“Non siamo schiavi del web, bensì della nostra pigrizia, o più precisamente della nostra ignavia, che ci impedisce di pensare che nel confronto tra gli umani e il web sono gli umani ad avere necessariamente la meglio, purché lo vogliano, perché abbiamo la prova di millenni in cui gli umani sono vissuti senza web, e il fondato sebbene poco frequentato sospetto che il web, senza gli umani, non andrebbe da nessuna parte, perché ha bisogno di noi, della nostra vita, della nostra curiosità, della nostra fretta, dei nostri consumi”. (M. Ferraris, “Documanità. Filosofia del mondo nuovo”, Laterza, 2021)
Non è determinante, contrariamente a quello che tanti pensano, il ruolo delle macchine nella vita sociale, ma piuttosto è opportuno rilevare che la tecnologia continuerà a liberarci dalla fatica. E poi, è da dire che le macchine non riusciranno mai a toglierci l’umanità, non potranno sostituirsi ad emozioni e sentimenti, insomma alle forme più imprevedibili dei comportamenti umani.
Si tratta comunque di verificare il rapporto tra macchina e uomo, indagando come la nuova comunicazione (web e tecnologia) abbia modificato il modo di rapportarsi a pensiero, intelligenza ed emozioni, facendo acquisire nuove consapevolezze e cambiando le finalità del sapere. Se ci sono molte conoscenze che prima non erano a nostra disposizione, ciò non vuol dire che sia tutto positivo, cioè un miglioramento complessivo grazie ad internet, come pure negativo, secondo la visione di quanti sono convinti che i social intorpidiscono le nostre capacità umane del ragionamento, della percezione, della memoria e delle emozioni.
La posizione ricompositiva, ovvero quella che non propende né per il predominio né per la negazione del potere mediale, è ben delineata nell’ultimo libro di Maurizio Ferraris, che insegna Filosofia Teoretica all’Università di Torino, presiede Labont (Laboratorio di Ontologia) e dirige l’istituto di studi avanzati Scienza Nuova, dedicato a Umberto Eco. È stato il fondatore del “nuovo realismo” ed ha effettuato studi sull’ermeneutica, l’estetica, l’ontologia e la filosofia della tecnologia.
Dopo aver scritto alcuni anni fa il volume: “Documentalità. Perché è necessario lasciar tracce”, Laterza, 2009, ora, in “Documanità. Filosofia del mondo nuovo”, afferma che occorre guardare al futuro con fiducia, cioè comprendere la vera rivoluzione del web che genera un nuovo mondo, un nuovo capitale, una nuova umanità.
Negli studi sulla documentalità, a proposito dei tanti oggetti sociali che ci circondano, il filosofo si riferisce a quella mole enorme di documenti che si accumulano nelle nostre tasche, nei portafogli, nei cassetti, nei telefonini, nei computer e negli archivi, nel mondo reale e in quello virtuale. La società della comunicazione è diventata quella della registrazione e dell’iscrizione. Lo è sempre stata, ma lo è a maggior ragione oggi, con l’esplosione della scrittura e degli strumenti di registrazione, che svelano l’essenza del mondo sociale.
Facendo un passo in avanti, la considerazione è che viviamo nel mezzo di una rivoluzione documediale che comporta l’accettazione del funzionamento delle macchine, considerando che le stesse non hanno diritti, ma neppure sogni: la macchina, infatti, “non ha idee e se muore può risorgere”. È dunque qualcosa di diverso dall’uomo e non potrà prendere il suo posto. La rivoluzione documediale è portatrice di un circolo virtuoso tra l’automazione della produzione, generata dalla produzione di documenti prodotti dagli umani, e il mondo della vita, in cui hanno luogo gli atti degli umani destinati ad alimentare la produzione di documenti.
