, quella del “vecchio Strapaese travestito da cultura progressista”.
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Ho più volte in questo sito affrontato i limiti della cultura popolare, ma anche i fondamenti che la stessa ha tracciato per lo sviluppo della nostra società. Ed allora, rispetto a questa e ad altre prese di posizione, non ci si può che affidare ai tanti documenti che, in forma scritta e spesso orale (testimonianze ed interviste), hanno posto in rilievo il senso della cultura contadina, popolare. Una domanda è però necessaria: è forse non violenta la società dell’oggi e quella che si prospetta per il domani, con l’affermazione della cultura (maschilista, reazionaria, violenta) esercitata in maniera a volte subdola dai detentori del potere economico-finanziario sulle popolazioni mondiali?
Riporto un’intervista al prof. Vincenzo Aversano, curata da Sandro Gros-Pietro, all’uscita del volume: “E così ti assicuro di me. Lettere di guerra e di innocenza”, Edizioni Arci Postiglione, 2018. L’opera è la raccolta di ottocento e più lettere, dal 1931 al 1943, provenienti da un mondo contadino “violento, maschilista e reazionario”, ma che rappresentava, come affermato dall’autore: un “vincolo d’amore, di radici, di identità”, e per questo redatto non come curatore ma cuoratore. Lo scopo di Aversano è di lanciare un messaggio, non solo a parole (nelle lettere) ma anche nei comportamenti: un “messaggio di Amore reciproco e per i figli, di Pace Universale e Giustizia tra tutti gli uomini, di Amore alla Vita, alla famiglia sia ristretta sia allargata, alla solidarietà, alla Patria locale, italiana e mondiale”. Si tratta di far emergere la “storia della mentalità” (…) “partendo dalla memorialistica familiare, la Piccola Storia e la Micro-Geografia con la Grande Storia e la Macro-Geografia, un discorso che definiremmo Glo-cale, dove le atrocità della Guerra, con immensi sacrifici imposti alle popolazioni, si vedono dal basso”.
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VINCENZO AVERSANO
“E COSÌ TI ASSICURO DI ME” LETTERE DI GUERRA E D’INNOCENZA
Arci Postiglione (21 agosto 2018)
in “Vernice” Anno XXVI, Nº 57, a cura di Sandro Gros-Pietro
Ottocento e più lettere dal 1931 al 1943 (con un’Appendice per anni successivi), scambiate tra un Papà Emilio, militare di Marina “istruito” e capace di scrivere in cursus strutturato, e una Mamma Giuseppina, semplice e immediata nel suo grado di eroica, “sgrammaticata poetessa”.
Un Epistolario che giorno dopo giorno – e vale per tutti – va “alla ricerca del tempo perduto”, con una originale scrittura, non catalogabile in un “genere” specifico, poiché oscillante tra la descrittiva e il sogno, tra la cruda realtà e i grandi valori, tra il tragico e il magico.
Per cornice la civiltà rurale e la dolce-verde collina di Coperchia, paesino a ridosso di Salerno, da cui si irradia questo flusso cartaceo, incrociando per angoli strategici del Mediterraneo italiano (La Spezia, Taranto, Napoli, Trieste-Istria) e africano (Tangeri, Tobruk, Bengasi), come una «Via Crucis di corrispondenza così antipatica e noiosa»: definizione sgorgata nel terribile 1942 dal cuore di un esausto belligerante, poi scomparso nel nulla…
Eppure, tra poche gioie e tanti sconforti, una corrispondenza “pura”, fatta di pudore, un inno all’Amore, alla Vita, alla Famiglia, alla Patria, soprattutto alla Pace universale.
