Con questo scritto, inizio ad affrontare alcuni aspetti delle ricerche territoriali realizzate, partendo da una definizione.
Il Cilento del novecento è stato caratterizzato da una commistione di termini: cultura contadina, comunità, quella che a partire dal contesto di riferimento ha segnato una particolare identità del territorio. È emerso il senso comunitario, l’identificazione delle popolazioni intorno a valori e aspetti di vita semplici e immediati, racchiusi nella cultura contadina: le parole e i fatti, le leggende narrate che parlano di Dio e della morte, della superstizione e del mito. (1)
La cultura è intesa quale modo di essere delle comunità contadine, quelle che Taylor definiva culture primitive e che Ferdinand Tönnies le indicò come comunità, differenziandole dalle società, caratterizzate dalla “reciproca comprensione dei suoi membri”, dalla collaborazione tra gli individui i quali riconoscono e rispettano le posizioni sociali, basate sulla “dignità, età, forza e saggezza”. Si trattava di organismi naturali in cui prevalevano le caratteristiche di amore, riconoscenza, fedeltà. Il contrario delle società, fondate sull’interesse, l’avidità, la brama di profitto e l’ambizione. La comunità è fedele a se stessa nella misura in cui: è un’entità peculiare nei suoi elementi che la caratterizzano; è piccola e riconosciuta dai suoi membri; è autosufficiente, capace cioè di provvedere alle attività e necessità dei suoi membri, oltre che legata al luogo. Questa comunità è simile all’idea di società contadina, fondata su legami familiari organizzati sul modello agricolo, in cui i campi da coltivare sono la fonte primaria di sussistenza. Le comunità di tale tipo si estrinsecano nei luoghi di appartenenza e si basano su: riconoscimento; sicurezza; assenza di solitudine; solidarietà. (2)
Estendendo queste teorizzazioni al territorio cilentano, si può osservare che nelle comunità si sviluppa una identità, ancorata ai valori delle comunità di luogo basate su legami ed elementi di vita comunitaria, contadina.
Nelle ricerche compiute nel territorio, è stato affrontato “il senso dell’identità cilentana”, individuando le principali caratteristiche, riconducibili a: atteggiamenti e abitudini (di vita); adattamento (nel rapporto con l’ambiente); appartenenza e attaccamento (ai luoghi e alle persone); subalternità (al potere); accoglienza e disponibilità (nei confronti dell’ospite).
È necessario offrire una prima definizione del termine. La cosiddetta cilentanità, che si sviluppa ed afferma grazie all’indissolubilità del legame della società locale con il contesto esterno, potrebbe essere intesa come, “un valore collettivo che si è prodotto, in un territorio caratterizzato da un forte isolamento geografico, mediante il confronto continuo della comunità con se stessa, con la natura, con l’ambiente, con il territorio e che si è definito grazie ad un sistema comune di regole e di pratiche di vita”. (3)
Ciò è evidente riprendendo le definizioni raccolte, intervistando molti studiosi del Cilento. Alcuni di loro parlano di atteggiamenti spirituali che appartengono alla cultura, al carattere, al modo di vedere, di comportarsi: usanze, abitudini, costumi, mentalità comune (Domenico Chieffallo). Sempre in tale logica, la cilentanità può essere addirittura legata al concetto di civiltà: alcuni la associano all’arretratezza, invece è identità di pensiero e di storia (Don Giovanni Di Ruocco). Nel passato, vi erano persone che non sapevano leggere e scrivere, ma erano in grado di tramandare racconti così pieni di fascino da sembrare una loro creazione, cioè un certo modo di trasmettere le storie di una volta (Pietro Carbone). Altri sostengono che essa è un modo di pensare e vedere le cose in relazione a ciò di cui si ha disponibilità. Una sorta di adattamento alle situazioni che produce modi di comportamento, come il mangiare ed il vestire, conformi alle risorse della società (Mons. Giovanni Cammarano). Per altri ancora, è un moto dell’animo, un senso di identità, un legame con la propria terra che si traduce nell’appartenenza territoriale (Angelo Guzzo). Non tutti hanno la certezza dell’esistenza della cilentanità. Occorre proiettarsi verso il passato, non solo quello esterno e immediatamente visibile, ma compiere indagini, spiegare ed interpretare i documenti, senza correre il rischio di consultare solo ciò che riguarda le famiglie alto borghesi, i ceti egemoni, quelli che sapevano leggere e scrivere e che ci hanno tramandato la documentazione. Leggendo ed interpretando a fondo i materiali del passato si può anche valutare l’altra prospettiva, quella dei cosiddetti “ceti subalterni”(Francesco Volpe). Infine, alcuni preferiscono puntare sul termine: ospitalità. Occorre pensare alla tradizione quasi sacra ereditata dai Lucani: l’accoglienza dell’ospite ed in modo ancora più evidente del compare che doveva soggiornare per diversi giorni soprattutto in occasioni di festa. (4)
Dunque, si può affermare che vi è una coincidenza tra i contenuti rilevabili nella concezione di cilentanità ed in quella classica di comunità rurale, ovvero cultura contadina, popolare. Si trova cioè in perfetta consonanza con tutte le teorizzazioni sociologiche ed antropologiche della comunità classica.
