Globalizzazione, crisi economiche e guerre hanno messo in movimento milioni di esseri umani, modificando la convivenza collettiva e diffondendo insicurezza.
Il fenomeno delle migrazioni è uno dei più importanti e complessi che vivono le nostre società e su cui occorre riflettere, soprattutto perché quale risposta si sono costruiti sistemi difensivi, che oggi si chiamano muri, e che diventano sempre più numerosi per la volontà dei popoli di impedire gli attraversamenti di altre culture, di altri uomini spinti dalla necessità di sfuggire soprattutto alle avverse condizioni di vita.
Il primo muro eretto nella storia fu la Grande Muraglia cinese, cui seguirono tanti altri tentativi di separare, con filo spinato, mattoni e cemento, i territori; sembrava che con il 1989, la caduta del muro di Berlino, si accendesse la speranza per un mondo libero. Eppure, non è andata così: si sono erette barriere che evocano confini, e confini che rimandano alle frontiere.
Credo sia opportuno fare chiarezza su tali questioni, partendo dai riscontri terminologici.
Nel Dizionario Treccani per frontiera si intende: “linea di confine (o anche, spesso, zona di confine, concepita come una stretta striscia di territorio che sta a ridosso del confine), soprattutto in quanto ufficialmente delimitata e riconosciuta, e dotata, in più casi, di opportuni sistemi difensivi”. (1)
Si rileva un numero enorme di frontiere nel mondo: 323 terrestri su circa 250.000 km. Aggiungendo quelle marittime, si arriva ad un totale di circa 750 frontiere tra Stati. Alcune si attraversano facilmente, altre sono invalicabili, alcune sono visibili, altre invisibili (aeree, astronomiche). Ma esistono anche frontiere immaginarie o arbitrarie: politiche, economiche, culturali che quasi mai coincidono con le frontiere internazionali. (2)
Dario Gentili ha delineato le differenze tra frontiere e confini, molte ben indicate dalla lingua latina: finis e limes, che oggi appaiono in Europa come concetti sfumati, tanto che il confine è diventato sinonimo di frontiera. Il con-fine, deriva da finis che significa “solco” (scavare un solco nel terreno), per ordine del rex, colui che esercita l’autorità e regola la comunità. Al di là del confine c’è il caos, ed allora si traccia questa linea che deve essere non spezzata, proprio per evitare confusione e disordine, perché ciò che è al di là è altro. Ora questo concetto di finis è complementare a limes, che rappresenta la zona in cui c’è continuità e contatto. Per Gentili, il limes è altro da finis, per la provvisorietà e la permeabilità: il limes avanza nel barbaricum, non demarca il confine e si potrebbe tradurre con frontiera. Nel mondo romano, pensiamo a Romolo, per regolamentare i confini tra i popoli si costruiva il “sacro recinto murario”, fondamento del potere. Nell’era moderna, al muro è subentrato il confine, che tuttavia presuppone un limite condiviso da entrambe le parti: superare il confine significava contravvenire al patto del riconoscimento della sovranità territoriale. Nella cultura americana, la frontiera è differente dal confine e coincide con il limes romano, sempre a contatto con il barbaricum. Con la globalizzazione è più giusto parlare di frontiera, perché c’è s-confinamento e perché la regolamentazione degli spazi è ardua. E l’edificazione di muri serve proprio a definire frontiere; sembrano essere baluardi per difendere l’ordine interno, infatti la frontiera murata è solo limitata da una parte, laddove i confini erano scelte condivise tra Stati. La frontiera è dunque il fronte della sovranità, per escludere i barbari, coloro contro cui si erigono muri. Qui è la lingua greca a venire in soccorso: i bàrbaroi (balbuzienti, che balbettano perché non possiedono il lògos) erano l’altro, il fuori assoluto rispetto alla civiltà, definita dal possesso della lingua greca, lògos. Conclude l’autore che “nel mondo contemporaneo, i barbari possono essere all’interno dei confini statuali e, al contempo, al di fuori delle frontiere murate”. (3)
Silvano Tagliagambe ha introdotto un altro elemento. Terminus deriva dalla radice ter che significa: “attraversare”, raggiungere una meta che si trova al di là. Così terminus indica essenzialmente un confine, originariamente concepito come tracciato materiale, riconducibile a parole indicanti un palo di confine, una pietra di confine, un segno di confine in generale. In greco, alla parola “termine”, tanto in filosofia quanto in un ambito più esteso, corrisponde la parola “luogo circoscritto” e, inoltre, “separazione”, “differenza”, “isolamento”, “solco” e, in seguito, “confine”. Questa analisi etimologica evidenzia, dunque, come il termine sia “originariamente il custode del confine della coltura/cultura: dà alla vita articolazione e struttura, fissa stabilmente le sue articolazioni fondamentali e, non permettendo una generale confusione, (…), in realtà la libera verso un’ulteriore creazione”. (4)