Da ogni missiva traspare il grande cuore e l’immenso, religioso e indistruttibile Amore fra i Due. Esso è stato in definitiva un «Amore pasquale», sacrificato cioè alla e nella tragedia dell’ultimo conflitto mondiale (la “Grande” Storia…): due “crocifissi”, esemplati in sindoni di carta di una “Piccola” Storia, quanto mai istruttiva per giovani e meno giovani dell’impoverita Umanità attuale…
Lo splendido documento di vita e di pensiero, raccolto con fervida mente e con puro cuore da Vincenzo Aversano, reca il titolo “E così ti assicuro di me”. Lettere di guerra e d’innocenza. Si tratta di uno zibaldone la cui ossatura principale è fornita dall’epistolario intercorso tra Emilio e Giuseppina, i genitori dell’autore. Sono lettere di amore tra due anime gentili, che liberamente si scelgono e che sigillano nel matrimonio l’unione fertile che feconderà per sempre la loro vita, con la nascita dei figli e la successiva continuazione nei nipoti. L’epistolario documenta un arco di dodici anni, dalla fine del 1931 al 31 agosto 1943. Il periodo considerato contiene quasi per intero la Seconda Guerra mondiale, che si porterà via Emilio, come vittima sacrificata dai due mostri ideologici che hanno funestato il cosiddetto Secolo Breve: Emilio viene dapprima “requisito” dai nazifascisti e successivamente “fatto scomparire” dai comunisti titini, probabilmente gettato nelle foibe. Accanto a questa luminosa e tragica storia d’amore, così ricorrente nella letteratura occidentale di ogni secolo fin dagli inizi omerici dell’infausta e luminosissima avventura d’amore e di famiglia di Ettore e Andromaca, si sviluppa la complessa cornice di un intero popolo trascinato nell’oscurità e nel sangue della più mostruosa guerra mai combattuta dall’intera umanità. Si manifestano anche i sogni della pace, della giustizia, della fede cristiana nella speranza e nella fiducia dell’amore fra i popoli: la carità che ci rende uguali a specchio col nostro prossimo nell’abbraccio dell’agape. L’amore di Emilio e Giuseppina si riverbera sui luoghi toccati da Emilio nel suo peregrinare di marinaio della Reale Marina Italiana; si effonde sui luoghi, sui volti, sugli accadimenti dei paesani di Coperchia, frazione di Pellezzano, in provincia di Salerno, ove Giuseppina resta vanamente ad attendere il suo amato. L’epistolario diviene allora un composito zibaldone che si ramifica e si espande come un frattale, in più direzioni ad indirizzo economico sociale politico religioso, ma mantiene saldo l’orientamento di fede in quel marchio originario di cristiana speranza nell’amore, nella giustizia, nella pace fra i popoli. Una piccola storia diviene la monade rappresentativa e iconica della Grande Storia di Adamo ed Eva discesi sul Pianeta – la feroce aiuola dantesca – a ricercare per sé e a mostrare ai discendenti la via che li ricondurrà al Padre.
Ho avuto modo di incontrare Vincenzo Aversano al Salone del Libro di Torino, ove veniva esposto nel mio stand di editore il commentario del fratello Mario Aversano, Dante Poeta della pace. Canto I dell’Inferno, come leggere la Commedia.
Vincenzo Aversano era intervistato da una televisione locale sul suo libro e io furtivamente ne ho elaborato qualche passaggio.
D. Il suo libro ha una struttura molto robusta e variegata. Infatti, contiene oltre a quelle scritte altre informazioni, foto in maggioranza. Sembra una documentazione oppure un saggio per la sua impostazione di ragguaglio informativo. È imponente già nel peso di quasi due chili. Ci può fornire una essenziale scheda tecnico- redazionale e culturale del volume stesso?
