“Ai miei incontri le persone vengono per sentire cosa penso dei paesi, e la domanda è sempre la stessa: cosa si può fare per impedirne la morte? La mia risposta è che si devono fare cose mirate e assai diverse tra loro. Non esistono due paesi uguali e dunque le politiche devono essere fatte su misura per ogni luogo. Un paese può essere accidioso, velleitario, smarrito, può essere ricco e può essere povero, fragile e scontroso. Non ci può essere la stessa politica per tutti. Non ci può essere un centro che decide. Non è possibile nemmeno che il centro lasci decidere le comunità locali che spesso sono guidate non dai più illuminati, ma dai più furbi”. (Franco Arminio)
Uno dei primati italiani, di cui non andare certamente fieri, è l’elevato rapporto tra i paesi abbandonati e quelli abitati. Lo spopolamento non è solo l’abbandono di territori marginali ma soprattutto una carenza di risorse e molti limiti ai processi di qualificazione e sostenibilità territoriale. Ecco perché è necessario riattivare i borghi che rischiano di scomparire, che hanno in sé tradizioni e testimonianze sociali e umane: infatti, i piccoli centri non sono solo presidio del territorio ma portatori di cultura, saperi e storia.
Se si osserva il fenomeno dell’abbandono, ci si accorge che la motivazione più forte è quella economica, che ha spinto le persone a cercare lavoro nelle città. E ciò è accaduto a partire dagli anni settanta con l’abbandono delle terre e dell’agricoltura, per inseguire il sogno dell’occupazione nell’industria. (1)
Eppure oggi, nonostante la globalizzazione, credo si possa fare qualcosa, per i piccoli centri, proprio utilizzando la modernità tecnologica, i servizi e le possibilità della terra, per rivalutare ricchezza e saggezza.
Il punto di partenza è conoscere cosa sono i piccoli paesi e le aree interne. Afferma Marco Boschini: “Non è la lotta tra tutto e niente, tra caos e silenzio. Non è l’isolamento o la vita mondana. Non è nemmeno la mancanza dei servizi e il suo contrario. C’è, tutto questo, più o meno presente e forte. Ma c’è dell’altro, io penso. Ciò che ho visto e credo, nei piccoli comuni alla periferia dell’impero, è che lì si nasconda il senso di un’altra storia, che è ancora al principio. Una storia fatta di persone e fatta di tempo”. (2)
Franco Arminio è il poeta e scrittore che si è occupato dei luoghi abbandonati, della paesologia, “sgretolata e arrancante”, di un mondo che scompare e “unisce l’attenzione al dettaglio con la spinta verso il sacro”, mettendo al centro la poesia, la vita e la morte.
Del resto, non è forse poesia ed emozioni attraversare paesi poco abitati, soffermandosi ad osservare la natura, l’ambiente e l’azione di uomini che hanno avuto rispetto del loro territorio ed hanno lì costruito la loro esistenza, senza eccessive pretese, ascoltando i suoni e i silenzi, aprendo il loro animo e facendo scorrere il tempo e le stagioni.
Il poeta Arminio afferma: “le parole oggi non vengono fuori, l’anima non mi serve a niente stamattina, adesso devo uscire verso il sole, mettermi dentro il giorno e vedere in che punto del corpo il giorno mette l’anima, l’anima è la cosa di cui abbiamo bisogno, l’anima del mondo è il nostro lutto, più che la fine della comunità dovremmo piangere sull’anima perduta. L’anima del mondo è finita perché sommersa dalle merci, le merci ci sono sembrate più comode al posto dell’anima, e la vita è diventata una trafila burocratica, una faccenda gestita da una ragione anemica e sfiduciata. Le merci hanno messo fuori gioco ogni leggenda, fuori gioco il sogno e in fondo anche l’amore, alla fine tutto quello che discende dall’anima è come se fosse messo fuori gioco”. (3)
La paesologia è oltre la decrescita, è fuori dalla logica di costruire società e benessere, perché l’uomo è nel mondo e non ci sono mete da raggiungere. Occorre accettare la bellezza della condizione umana, vivendo nel mistero: “Abbiamo un’anima ingorda e non cambia molto se si è ingordi di denaro o di amore o di divertimento. È l’ingordigia che bisogna spezzare, bisogna capire che la modernità e lo sviluppismo non sono tensioni capitalistiche. Sono molte migliaia di anni che abbiamo preso questa piega”. (4)
Franco Arminio ha scritto molti saggi e tante opere di poesia. In lui però narrazione e versi si combinano, perché la “paesologia non è altro che il passare del mio corpo nel paesaggio e il passare del paesaggio nel mio corpo. È una disciplina fondata sulla terra e sulla carne”. Si tratta di mettere insieme poesia e geografia: la poesia di una scrittura limpida e visionaria, lavorata col puntiglio e la cura propri della grande letteratura; la geografia soprattutto quella del Sud. Qui si trovano i motivi più importanti di un autore che gira per i paesi, racconta e con lo sguardo non trascura nulla: le piazze, le strade, i bar, i cimiteri, i paesaggi più sublimi e gli scempi della modernità, lo sfinimento e la desolazione, i lampi e gli slanci. (5)
