“L’uomo ha sempre sentito il bisogno di appoggiare la sua fede a qualcosa di concreto e di tangibile che faccia quasi da intermediario tra lui e la divinità. Da cui le credenze nella virtù miracolosa delle sante reliquie”. (1)
Per reliquie si intendono i resti di corpi dei santi e dei martiri, ma anche gli oggetti e gli strumenti conservati in luoghi sacri e di culto. Negli stessi Atti degli Apostoli, si parlava di fazzoletti che venivano posti sui malati dopo che erano stati a contatto con Dio, e “le malattie cessavano e gli spiriti cattivi fuggivano”. (2)
Il termine proviene dal latino reliquiae, resti, equivalente al greco leipsanon, lasciare in ricordo. Prima dell’avvento del Cristianesimo alcuni oggetti erano conservati in memoria di persone realmente esistite, ed erano associati a particolari sistemi religiosi o culturali. Le reliquie sono dunque sia i resti di un individuo dopo la sua morte che gli oggetti, venuti effettivamente a contatto con il suo corpo, quelli usati per la penitenza, gli strumenti di prigionia, di martirio o di passione. Le persone, che avevano orrore della morte, con la reliquia trasformavano quell’orrore in speranza. (3)
I sovrani barbari, che avevano costituito i loro regni sulle ceneri dell’impero romano, giuravano sulle reliquie attraverso: il giuramento di promessa e quello di verità. Nel primo caso si trattava di prendere un obbligo; nel secondo si attestava la veridicità di ciò che si affermava. Il senso era che ci sarebbe stata una punizione divina nel caso in cui il giuramento non fosse stato rispettato. (4)
Se tale culto è stato in parte considerato una rivisitazione di pratiche pagane, per Lombatti l’adorazione di un santo non può essere “una semplice derivazione della venerazione greca per gli eroi”. E poi, gli eroi pagani non praticavano il martirio, come invece accade nel Cristianesimo in cui si sviluppa una “fede profonda e sincera” e un rispetto nei martiri tale da determinare “una comprensibile cura nel custodire i loro resti mortali”. (5)
Le forme di venerazione delle reliquie erano: processione, visita, esposizione, benedizione. Durante l’omaggio reso, il fedele si inginocchiava, baciava l’oggetto di culto ed a volte si prostrava a terra. La solennità dell’evento era costituita dall’utilizzo di torce, candele, incenso. Anche se tali usi richiamavano a prassi pagane, “il fascino delle luci e delle nebbie profumate ebbe il sopravvento”. C’è poi da dire che l’utilizzo della luce e della nebbia rappresentava simbolicamente “la vittoria della luce contro le tenebre e il viaggio verso la gloria eterna”. (6)
Se le persone portavano candele e incenso, il significato era di adorazione e venerazione per “chiedere qualcosa o per ringraziare di un favore ottenuto”. Forse ancora prima del IV secolo, le tombe dei martiri erano diventati i luoghi più frequentati dai mendicanti che chiedevano l’elemosina. Nel 260, a Roma i fedeli adoravano San Sebastiano; ad Arles, nel 300, ci si rivolgeva a San Genesio. A partire dal III secolo, l’altare divenne il luogo centrale delle chiese: lì si celebrava l’eucarestia e lì furono sepolti i resti dei martiri. (7)
Una data importante è l’Editto di Milano (313) in cui veniva affermato il rispetto per il martire: la sua tomba diventava un “vero e proprio memoriale e il gruppetto di fedeli clandestini si sarebbe a breve trasformato in flussi di pellegrini”. Si realizzarono piccoli edifici di culto, che sorsero presso tombe e cimiteri: i martyria. Il culto era talmente forte che i fedeli accendevano lumi e ben preso trasformarono gli altari, che diventarono strutture tombali. Sant’Ambrogio, il vescovo di Milano, a partire dal 380 drammatizzò le reliquie in modo che diventassero una dimostrazione pubblica del potere sacro. Il vescovo aveva compreso che “le reliquie potevano costituire uno strumento per esercitare un potere personale”. (8)
Era riconosciuta l’importanza della relazione che si instaurava tra il fedele e l’altare, dove “si celebrava il sacrificio del Signore”, e dunque era giusto collocare sotto di esso i corpi di coloro che avevano speso la loro vita per lui. Non era facile trovare però le reliquie dei martiri; eppure dopo l’editto sulla libertà religiosa, molti fedeli si impegnarono a trovare quei segni tangibili a supporto del loro credo. Le reliquie ebbero dunque un “valore aggiunto”, un potere speciale, virtus. Le reliquie erano classificate in maniera precisa: un corpo, che comprendesse testa, gambe e braccia era reliquiae insignes, le reliquie non complete erano non insignes (notabiles, mani e piedi; exiguae, denti e dita). Tutte però erano considerate primarie. Poi vi erano gli oggetti che erano stati a contatto con un santo, considerati sacri, ma erano anche reliquie secondarie (vestiti, utensili, strumenti di tortura del martirio). (9)
Ad ogni modo, una delle forme era costituita dal martirio, che non implicava solo la morte ma orrende mutilazioni, sofferenze che avrebbero permesso di trasformare i resti fisici di un corpo in un’entità spirituale. Policarpo, il vescovo di Smirne, fu bruciato nel 155.