R. Mi scuso se, in questa prima risposta, sarò necessariamente schematico. Il volume contiene ottocento lettere. Cento sono di Mamma e settecento di Papà. Si aggiunga una sessantina tra lettere e poche cartoline (non solo di saluti) di altri mittenti, contemporanee o posteriori alla corrispondenza principale (parenti, amici, conoscenti, i figli Aldo e Mario e qualcuna di Mamma stessa, Enti, Istituzioni e altro ancora). Nel complesso si arriva a ottocentosessanta documenti scritti, e manca, perché smarrita, una lettera di un certo Mario, commilitone salvato da mio padre, uomo generosissimo, in un’azione di guerra. Va specificato che una buona metà delle lettere è stata fedelmente trascritta oppure riprodotta, mentre il resto è stato solo riassunto, quando la sostanza era un po’ più ripetitiva del quotidiano. Per visionare il quadro complessivo degli originali, è sufficiente consultare lo spazio web in www.vincenzoaversano.altervista.org. Le immagini sono riprodotte sia a colori sia in bianco e nero, in numero di centoventi. Tra esse va segnalata una carta tematica delle città portuali del Mediterraneo e dell’Atlantico frequentate da Emilio durante la carriera militare nella Regia Marina. Sono documentate le Sedi a terra in Italia (Napoli, La Spezia, Taranto, Trieste, Pola: solo alla Spezia e a Taranto la famiglia ha potuto trasferirsi per brevi periodi, per il resto ci fu il traumatico distacco del marito dalla moglie e dai figli); le Sedi all’estero (Tobruck e Bengasi, nel corso della guerra). Vi sono tabelle illustrative, perfino di gioie e sofferenze, finestre esplicative (Profilo di Mamma e Papà, Corso CREM a San Bartolomeo, visita a Napoli di Hitler, la Guerra d’Africa, e molto altro). Ci sono oltre duecento Frasi–viatico, inserite come titoli passanti in testa alla gabbia tipografica della pagina e riassunti nell’indice specifico della pagina. Ci sono Santini e fiori in numero imprecisabile (spesso resta solo l’impressione trasparente sulla lettera, quasi una Sindone di Carta, un’impalpabile morsura sul foglio cartaceo, a comprova dei profondi dolori, oltre le gioie, provati dai due coniugi nella loro storia d’Amore). Ci sono nove Schizzi delle navi sulle quali Emilio è stato imbarcato, sempre in guisa di titoli passanti in testa alla gabbia tipografica e ripetuti nella pagina: le navi sono Duilio, Nembo, Saetta, Città di Milano, Cavour, Zeffiro, Vittorio Veneto, Littorio, Roma. È molto curato l’Indice Generale, integrato da quattro indici specifici: delle Immagini, delle Frasi-viatico in epigrafe, delle Tabelle e delle Finestre esplicative scritte (intra-testo). Il tutto, per maggiore controllo e a migliore fruizione per il Lettore della massa informativa raccolta. Da ultimo, ma aspetto di primaria importanza, il libro è corredato da una Presentazione di Domenico Scafoglio, dell’Università di Salerno e di due postfazioni, la prima di Maria Clotilde Giuliani-Balestrino dell’Università di Genova, cui segue in ordine alfabetico la seconda di Luigi Rossi, dell’Università di Salerno: rispettivamente, si tratta di studiosi di Antropologia, Geografia e Storia. Né va taciuta la Lettera gratulatoria di Bruna Bianco, compagna del poeta G. Ungaretti. Confesso di avere impiegato tre anni complessivi di stesura, ma intervallati da un lungo periodo di interruzione per motivi di salute, benché continuativamente ingaggiato in un colloquio spirituale costante, coi genitori e tutti gli altri attori. Ci tengo a specificare che io non mi dichiaro Autore nel significato corrente del termine, bensì Cuoratore, in quanto il volume è a cuore e non a cura di Vincenzo Aversano. Tuttavia, non si tratta solo di memorialistica familiare, giacché questa storia è inserita nel circuito storico-geografico del mondo di allora e della guerra 1940-45.
D. Perché ha pensato di pubblicare questo Epistolario? Non le sembra che sia un poco in ritardo rispetto agli eventi raccontati?
R. Certamente non l’ho fatto per esaltare i casati Farina-Aversano, anzi ho evitato gli alberi genealogici, ma primariamente per amore, verso entrambi i genitori (Emilio e Pina, sottufficiale alfabetizzato il primo e “poetessa” ignorante la seconda), come un sacro voto dovuto e sciolto, anche verso la famiglia estesa (specie mia nonna Rachele), verso gli amici e i paesani di Coperchia. È una questione di vincolo d’amore, di radici, di identità. In secondo luogo, per far conoscere, a livello e a scopo anche didattico per i giovani, il loro principale messaggio, porto non solo a parole (nelle lettere) ma anche nei comportamenti, messaggio di Amore reciproco e per i figli, di Pace Universale e Giustizia tra tutti gli uomini, di Amore alla Vita, alla famiglia sia ristretta sia allargata, alla solidarietà, alla Patria locale, italiana e mondiale. È un messaggio di ferrea Fede in Dio, in Maria Vergine e nei Santi. Il ritardo con cui esce libro rispetto ai fatti narrati è dovuto a una sorta di pudore che per decenni ha attanagliato la Famiglia, rispetto a tanta perdita e a tanto dolore.