In un libro successivo a quello che si potrebbe definire il suo capolavoro: “Terracarne”, oltre ad osservare tutto ciò che lo circonda, Arminio vuole che la vita sfili, se ne vada da dove è venuta, senza trattenerla, limitandosi solo a camminare, guardare, non dire e non fare nient’altro. Ma pur attraversando confini, è necessario non superarli, non mirare al centro, non mirare alle passioni di tutti, non sputare parole sul mondo e sugli altri: lasciare che la solitudine faccia la sua vita, svolga la sua storia e così pure la tristezza e la stanchezza. (6)
Il poeta assegna una bandiera bianca ai paesi più sperduti e affranti, i paesi della resa, quelli sulla soglia dell’estinzione. Ce ne sono tanti, che non hanno il museo della civiltà contadina, non hanno il negozio che vende i prodotti tipici, la brochure che illustra le bellezze del posto, non hanno il medico tutti i giorni e la farmacia è aperta solo per qualche ora. Sono i paesi in cui si sente l’assenza di chi se n’è andato e quella di chi non è mai venuto. (7)
La denuncia dell’estinzione dei paesi è molto forte anche in altri lavori. Arminio e Ferretti scrivono che c’è un’Italia assopita che non è quella delle grandi città, né quella dei borghi patinati che vediamo sui dépliant turistici. C’è un’Italia che rischia l’estinzione, che è silenziosa, disabitata: è l’Italia dell’entroterra appenninico, delle zone collinari e pedemontane, dei piccoli borghi abbandonati, ai margini del commercio, dell’industria, della cultura. (8)
“Ho vanamente cercato la guarigione scrivendo. La ferita è ancora qui. Con il tempo mi sono cresciuti dentro consigli che posso dare, piccoli precetti fatti in casa”. Qui il paesologo parla di “autismo corale”, in cui le persone sono rinchiuse dietro i piccoli schermi, impegnati in una comunicazione che ha perso ardore e vitalità. Attraverso racconti visionari e proprie orazioni civili, che pongono domande e chiedono risposte, la cura passa attraverso una lingua che si fa strumento di conoscenza, alla ricerca di una comunicazione, di un senso condiviso, di quella intima vicinanza della quale abbiamo tutti più che mai bisogno. (9)
L’attenzione ai luoghi, alla loro forma, alla bellezza che sta fuori dai canoni classici del bello, è una conquista recente. E ciò è anche merito della paesologia e di Franco Arminio che ha indicato come la politica non sia riuscita a porre un argine contro lo spopolamento. L’invito è di visitare i paesi piccolissimi, per verificarne la loro esistenza, e cercare una persona anziana da ascoltare, perché “i paesi per prima cosa bisogna guardarli, andare a trovarli con un moto di passione. Attraversarli e guardarli”. (10)
In un recente intervento sulla stampa, ha affermato che il paese, che vive la miseria della desolazione, sembra non appartenere più al mondo contadino ma al mondo dell’arte, un’installazione di arte contemporanea. Anche chi ci vive sembra far parte di una storia che non c’è più. La soluzione è l’agricoltura, perché tanti sono i terreni abbandonati, ma fatta di pratiche “lontane dalla logica violenta dei concimi e della monocultura”. E servono politiche di sostegno a questa pratica. Per far funzionare le cose, occorre agire attraverso: servizi, sviluppo locale, desiderio. Su quest’ultimo aspetto, sembra proprio che lo spopolamento abbia prodotto sfiducia e “impoverimento sensuale”, smarrimento. La conclusione è: “per rivitalizzare l’economia dei luoghi servono persone che sanno dove stanno e che hanno voglia di stare dove stanno. Alla fine è una questione d’amore”. (11)
Che cosa bisogna fare, allora?
Nell’Italia disabitata, lo sguardo di Franco Arminio ci dice:
“L’importante è coinvolgere tante persone nella strategia contro lo spopolamento: penso ad artisti e intellettuali cha vadano nei piccoli luoghi e motivino le persone a restarci. Non credo sia solo una questione di opportunità economiche. Bisogna che ci siano giovani agenti di sviluppo locale che vadano fuori a fare esperienze e poi siano chiamati a risiedere per lunghi periodi nei paesi. E gli intellettuali non possono stare alla finestra, devono assumere la questione delle aree disagiate dell’Italia come una questione cruciale. Poesia e impegno civile a servizio dei piccoli paesi. I paesi li salvano persone che vanno e vengono, che portano intimità e distanza”. (12)
Note:
- Rif. in: “Borghi abbandonati: censimento di un’Italia che scompare”, in http:/planettb.it.
- M. Boschini, blog di Franco Arminio e dei paesologi, “La Casa della Paesologia”, https://casadellapaesologia.org.
- Tratto dal Manifesto: “Che cos’è adesso la paesologia”, La Casa della Paesologia – Il blog di Franco Arminio e dei paesologi, https://casadellapaesologia.org.
- Tratto dal Manifesto: “Che cos’è adesso la paesologia”, cit.
- F. Arminio, “Terracarne”, Mondadori, 2011.
- F. Arminio, “Geografia commossa dell’Italia interna”, Bruno Mondadori, 2013.
- F. Arminio, “Vento forte tra Lacedonia e Candela. Esercizi di paesologia”, Laterza, 2018.
- F. Arminio, G.L. Ferretti: “L’Italia profonda. Dialogo dagli Appennini”, GOG, 2019.
- F. Arminio, “La cura dello sguardo”, Bompiani, 2020.
- F. Arminio, “Entroterra” vol. 1, AnimaMundi edizioni, 2021.
- Franco Arminio, “Nelle terre desolate”, L’Espresso, n. 49, anno LXVII, 28 novembre 2021.
- V. Pigmei, “L’Italia disabitata nello sguardo del poeta Franco Arminio”, 2 gennaio 2020, https://www.internazionale.it.
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