Si racconta: “Il fuoco prese la forma di una stanza dal soffitto a volta, come la vela di una nave gonfiata dal vento ed eresse una parete attorno al corpo del martire che stava nel mezzo, non come carne bruciata, ma come oro e argento raffinati in una fornace. Sentimmo veramente una meravigliosa fragranza, come un soffio di incenso o di qualche squisito aroma”. (10)
L’attuale dottrina della Chiesa in materia di reliquie, si rifà al Concilio di Trento (1545-1563), nella sezione del 3 dicembre 1563, quando si dispose che i santi, le immagini e le loro reliquie autentiche fossero tenute in onore. Dunque, si tratterebbe di considerare i termini di autentico e quelli di onore. A proposito di quest’ultimo, Lombatti si rifà a culto, che deriva dal latino colere, onorare, un “atto di venerazione e rispetto tributato ad una persona posta in autorità”. E il culto inteso come atto di fede e di venerazione. (11)
Il problema era rappresentato dall’autenticità.
Il primo esempio di reliquie è costituito dai luoghi: quello di Nascita di Gesù, di Battesimo, il Pinnacolo del Tempio in cui fu tentato, l’Altura della Trasfigurazione, vicino al Monte degli Ulivi, la Tomba di Lazzaro, il Santo Sepolcro, e così via. Poi ci furono gli oggetti della crocifissione e morte. La preoccupazione fu di individuare i luoghi e collocare “gli oggetti di cui gli evangelisti avevano parlato”. E gli oggetti furono anche: il Prepuzio di Gesù, i Capelli o il Latte della Madonna, i Corpi degli Apostoli, le Vesti, gli strumenti della Crocifissione. (12)
Come nasce il sentimento di devozione verso questi oggetti sacri?
L’impulso maggiore al culto delle reliquie venne dall’imperatrice Elena, madre di Costantino, dopo essersi convertita al Cristianesimo, nel 327. La donna si recò in Terra Santa per un pellegrinaggio e, secondo la tradizione, ritrovò diverse reliquie della Passione di Gesù: la Vera Croce, la Corona di Spine, i Chiodi, il Titulus Crucis, e molte altre. Il viaggio di Elena accese la devozione verso tutti i santuari che potevano vantare il possesso di una reliquia; per questo motivo, le chiese facevano a gara per accaparrarsi una reliquia che non di rado veniva rubata o da ladri professionisti o durante i saccheggi delle città. Esistevano poi dei veri e propri mercanti specializzati in reliquie che, approfittando dell’ingenuità dei compratori, vendevano presunti resti di santi e beati. Nel Medioevo, la venerazione delle reliquie sconfinava nella superstizione: agli oggetti e ai resti mortali di santi e martiri venivano attribuiti poteri miracolosi, taumaturgici e si riteneva che il solo toccarli potesse produrre guarigioni o concedere grazie. Per questo motivo, le reliquie si moltiplicavano contro ogni logica: in età medievale, erano sparse per l’Europa almeno 60 dita di san Giovanni Battista, 3 teste di san Giorgio, diverse Culle di Gesù Bambino, almeno dieci Prepuzi, innumerevoli frammenti del Legno della Croce. Al fine di conservare le reliquie, si introdusse il Reliquiario, una custodia di grandezza, forma e materiali vari (urne, cofanetti, teche, ampolle, ecc.) destinata a contenerle. La diffusione del culto delle reliquie determinò cdi conseguenza l’evoluzione dei loro contenitori. Dai sepolcri derivano i grandi reliquiari a cassa, collocati nelle chiese soprattutto Oltralpe; contemporaneamente si diffondevano reliquiari di ridotte dimensioni. Dall’età preromanica, la fortuna delle arti suntuarie e dell’oreficeria consentì la realizzazione di reliquiari di materiali preziosi (anche con l’uso di gemme, smalti ecc.) e di grande pregio artistico. (13)