La documedialità di cui parla Ferraris è l’intersezione di documenti e medialità, e tutto avviene in un ambiente ubiquo, il web. Anche se sono molte le funzioni delle macchine in sostituzione dell’uomo, ce ne sono alcune di sua esclusiva pertinenza degli umani, quali ad esempio il consumo. Le macchine possono produrre ma mai consumare: il consumo può essere equiparato alla produzione perché genera documenti, passando dalla produmanità alla documanità. I documenti sono essenziali “per la profilazione dei bisogni e dei comportamenti”, da parte delle piattaforme. E poi c’è da dire che la produzione è destinata all’automazione, mentre il consumo no.
Nel volume, l’autore riprende i concetti di “signoria e servitù”, destinati all’emancipazione, e soprattutto di quella che sarà “l’umanità a venire”, con al centro l’importanza dell’educazione.
Ferraris rievoca il De Masi della cultura post-moderna, in cui l’emotività è coniugata con la razionalità per poter creare, operando in una società legata a: progresso; rapporti virtuali; tempo libero; soggetti digitali; creatività; autonomia del lavoro; orientamento al marketing; organizzazione flessibile e diffusione delle informazioni; smart working. E soprattutto all’ozio creativo, che il filosofo torinese sembra inglobare nelle attività del consumo che, se ben si riflette, è creativo quando si affida ad una cultura che è pur sempre contenuta in quella documentale.
Se un tempo si considerava che fosse degno di un essere umano starsene per dieci ore a una catena di montaggio, adesso che ci sono i computer ci siamo liberati da molti aspetti faticosi del lavoro. È vero che ci siamo anche liberati del lavoro, nel senso che ci sono moltissime persone che non hanno più un lavoro, ma la questione è risolvibile “cercando di concettualizzare il mondo nuovo che si fa avanti invece di continuare a guardarlo con le categorie del mondo vecchio”. Siamo diventati consumatori, e la macchina che può sostituirci in tutti i compiti di produzione, non riesce a farlo in quanto consumatori.
Il filosofo sostiene che se uno dicesse di avere inventato una macchina per consumare il sushi, sarebbe esposto al ludibrio universale perché tutto il sistema di produzione del sushi è lì soltanto perché ci sono poi delle persone che vogliono mangiarlo. Se fai una macchina per mangiare il sushi fai una macchina assurda, inutile. Ed allora, occorre trovare un equilibrio tra tutti gli elementi coinvolti dalla relazione tra natura (umana) e tecnica, orientando il processo tecnologico (ed economico) in senso antropologico, secondo un ideale di giustizia umana: la tecnologia non può non far parte di un ordine etico e sociale, determinato dalle vite delle donne e dagli uomini.
Se l’umano può essere danneggiato dalla tecnologia, è anche vero che essere privi di tecnologia, rinunciare ai suoi grandi progressi, può rivelarsi un danno ancora peggiore. Per trattare adeguatamente il digitale bisogna inquadrare la condizione umana: nessuna tecnologia ci salverà e nessuna tecnologia ci distruggerà. Piuttosto, vi è una connessione sistematica e indissolubile, al punto che “la tecnologia deve essere considerata una parte dell’antropologia, e, reciprocamente, l’antropologia è l’altro volto della tecnologia”. Questa è, forse, la principale chiave di lettura che permette a Ferraris di guardare al “Mondo Nuovo”.
È un approccio che evidentemente non è menziona la vera gestione del dominio economico-finanziario, e i conseguenti rapporti di potere, che pare non riguardare precipuamente l’analisi del filosofo, impegnato a rivolgersi essenzialmente ad obiettivi etici.
In conclusione, le basi su cui Ferraris concepisce il mondo in cui vivremo sono tre: il consumo, che anima l’apparato tecnico fornendogli finalità umane da soddisfare; l’educazione, ovvero la possibilità di promuovere qualcosa di esclusivamente umano, “che non è alla portata di nessun computer”, e infine l’invenzione, ovvero la capacità autopoietica tipica degli umani, che consente di poter guardare con strumenti nuovi al futuro e allo sviluppo di qualsiasi progresso sociale.
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