Tanti sono coloro che negli ultimi anni si sono occupati di frontiere, confini e muri. (5)
Tra questi, giornalisti ed intellettuali, che si sono interessati a: diritti, libertà, sovranismi, populismi, chiusure, aperture; tutto ciò ponendo in primo piano l’hostis (inteso nel senso di ospite). Bernard-Henri Lévy, ad esempio, ha deciso di continuare a viaggiare nonostante la pandemia, dunque ad oltrepassare le frontiere, con una serie di reportage, in cui si è interrogato sul perché ci sono gli egoismi e il genere umano si è ridotto così: Perché non c’è fratellanza? Perché c’è guerra in ogni angolo di strada? Il filosofo si riferisce alla Nigeria di Boko Haram, al Kurdistan iracheno e siriano, alla linea del fronte dove si combattono Russi e Ucraini, alla Somalia abbandonata all’illegalità e alle bande islamiste, del Bangladesh, dei campi della miseria di Lesbo, fino all’Afghanistan con il ritorno dei talebani. (6)
La rivista “Micromega” si è sempre occupata di migrazioni e diritti negati. Valerio Nicolosi, a proposito della crisi diplomatica tra Bielorussia e Polonia, attacca l’Unione Europea che continua la politica di chiusura delle proprie frontiere, lasciando fuori i profughi delle guerre e i migranti che nei boschi continuano a morire di freddo. Una sorta di mea culpa è stata affidata alle parole del presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel: “Stiamo affrontando un brutale attacco ai confini dell’Unione Europea, stiamo ragionando su delle infrastrutture di protezione lungo i confini europei, uno per tutti, tutti per uno”. (7)
Mentre tutto ciò accade sotto i nostri occhi, Domenico Gallo scrive: “C’è un divario sconcertante fra i grandi princìpi proclamati solennemente nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e quanto sta accadendo ai suoi confini. (…) Ormai è evidente che ci troviamo di fronte allo scatenarsi di una nuova guerra fredda, alla nascita di una nuova cortina di ferro, spostata un po’ più a est della precedente ma ugualmente contrassegnata da muri, distese di cavalli di frisia, eserciti che si confrontano, armi che si accumulano”. Afferma Gallo che c’è un divario fra i grandi princìpi proclamati solennemente nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e quello che sta accadendo: “Le politiche di respingimento dei flussi migratori adottate dall’Unione Europea sono sostenibili solo al prezzo di disumanizzare la folla dei profughi, di considerarli merce indesiderata da bloccare ai confini”. (8)
Massimo Congiu sostiene che occorre con forza lanciare un appello alle coscienze mondiali: “Mentre è in atto un braccio di ferro che coinvolge i due paesi interessati (Polonia e Bielorussia), più Russia e Unione europea, si consuma il dramma di circa 4.000 persone che hanno intrapreso una fuga per la sopravvivenza. Tutta gente che possiamo immaginare poco interessata agli equilibri geopolitici ma piuttosto ansiosa di lasciarsi alle spalle guerre, povertà e persecuzioni”. (9)
Oggi nel mondo ci sono più di 70 muri di confine, dalla barriera ungherese contro i migranti, al filo spinato indiano, alla linea di confine tra Corea del Nord e Corea del Sud. Mai così tanti. Negli ultimi trent’anni il numero è quadruplicato, e negli ultimi cinque è cresciuto esponenzialmente. Il muro, durante la Guerra Fredda, era simbolo di conflitto, di zona militare, stigmatizzato dai paesi democratici. Dagli anni novanta è stato inteso come segnale di sicurezza e protezione, desiderato dai cittadini spaventati dalle minacce esterne e sfruttato dai politici.
I muri sono cambiati nel tempo. Le mura di Troia dovevano a difendere la città dalle invasioni militari; i muri del novecento servivano a definire e militarizzare un confine instabile; oggi le barriere provano a fermare i migranti. Ogni muro è diverso nei materiali e nell’altezza, ma il principio è lo stesso: una barriera, spesso sorvegliata da torrette e telecamere, che divide due mondi totalmente differenti e nega qualsiasi possibilità di sviluppo transfrontaliero.