La pratica della translatio, il trasferimento delle reliquie da un sito all’altro, era già ben radicata a Roma. Portare le reliquie nei vari luoghi ben presto fu una pratica che si diffuse per invocare interventi divini per raccomandare il bestiame, la terra, i beni: (il reliquiario) “presiedeva alle adunanze della comunità, veniva celermente inviato nei luoghi in cui fosse avvenuto un disastro e in un’occasione, quando ci fu un tumulto nel chiostro di Conques, nel sud-ovest della Francia, fu usato per colpire in volto i sediziosi”. (14)
Inizialmente i reliquiari,“d’oro e guarniti di gemme”, erano collocati presso un santuario: “Così, di fronte al visitatore si staglia una sorta di scenario teatrale, arricchito, nei giorni di festa, di sfarzose processioni e dell’ostentazione delle reliquie. Le reliquie si avvicinano ai supplicanti e i supplicanti riversano sulle reliquie le loro speranze”. (15)
Le reliquie nelle chiese avevano uno scopo protettivo. In occasione della consacrazione di una chiesa (dedicatio), le reliquie in processione (adventus) erano trasportate con preghiere e litanie. Il vescovo spalancava le porte e faceva entrare il corteo solenne. Quindi avveniva la depositio, la collocazione delle reliquie nel sepulcrum dell’altare. Il santo diventava il dominus, il patrono della comunità. (16)
Le reliquie erano il santo stesso, anche se i resti erano parziali perché sottoposti a dismembratio. Si narra che una donna asserisse di avere un dito di San Giovanni Battista. Quella reliquia fu contesa e fu difficile dividere l’osso anche dopo una notte di preghiere. Quando però il sangue uscì e cadde su un panno, “quel pezzo di stoffa imbevuto di sangue fu diviso come brandeum”. Accadevano poi miracoli in occasione del tentativo di suddivisione dei resti di un santo, una sorta di avversione a compiere la dismembratio; ma le traslazioni erano ormai inevitabili e la pratica di suddividere le reliquie era sempre più frequente. I resti di un santo servivano a rendere autorevole la persona che ne aveva il possesso. Ed il periodo della suddivisione dei corpi determinò il soddisfacimento della domanda di reliquie che era sempre più importante: “ben presto si arrivò ad un’inflazione anche se nessuno avrebbe rifiutato una reliquia anche se ne possedesse già una o più”. (17)
Per Lombatti: “Il tardo Medioevo fu un periodo popolato da pittoresche collezioni di reliquie, santi reali e immaginari, preziosi reliquiari e pratiche devozionali verso i martiri nati da un profondo senso del sacro e del mistero. Un mistero fatto di ritualità paganeggianti, che rievocavano antiche superstizioni. (Le reliquie) rappresentavano l’anello di congiunzione tra la terra e il cielo, il naturale e il soprannaturale, tra l’uomo e Dio”. (18)
Le reliquie continuano ad attirare la nostra attenzione, perché sono “un simbolo tangibile e non quotidiano che non si ritrova in normali immagini votive”. C’è sempre stata la necessità di avere bisogno di contatti diretti e di segni evidenti, ed allora le reliquie esercitano un grande potere di richiamo. Il loro significato è però legato “al momento dell’ostensione e non tanto al loro essere nelle sacrestie”: quando infatti questi corpi “sono mostrati ai fedeli riacquistano il loro potere visivo”. (19)
Del resto, gli eventi miracolosi quali: apparizioni e lacrimazioni sono anche oggi estese in tutto il mondo, a prescindere dal medioevo quando casi di reliquie che trasudavano sangue erano molto diffusi. Il potere delle reliquie era quello di curare e serviva a dimostrare che Dio si manifestava attraverso un santo che agiva miracolosamente. (20)
Associate alle reliquie, non potevano mancare le narrazioni delle gesta del santo o del martire cui le stesse erano associate, dando risalto ai testi agiografici.