D. Come definirebbe la sua opera di Cuoratore? A quale genere di scrittura la assocerebbe?
R. Ad onta delle apparenze esterne, non ho voluto consegnare alla stampa un trattato scientifico né un testo letterario o d’altra materia, ma documentare e commentare nella maniera più neutrale tanti materiali diversi, al punto che nel complesso l’opera risultasse «di più ampio spettro possibile», quindi «multi-genere» o, se si vuole, contemporaneamente storicogeografica, psicologica, sociologica, economica, antropologica e quanto altro. Alla fine, come è stato messo in luce dai presentatori, ne è venuta fuori perfino la «storia della mentalità» (aggiungerei anche religiosa e dei burocrati, purtroppo poco onesti), insomma un mix not classifiable, ma – spero – ricco di fatti e di insegnamenti utili, specie per le giovani generazioni. In esso si incrocia, partendo dalla memorialistica familiare, la Piccola Storia e la Micro-Geografia con la Grande Storia e la Macro-Geografia, un discorso che definiremmo Glo-cale, dove le atrocità della Guerra, con immensi sacrifici imposti alle popolazioni, si vedono dal basso, al di là delle facili e spesso strumentali ideologie di Destra, di Sinistra o di Centro. Il cantautore Giorgio Gaber, d’altronde, ci metteva in guardia in tal materia (la diffidenza per le etichette) già mezzo secolo fa…
D. Scendo a dolorosi particolari: ho letto che lei, con i suoi due fratelli, ha ricevuto un diploma e una medaglia commemorativa dal Presidente della Repubblica, perché il suo papà è morto nella tragedia delle foibe proprio alla fine della Guerra. Lei (e la sua famiglia) come avete smaltito questa feroce realtà?
R. È stata dura, pensando al carattere idealista, cristiano e non-violento di Emilio (che proprio questa fine non meritava), a parte la fame (generalizzata, in verità) sofferta dalla famiglia nel dopoguerra e una esistenza filiale priva della figura maschile, ma per fortuna rimpiazzata da una eroica e tenerissima genitrice, che ci ha permesso di diventare degli affermati professionisti. A queste disgrazie si è aggiunta la deportazione, da parte dei Tedeschi, e la scomparsa del fratello di mia Madre, Giovanni, nonché la quasi distruzione della casa paterna a seguito dei bombardamenti Alleati dopo lo sbarco di Salerno. Indipendentemente dalla mia maturazione cristiana e culturale di uomo e docente universitario, io ho registrato sulla mia pelle – avendo ricevuto danni da tutti i belligeranti in causa – l’atrocità e la inaccettabilità della Guerra. Di più: avevo e ho alle spalle l’esperienza di mio padre, militare di Marina, indottrinato per decenni dall’ideologia fascista e alla fine giunto a una concezione pacifista e irenica, nel percorso della sua durissima carriera, dalla quale Lui spesso si voleva sganciare, non sopportando le angherie di un sistema militare gerarchico. Orbene, come potrei accettare il fanatismo ideologico e la strumentalizzazione che ancora oggi si fa, da molte parti, a distanza di più di settant’anni anni dalla fine del conflitto, contrapponendo fascisti e partigiani, con tutta l’ammirazione per i valori incarnati da questi ultimi, valori spesso calpestati da chi oggi se ne fa scudo e professione? Ecco dunque che io ho da tempo perdonato a tutti, ed auspico una “definitiva” revisione onesta, peraltro già cominciata (Vedi le ricerche di Gianpaolo Pansa), delle vicende storiche del secolo scorso e della tremenda Guerra civile che ne conseguì, rispetto alla quale ciascuna parte politica possa riconoscere i propri valori, ma anche le proprie responsabilità. Ringrazio in proposito gli esponenti di sinistra intellettualmente onesti e il Presidente Mattarella, che al riguardo ha condannato definitivamente il Negazionismo delle foibe, “non diverso da quello della Shoà” da parte della Destra estrema, invitando a guardare avanti e indicando i valori dell’Europa come obiettivo da perseguire per