È una satira sull’Apocalisse, una storia verosimile della società mondiale ormai in balia del profitto e dell’economia, con persone ossessionate solo dai media, che nel finale potrebbero ma non possono diventare àncora di salvezza. È il film di Adam McKay: “Don’t Look Up”, su Netflix dalla vigilia di Natale, un’allegoria del cambiamento climatico che lancia un messaggio forte ed attuale soprattutto in questo periodo di pandemia.
La storia è quella di una dottoranda in astronomia, Kate Dibiasky (Jennifer Lawrence), e di un professore, Randall Mindy (Leonardo DiCaprio), che fanno una straordinaria scoperta: una cometa è in rotta di collisione con la Terra e occorre fare qualcosa per sventare la catastrofe. I due astronomi, che devono avvertire subito il genere umano, si trovano loro malgrado a scontrarsi con le potenti industrie che cercano di guadagnare dagli stesi disastri. Neanche la politica, condizionata dall’economia, è in grado di porvi rimedio: il presidente degli Stati Uniti, Orlean (Meryl Streep), è indifferente, così come i mezzi di comunicazione, un programma televisivo della stazione di The Daily Rip, condotto da Brie (Cate Blanchett) e Jack (Tyler Perry), che cercano solo i messaggi efficaci per conquistare il pubblico. A sei mesi dall’impatto della cometa, catturare l’attenzione prima che sia troppo tardi risulta essere un’impresa incredibilmente comica, così come risulta arduo spingere il mondo intero a guardare in alto.
Il film punta sull’effetto tragicomico e sull’esasperazione delle paure e delle emozioni umane, per interrogarsi su cosa si potrebbe fare di fronte a una minaccia naturale che, anziché riunire l’umanità, tende ad essere ignorata.
La potenza del messaggio è: cosa succederebbe se la notizia dell’imminente fine del mondo irrompesse prepotentemente nello scenario odierno, in cui i social media e i mezzi di informazione, che si soffermano solo sulle preferenze e sulle condivisioni, monopolizzano il pensiero collettivo?
Il regista Adam McKay produce una critica alla società, basata su modelli prevalentemente economici e consumistici, ed è indifferente anche rispetto ad una catastrofe. Qui è evidente il parallelismo con i disastri ignorati, spostando sempre più in là la possibilità di porvi rimedio. È la nostra una generazione di uomini e di donne, perfettamente consapevoli del destino verso il quale ci stiamo dirigendo, incuranti della Terra che sta distruggendo le sue risorse. Prevale la classe dirigente capitalista, che cerca solo ogni potenziale fonte di guadagno, e l’informazione, che si esprime con il volto di figure di spicco in cerca del sensazionalismo, piuttosto che attraverso la voce di chi la scienza la pratica quotidianamente.
Stella Levantesi, ha scritto qualche mese fa un volume: “I bugiardi del clima. Potere, politica, psicologia di chi nega la crisi del secolo”, Editori Laterza, 2021, in cui parla della grande macchina del negazionismo climatico, concentrandosi sulla relazione tra potere, politica e psicologia. Se da un lato la scienza del clima è certa dell’esistenza del cambiamento climatico e della responsabilità umana nell’alterazione del pianeta, dall’altro ciò non è sufficiente per affrontare la bolla negazionista che è profondamente connessa a dinamiche di potere politico ed economico. Dietro il negazionismo c’è la paura di perdere privilegi e benefici in favore di quella condivisione di risorse e redistribuzione della ricchezza che, invece, sarebbero centrali nella riorganizzazione della società e nella costruzione di una reale giustizia sociale globale. Basterebbe iniziare a pensare che la biosfera è un sistema totale di interazioni tra le forme di vita e i loro habitat, e diventare consapevoli che nel mondo si deve ragionare in termini di complessità.
L’interesse di Don’t look up riguarda soprattutto il messaggio che ha inteso lanciare, al di là delle dinamiche filmiche, che induce molti critici a parlare di battute e di costruzione non del tutto efficace. Sono tutti contenuti espliciti che arrivano chiaramente allo spettatore, per contribuire a farci aprire gli occhi su problematiche molto vicine alla vita di tutti i giorni.
“Non guardare in alto”, sarebbe la tendenza a non guardare mai a ciò che può essere la verità, ma affidarsi ai sotterfugi e agli inganni di coloro che evidenziano una realtà che non è quella esistente. In fondo è tutto un gioco politico, una messa in scena, una possibilità di affermare modelli acritici e unici.
Come sostengono Levantesi e McKay non guardare è impossibile, a meno che si voglia accettare senza battere ciglio la fine dell’umanità schiacciata sotto il peso di una minoranza arrogante e spregiudicata alla ricerca del potere. Occorre una presa di coscienza concreta per interrogarci sul futuro, altrimenti: “Moriremo tutti!”, come strillano Jennifer Lawrence e Leonardo DiCaprio per allertare la popolazione mondiale, secondo una visione non del tutto apocalittica, forse improbabile ma non impossibile.
La pandemia ha mostrato che nulla è slegato, che affrontare la questione ambientale è anche affrontare e prevenire l’emergere di situazioni simili in un futuro non più così lontano. Nulla come la crisi ambientale dimostra chiaramente la necessità di affrontare organicamente il cambiamento climatico come una questione scientifica, politica, economica, sociale, cognitiva e comunicativa. E l’insegnamento del film è proprio la critica feroce ad una tendenza su cui occorre riflettere molto bene.
Molto interessante questo parallelo, questa convergenza fra un film ed un libro, l uno targato USA e l altro italiano. Al centro, il baratro verso il quale stiamo precipitando, presi da infinite ansie indotte allo scopo di distrarre l attenzione da quanto sta sotto l apparenza delle cose. Ecco il negazionismo tossico cui ci siamo assuefatti che ci presenta il conto. Sicuramente due opere interessanti che questo bell articolo ci presenta nel modo più invitante. Graziano Beghelli