Le leggende agiografiche si sviluppano lungo le medesime linee narrative con strutture ben precise: “l’iniziale descrizione di tutte le virtù, la parte centrale in cui si evidenziano imprese straordinarie o miracoli, l’epilogo con il martirio o la morte e l’adorazione delle reliquie”. (21)
Un racconto di rilievo è la descrizione del martirio di San Clemente di Ancyra e del suo diacono Agatangelo, avvenuto nel 308. (22)
“Viene impiccato (Clemente) per i polsi e frustato con cinghie metalliche, mentre guance e labbra sono battute con pietre. È legato ad una ruota e bastonato e infilzato da pugnali. Aghi lunghissimi sono infilati nel suo volto, gli vengono rotte le mandibole e tolti tutti i denti con delle tenaglie. Entrambi sono issati su un palo della pubblica piazza e fustigati per giorni. I loro corpi sono bruciacchiati con torce e gettati in pasto a belve feroci; chiodi lunghissimi sono piantati sotto le unghie dei due malcapitati e, dopo essere stati coperti da escrementi, vengono lasciati lì sotto per due giorni. Ma non è ancora finita: una volta tirati fuori viene loro tolta la pelle e vengono di nuovo frustati. Sono messi su griglie roventi sopra un fuoco ad arrostire e, poi, gettati in una fornace per un giorno e una notte. Visto che Clemente e Agatangelo erano ancora vivi, i torturatori li scorticano con uncini metallici, versano sulla loro testa piombo fuso, legano ai loro colli una pietra e li trascinano per tutta la città. Arrivati sulla piazza sono lapidati dalla folla. Clemente viene nuovamente frustato, bruciato con torce e bastonato in testa. Infine, i due martiri vengono decapitati”.
Esistono sei tipologie di testi agiografici: 1) Resoconti scritti ufficiali degli interrogatori dei martiri. Si tratta di frasi relative agli interrogatori di una persona accusata di professare un credo religioso non ammesso nell’Impero romano; 2) Atti autentici di resoconti di testimoni oculari ben informati; 3) Atti che raccolgono vario materiale, orale e scritto, di testimoni, che poi viene rielaborato con aggiunte; 4) Atti che costituiscono l’immaginazione dell’agiografo (racconti popolari, situazioni fittizie, dove si sbizzarrisce la fantasia dell’autore); 5) Leggende di santi e martiri mai esistiti, frutto di fantasia, senza fonti documentali; 6) Racconti scritti da veri e propri impostori per creare un culto. (23)
Come si può notare solo le prime due tipologie avrebbero una validità, supportate da documenti, anche se non si tratta di casi molto diffusi. In prevalenza l’agiografo o esagera la narrazione o inventa.
Di seguito il racconto di un intervento miracoloso.