In Europa, se la crisi dei migranti ha fatto sì che molti paesi erigessero muri difficili da scavalcare, un’altra via, il Mediterraneo, il mare, negli ultimi anni registra valori mai toccati di viaggi, sbarchi e, purtroppo, morti.
L’ultima notazione è sul ruolo della finanza e del capitalismo, che senza barriere possono incidere liberamente nel mondo. Andrea Marconi crede che i confini debbano continuare a proteggere e filtrare. Confine non deve significare solo muro invalicabile, chiusura e isolamento, perché l’immigrazione ha bisogno di confini, perché si deve dividere ciò che è utile alla comunità da ciò che è nocivo: servono i controlli, ma non per escludere, semplicemente per proteggere l’ordine e la pace. (10)
Silvano Tagliagambe ritiene che il confine debba essere: a) imprescindibile e tale da fungere da linea di demarcazione: senza di esso e senza questa specifica funzione di demarcazione non sarebbe possibile, per un sistema qualunque, distinguersi dall’ambiente in cui vive e acquisire una specifica identità; b) poroso e tale da fungere da interfaccia con l’esterno e con l’altro: se non fosse così non sarebbe possibile lo scambio, in termini di materia, energia e informazione, tra il sistema vivente e il suo ambiente; c) mobile, in quanto l’osservatore può spostare avanti o indietro il confine che lo separa dal sistema osservato e questo spostamento determina un diverso modo di vedere e interpretare la realtà. Il confine è pertanto il luogo del contatto specifico fra interno ed esterno, un meccanismo cuscinetto a due facce: la prima rivolta verso l’organizzazione intrinseca del sistema; l’altra verso l’ambiente per mettere in comunicazione reciproca ambiti che tuttavia restano separati nella loro specifica determinazione. (11)
Esso è sia elemento diseparazione (linea di demarcazione), sia tratto d’unione di sfere diverse. Ed in tale accezione credo debba essere inteso, in quanto la nostra civiltà appartiene ai sistemi democratici e alle culture dell’accoglienza.
Note:
- Voce: “frontièra”, in Vocabolario Treccani, https://www.treccani.it.
- B. Tertrais, D. Papin, “Atlante delle frontiere. Muri, conflitti, migrazioni”, ADD Edizioni, 2018.
- D. Gentili, “Confini, frontiere, muri”, Lettera Internazionale, 98/2008, pp.16-18.
- S. Tagliagambe, “Epistemologia del confine”, Il Saggiatore, Milano, 1997, p. 141.
- Cito alcuni tra i libri che meglio affrontano queste questioni: A. Pastore (a cura di), “Confini e frontiere nell’età moderna. Un confronto fra discipline”, 2013; M. Truzzi, “Sui confini. Europa, un viaggio sulle frontiere”, 2017; V. De Cesaris, Emidio Diodato (a cura di), “Il confine mediterraneo. L’Europa di fronte agli sbarchi dei migranti”, Carocci, 2018; B. Tertrais, D. Papin, “Atlante delle frontiere. Muri, conflitti, migrazioni”, ADD Edizioni, 2018; A. Giordano, “Limiti. Frontiere, confini e la lotta per il territorio”, Luiss University Press, 2018; F.A. Marconi, “Confini. Storie di frontiere, muri e limiti da Roma a Schengen”, Passaggi al Bosco, 2019; M. Suttora, “Confini. Storia e segreti delle nostre frontiere”, Neri Pozza editore, 2021; L. Quaresima (a cura di), “Identità, confine. Geografie, modelli, rappresentazioni”, Mimesis, 2021; P. S. Graglia, “Il confine innaturale. La barriera tra Israele e Palestina. Origini e motivi di un muro”, People, 2021.
- I saggi sono raccolti nel libro: B-H Lévy, “Sulla strada degli uomini senza nome”, La nave di Teseo, 2021.
- V. Nicolosi, “La Fortezza Europa continua a costruire muri attorno a sé”, Micromega, 12 novembre 2021.
- D. Gallo, “Bussate e non vi sarà aperto”, Micromega, 19 novembre 2021.
- M. Congiu, “Minsk e Varsavia: chi spinge e respinge i migranti”, Micromega, 15 Novembre 2021.
- F.A. Marconi, cit.
- S. Tagliagambe, cit. p. 59.
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