il nostro futuro. È questo il messaggio da dare ai giovani, e che l’Epistolario dei miei genitori e la nostra sofferta storia di figli ci consegna. Soprattutto, di fronte alle sfide che attendono l’Umanità intera, come ci ricorda non a caso la giovanissima Greta Thunberg (disastro ecologico, corruzione, lavoro, razzismo con esclusione sociale e altre sventure). Altro che speculazioni sul passato, laddove peraltro a pontificare sono spesso individui dalla discutibile etica personale, che citano solo il totalitarismo nazi-fascista e non quello comunista, ugualmente violento, delittuoso e antidemocratico, come dimostra tra l’altro l’asservimento di tanti stati dell’Europa orientale fino alla caduta, trent’anni anni fa, del Muro di Berlino, con quel che ha fatto seguito. Piuttosto che tollerare l’odio di CasaPound Italia e dei Centri Sociali, le violenze dei Black Bloc e simili, cerchiamo di celebrare la Giornata del 23 Agosto indetta dall’Europa per condannare tutti i “Totalitarismi” del nostro Continente. Ci vorrebbe un po’ di religione, nel senso più ampio del termine. La religione di Emilio e Giuseppina, le cui scelte di vita mi permetto di proporre come modello.
D. In aggiunta alla vastità dell’Epistolario, e alla ricchezza di documentazione che interpella le coscienze e che pone i quesiti politici ed etico-sociali e religiosi che lei ha evocato, tali da suscitare l’attenzione di studiosi di diversa estrazione, il lettore può trovare elementi di commozione e di piacevolezza che lo inducano all’ottimismo? Insomma, vi è celebrata anche la Poesia, quella dell’Amore in particolare, che fa lievitare la lettura e fa sperare nel futuro?
R. Certamente! A parte alcune mie composizioni poetiche, inserite nel testo, tutto ciò si può trovare nell’apparato illustrativo: i fiori (perfino sotto commovente forma di sindoni cartacee), le scene familiari, le riunioni amicali, i paesaggi, le descrizioni geografiche delle località toccate da Emilio nel suo peregrinare su navi militari, e altro ancora. I segmenti più poetici, tuttavia, si ritrovano in decine e decine di lettere d’amore e, più in generale, nella specifica scrittura delle lettere, che si prestano a vari approcci conoscitivi (materia di diverse discipline) e che oscillano tra la descrizione e il sogno, tra la cruda realtà e i grandi valori, tra il tragico e il magico. È la magia espressa da due anime che si sono amate come più profondamente non si poteva, in un contesto familiare solidale e compatto, che ha addolcito l’esistenza di tutti gli attori, scongiurando il prosieguo della tragedia bellica in ulteriore dramma postbellico. Un’altra lezione per i nostri tempi, oscurati dal materialismo, dalla omologazione, dalla incomunicabilità, dalla solitudine. Basta mettersi nella disposizione giusta ed ascoltare, con l’innocenza e la spontaneità dei due principali protagonisti, la voce del cuore, che è sempre solare bellezza. Del resto, nel commento, anche il Curatore Vincenzo ha spesso sopraffatto, sull’onda dell’emozione, il ricercatore universitario. Motivo per cui ne è scaturita, ripeto, qualche poesia in vernacolo napoletano. Considerata tuttavia la ricchezza informativa e i variegati temi presenti, vorrei pregare il lettore di non limitarsi a volare o sorvolare, ma votarsi anche a pensare ed elaborare, giacché l’opera d’arte deve sì riscaldare il cuore, ma anche nutrire con coscienza la mente. Suggerisco sulla scorta del professore Luigi Rossi, eccellente postfatore, di non farsi prendere dalla pigrizia dopo gli abbandoni sentimentali e di seguire una linea ascendente, e cioè la “sequenza emozionale-affettiva”, poi “scientifica” e infine “sapienziale, che serve a vivere serenamente giorno per giorno”. Solo così si potrà assaporare con profitto la valenza geografico-storica, etico-religiosa ed esistenziale delle pagine proposte.
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