“Un ragazzo che viveva nel territorio di Lindisfarne era così orribilmente tormentato da uno spirito maligno che era uscito del tutto di senno e lanciava urla strazianti, cercando di dilaniare coi denti persino le proprie membra e tutto ciò che era alla portata della sua bocca. Nessuno riusciva ad espellere o ad esorcizzare questo spirito malvagio. Il padre, allora, mise il ragazzo su un carro e lo portò al monastero di Lindisfarne per invocare su di lui l’aiuto di Dio dinanzi alle reliquie dei santi benedetti in quel luogo. Allora un sacerdote si recò nel luogo in cui era stata gettata l’acqua con cui avevano lavato il corpo di San Cutberto. Lì prese una manciata di fango. La mescolò con dell’acqua e la portò al sofferente versandogliela nella bocca aperta, da dove gli uscivano le grida più terribili e lamentevoli. Il giovane cadde immediatamente in un sonno profondo. La mattina dopo si risvegliò guarito”. (24)
Giovanni Calvino, il fondatore della chiesa protestante, nel libretto: “Trattato sulle reliquie”, si riferisce al danno fatto dal culto di questi oggetti, che allontana dal vero messaggio cristiano; si tratta di una critica alle forme esteriori della religiosità. Dice Calvino che la gente invece di cercare Gesù Cristo perde tempo “con le sue vesti, le sue camicie e la sua biancheria”, trascurando “l’essenziale per seguire l’accessorio”. Così ha fatto con gli apostoli, i martiri e i santi. Ritiene superfluo tenere reliquiari, senza degenerare nell’idolatria: “pretendere che sia bello avere qualche ricordo (…) per stimolarci alla devozione, non è forse una malvagia astuzia per dissimulare la nostra folle cupidigia che non è fondata su alcun motivo?”. E continuando, afferma che anche se Elena, la madre dell’imperatore Costantino, adorò solo il Signore e non il legno su cui era appeso, “è assai raro avere il cuore consacrato ad una qualsiasi reliquia senza che insieme si contamini e si macchi con un po’ di superstizione”. Infatti, quel popolo che si dice cristiano è giunto ad essere idolatra, tanto che “ci si è prostrati ed inginocchiati dinanzi alle reliquie allo stesso modo che dinanzi a Dio”. Ed essi non sono stati solo uomini rozzi e umili, ma si è trattato “di un disordine spirituale di portata generale, approvato da coloro che detenevano il governo e la guida della Chiesa. E addirittura si sono poste le ossa dei morti e tutte le altre reliquie sull’altare maggiore, nel luogo più elevato ed eminente, per farle adorare con maggiore legittimità”. Disponendo dei registri di ogni luogo, si scoprirebbe che “ogni apostolo possiede più di quattro corpi”, così come “ogni santo almeno due o tre”. Ovvero: “tutti si sbalordirebbero vedendo un imbroglio tanto stolto e grossolano”. (25)
Il finale del libretto sulle reliquie, dopo aver fatto una disamina su quelle di Gesù, la Madonna, i santi e i martiri, trovando innumerevoli contraddizioni, è il seguente:
“È tutto così imbrogliato e confuso che non si possono adorare le ossa di un martire senza il rischio di adorare le ossa di un brigante o di un ladrone, o anche di un asino, di un cane o di un cavallo. Non si può adorare un anello della Madonna, oppure un suo pettine o cintura, senza correre il pericolo di adorare gli anelli di una qualche donna dissoluta. Perciò si guardi dal pericolo chi lo vuole, giacché d’ora innanzi nessuno potrà pretendere d’essere giustificato per la sua ignoranza”. (26)
Prima della Riforma però già era in atto una campagna contro le reliquie. Nel 726 ci fu un editto dell’imperatore bizantino Leone III, che senza mezzi termini imponeva di distruggerle. Poi, nel medioevo, la credenza dei corpi trasformati spiritualmente era molto forte. La carne dei santi era diversa da quella degli altri, perché aveva vissuto la trasformazione in carne spirituale: “era possibile preparare già in terra il corpo per lo splendore che avrebbe acquisito alla fine in cielo”. Teodoro di Echternach all’inizio del XII secolo scriveva: “la carne è una cosa per natura e un’altra per la grazia (ricevuta da Dio) e per i meriti. Per natura è putrida e corruttibile, ma per la grazia e per i meriti … respinge gli avidi vermi”. Afferma Freeman: “La stessa Resurrezione di Cristo aveva dimostrato che un corpo morto poteva trionfare sulla morte e ricomparire apparentemente vivo, e ciò lasciava nell’ambiguità se esistesse, nella carne dei santi, una barriera assoluta tra la vita e la morte”. (27)
Tommaso D’Aquino, considerando gli eventi naturali che erano intesi come miracolosi, affermò: “Il naturale doveva essere esteso a includere i fenomeni straordinari della natura, come le più spaventose tempeste o i terremoti improvvisi”. Anche se alcuni attribuivano a Dio questi fenomeni, Tommaso coniò la parola supernaturalis, soprannaturale. Qui si entra nella credenza che esistevano forze soprannaturali, angeli o demoni, che potevano sovvertire le leggi di natura. Ed allora, la questione dell’autenticità del miracolo portò alla nomina da parte del papa di uomini esperti per giudicare. (28)
La storia delle reliquie è naturalmente molto legata alla storia e all’evoluzione del pellegrinaggio. Siccome non tutte le persone erano in grado di fare un pellegrinaggio, sia per ragioni di salute, di denaro o altre, era molto in voga riportare un ricordo, una reliquia che poteva trasmettere il potere magico di un personaggio santo. Soprattutto pellegrini che andavano a Roma riportavano quantità di reliquie poi in parte distribuite come regali alle persone care rimaste a casa. Come esempio più antico si trovano ampolle decorate databili del sesto secolo provenienti da Palestina e contenendo olio sacro.