Si potrebbe obiettare che quest’ultima è comunque riproducibile in tutte le zone in cui si sviluppa una cultura contadina, fondata sugli esempi suesposti. Ed allora: quali sarebbero gli elementi fondanti la cultura cilentana? Quali potrebbero essere gli aspetti di differenza che possano indurre a parlare di affermazione di una propria specifica identità territoriale? Attraverso quali concetti e termini si può affermare questa identità?
Un percorso per offrire una risposta può riguardare la memoria e i saperi, e di conseguenza il vissuto sociale, che si realizza attraverso: la vita narrata e gli elementi legati al linguaggio dei protagonisti; le leggende e le storie narrate (ad esempio, il brigantaggio); le credenze raccontate (malocchio, scongiuro, streghe e diavoli) e lo sconfinamento nel fantastico, nell’irreale; le parole della religione (quelle popolare, intesa soprattutto come pratica). Senza trascurare il modo di narrare le storie e il linguaggio di alcuni protagonisti.
Tutti questi elementi sono stati oggetto delle ricerche sul territorio e saranno ripresi nei prossimi scritti.
Note:
- Le ricerche su identità e comunità realizzate nel territorio cilentano sono pubblicate in: P. Martucci e A. Di Rienzo, 1997, “Identità cilentana e cultura popolare”, CI.RI Cilento Ricerche; P. Martucci, 2001, “Identità e cilentanità. I metodi qualitativi applicati allo studio della cultura popolare. Il personaggio Giancristo”, Annali Cilentani, A. VII N. 2 – luglio-dicembre 2001, pp.79-108; P. Martucci e A. Di Rienzo, 2002, “Comunità e identità. Zié Grazia e zié Pasqualina a Castelcivita”, Il Postiglione, A. XIV N. 15 – giugno 2002, pp.253-292; P. Martucci, 2005, “Le comunità cilentane del novecento”, Ed. Arci Postiglione Salerno; P. Martucci, 2007, “La vita quotidiana e il senso della cultura popolare cilentana”, Annali Storici di Principato Citra, A. V N. 2 – luglio-dicembre 2007, pp. 151-179; P. Martucci, 2008, “Cilentanità”, Ed. Arci Postiglione Salerno.
- Cfr.: F. Tönnies, 1963, “Comunità e società”, Ed. Comunità Milano; A. Bagnasco, 1992, “Comunità”, in: “Enciclopedia delle Scienze Sociali”, vol. II, Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, Roma, pp. 206-213. Cfr: A. Bagnasco. 1999, “Tracce di comunità”, Il Mulino Bologna; W. Schluchter, 2010, “Comunità e società di Ferdinand Tönnies”, paginette festivalfilosofia Modena, 18 settembre 2009.
- A. Musacchio, “Prefazione”, P. Martucci e A. Di Rienzo, 1997, “Identità cilentana e cultura popolare”, cit., p. 9.
- Le tesi dei vari studiosi sono riportate in maniera dettagliata in: P. Martucci, A. Di Rienzo, 1997, “Identità cilentana e cultura popolare”, cit., pp. 120-125.
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