Il sangue di Cristo era uno dei più importanti segni. Un pezzo di pane (ostia) e un calice di vino durante la messa nel momento della consacrazione ad opera del sacerdote diventano sangue e corpo di Cristo. Si parlò di transustanziazione, anche se il pane e il vino mantengono l’accidente di sembrare, come affermava Tommaso D’ Aquino, il pane e il vino d’origine. Del resto, dovevano essere proprio gli accidenti ad essere frantumati (ostia), mentre “il corpo e il sangue di Cristo restavano integri”. (29)
Alle reliquie corporee dei santi si aggiunsero presto, nella considerazione dei fedeli, quelle non corporee, costituite da oggetti a essi appartenuti, ovvero connessi con la loro vita o la loro morte, come, nel caso dei martiri, gli strumenti della passione. Per fare un esempio, tra le presunte reliquie di Gesù ci sarebbe: la mangiatoia in cui sarebbe nato, la veste, la tavola o la coppa dell’ultima cena, le spine della corona, la colonna della flagellazione, i chiodi della crocifissione, la croce, il sudario in cui sarebbe stato avvolto, la Sindone.
Poi ci fu la Riforma, che rilevò come i testi sacri fossero stati abbandonati a vantaggio di queste forme esteriori di culto. Dopo il 1520, in molte città si mise in atto la distruzione delle immagini, dei santuari e delle reliquie. Zwingli prima; poi il 1523/1524, a Zurigo, con la messa in discussione del culto delle immagini; poi il 1529, quando a Basilea si fracassarono nelle chiese statue, reliquari, crocifissi e calici; infine Calvino (1509-1564), a capo della comunità protestante di Ginevra. Furono quegli anni che portarono a molti cambiamenti. (30)
Il Concilio di Trento del 1563 stabilì, con Ignazio di Loyola, la Controriforma: è vero che c’erano stati degli abusi, superstizione, ignoranza e irriverenza, ma le immagini erano importanti per avvicinare ai santi e commemorarli. Esse dovevano essere trattate con rispetto ed il vescovo era preposto a “confermare se avesse avuto luogo un miracolo o se una nuova reliquia fosse autentica”. (31)
Del resto, tra gli artefici della Controriforma, ci fu Filippo II, della casata degli Asburgo, prima re di Spagna nel 1559 e poi imperatore di Portogallo e delle sue colonie nel 1580. Egli sul modello di Carlo Magno, mise insieme una grande collezione di reliquie: fece costruire il tempio di San Lorenzo el Real e si mise alla ricerca di reliquie. Il dente di san Lorenzo gli fu inviato da Montpellier, poi cercò di trasferire le ossa di san Giacomo da Campostela. (32)
Dunque, se il Protestantesimo nelle sue varie forme rigettò sia il culto dei santi sia quello delle reliquie, il Concilio di Trento dichiarò e formulò la dottrina cattolica su questi aspetti. Il Codex iuris canonici del 1917 fece una netta distinzione tra le reliquie e nel 1983 un nuovo codice prescriveva il divieto di vendere, alienare o trasferire le reliquie insigni senza la licenza della Santa Sede, ribadendo l’uso di riporre sotto un altare fisso le reliquie di martiri o di santi. Oggi esse sono considerate “un accompagnamento della vita sacramentale” e fanno parte della religiosità popolare. Sono state suddivise in tre classi in base alla loro preziosità e all’eccezionalità da esse rappresentata, a condizione che venga comprovata la loro veridicità. Le prime sonooggetti direttamente associati ad eventi della vita di Cristo (parti della Santa Croce, chiodi della crocifissione, frammenti della mangiatoia, la Sindone, ecc.), o resti sacri di santi (corpi interi, ossa, capelli, sangue, carne, ecc.). Tradizionalmente le reliquie dei santi martiri sono considerate più preziose di quelle degli altri santi in quanto i martiri hanno fisicamente donato la loro vita per Cristo. Molte di queste reliquie sono note per la loro incorruttibilità, ovvero non subiscono la naturale decomposizione del corpo umano, segno evidente di santità. Relativamente agli altri santi, le reliquie di Ia classe più preziose consistono nei corpi stessi dei santi che sono così suddivisi: reliquiae insignes – corpi completi o parti rilevanti del corpo come la testa o un organo particolare (ad esempio il cuore); reliquiae non insignes – corpi incompleti o parti minori del corpo; reliquiae notabilis – mani o piedi; reliquiae exiguae – dita, denti o frammenti di corpo. Le reliquie di IIa classe sono oggetti che il santo ha indossato (una tunica, dei guanti, ecc.). Vi sono compresi anche oggetti come ad esempio: un crocifisso, libri, stole, e se erano stati rilevanti nella sua vita acquisivano preziosità. Sono diverse le classificazioni minori a seconda della loro tipologia, con dicitura in latino: ex pallio – dal mantello; ex velo – dal velo; ex habitu – dall’abito; ex indumentis – dai vestiti; ex arca sepulchralis – dalla tomba; ex veste – dall’abito talare; ex fune – dalla corda (che gli appartenenti ad alcuni ordini religiosi regolari portano attorno alla vita sopra la veste); ex cilicio – dal cilicio. Le reliquie di IIIa classe sono qualsiasi oggetto che sia entrato in contatto con reliquie di Ia classe. Solitamente sono costituite da pezzi di stoffa a contatto col corpo del santo. Infine, le reliquie di IVa classe sono quelle contigue con reliquie di IIa classe. Solitamente sono costituite da pezzi di stoffa o collane religiose entrate direttamente in contatto con qualche oggetto del santo. (33)
Se a partire dal Cristianesimo si diffuse il culto delle reliquie, è il Medioevo il periodo storico in cui tale culto faceva parte della vita spirituale, ma “era soprattutto materialità e quotidianità”. Questa forma di religiosità era manifestata attraverso la scoperta “reale o leggendaria” di una reliquia. Era del resto un grande affare il commercio di ossa, vestiti, corpi, controllato da monaci e vescovi: comprata o venduta una reliquia era comunque un investimento, per la possibilità di attrarre pellegrini e incamerare le loro offerte. Il denaro serviva poi per abbellire i reliquiari, restaurare o costruire chiese ed abbazie. Era una sorta di turismo religioso che creava prestigio e ricchezza. (34)
Note
- M. P. Giardini, “Tradizioni popolari nel Decamerone”, L. Olschki, 1965.
- Atti degli Apostoli, 19, 12. Cfr. M. Olmi, “I segreti delle reliquie bibliche”, XPublishing, 2018.
- A. Lombatti, “Il culto delle reliquie”, Sugarco Edizioni, 2007, 71.
- Ivi, 99.
- Ivi, 51-52.
- Ivi, 108.
- Ivi, 110.
- C. Freeman, “Sacre reliquie”, Einaudi, 2012, or. 2011, 32.
- A. Lombatti, cit., 56-58.
- C. Freeman, cit., 25.
- A. Lombatti, cit., 73-74.
- Ivi, 75.
- Reliquia (voce), in Enciclopedia Treccani, https://www.treccani.it.
- C. Freeman, cit., 97.
- Ivi, 18.
- A. Lombatti, cit., 61.
- Ivi, 63-64.
- Ivi, 68.
- Ivi, 116.
- Ivi, 131.
- Ivi, 28.
- Ivi, 37.
- Ivi, 41-42.
- Ivi, 132.
- G. Calvino, “Trattato sulle reliquie”, scritto nel 1543, Edizione Mimesis, 2010, 5-9.
- Ivi, 48.
- C. Freeman, cit., 163-165.
- Ivi, 173-174.
- Ivi, 217-218.
- Ivi, 266-277.
- Ivi, 296-298.
- Ivi, 302-303.
- Reliquia (voce), in Enciclopedia Treccani, cit.
- A. Lombatti, cit., 248.
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