Ne avvertiamo la pericolosità, osserviamo il sangue, le bombe, il dramma delle persone, le vite spezzate, i territori occupati. È la guerra che viviamo in questi giorni. Essa ha enormi riflessi sulla cultura, sulla religione, sul costume, sull’arte, sull’economia; ma anche sui miti, sull’immaginario collettivo che spesso la esalta o la condanna. La guerra è stata descritta nei miti antichi, ed identificata in Grecia con il dio Ares.
“Ares, Ares funesto ai mortali, sanguinario, eversore di mura
non potremmo lasciare i Troiani e gli Achei
azzuffarsi, a chiunque offra gloria il padre Zeus?
e noi due ritirarci e schivare il corruccio di Zeus?”.
Con queste parole Atena si rivolge ad Ares nell’Iliade, la guerra evocata e cantata dal poeta. È la volontà del dialogo, contrapposta alla violenza e alla morte.
Il dio Marte è, secondo la religione romana del I secolo a.C., il dio della guerra e dei duelli; ma è anche il dio del tuono, della pioggia e della fertilità. Padre di Romolo, il primo re di Roma, era il dio guerriero per eccellenza, in parte associato a fenomeni atmosferici come la tempesta e il fulmine. Dunque, nonostante le comuni credenze, era altro rispetto al terribile greco Ares, il dio degli aspetti più violenti della guerra e della lotta intesa come sete di sangue.
Accostando le cose all’oggi, dobbiamo piuttosto evocare il dio Ares, il cui culto non era molto diffuso nell’antica Grecia, tranne che nelle leggende riguardanti la fondazione di Tebe, e soprattutto a Sparta, dove veniva invocato perché concedesse il suo favore prima delle battaglie. In quel luogo era presente una statua di Ares incatenato, a simboleggiare che lo spirito della guerra e della vittoria non avrebbe mai abbandonato la città.
Ares si divertiva e si esaltava per gli scoppi di furia e violenza, ancora più graditi se improvvisi e subdoli: godeva della guerra e delle atrocità. Aveva una quadriga trainata da quattro cavalli immortali dal respiro infuocato: Ardente, Divampante, Strepito, Orrore, legati al carro con finimenti d’oro. Tra tutti gli dei si distingueva per la sua armatura bronzea e luccicante e in battaglia abitualmente brandiva una lancia. Tra gli animali a lui sacri c’erano il cane e il cinghiale; i suoi uccelli sacri erano il barbagianni, il picchio, il gufo reale e l’avvoltoio. Spesso Ares viene rappresentato su una pietra di colore rosso come il sangue, simbolo degli atti feroci che si compiono in guerra. I suoi nomi sono: Brotoloigos (distruttore di uomini); Andreiphontês (assassino di uomini); Miaiphonos (macchiato di sangue); Teikhesiplêtês (che assalta le mura); Maleros (brutale).
Nell’Iliade Ares non stringe alleanze fisse con alcuno dei contendenti, e neppure mostra rispetto per Temi, la personificazione dell’ordine e della giustizia. Fece la promessa ad Atena ed Hera di schierarsi dalla parte degli Achei, ma Afrodite fu abile a convincerlo a passare invece al fianco dei Troiani. Nel corso della guerra, sua madre Hera chiese a Zeus il permesso di allontanarlo dal campo di battaglia; infatti, con il suo urlo spaventava tanto i Troiani quanto gli Achei. Atena lo affrontò e lo vinse con l’astuzia e l’intelletto, contro la forza bruta.
Pur essendo protagonista nelle vicende belliche, raramente Ares risultava vincitore, come non esiste mai un vincitore nelle guerre.
Il termine guerra deriva dal franco ẅerra che significa mischia, combattimento disordinato, che ha sostituito il latino bellum già fin dal secolo VI. Il termine latino cadde in disuso poiché si confondeva con il termine bellus (bello). Nel suo significato tradizionale la guerra è un conflitto armato tra due o più comunità politiche in vario modo strutturate e sovrane: dunque presuppongono un interno e un esterno, perché confliggere solo all’interno è guerra civile.
Constatiamo che la guerra fa parte della vita umana. Essa è però altro: istinto di sopravvivenza, preservazione del proprio territorio, difesa del potere. Sono gli esempi che spingono una comunità a prendere le armi contro un’altra considerata nemica, che mette a rischio spazi, diritti, valori o beni dati per acquisiti e irrinunciabili. A queste motivazioni di tipo egoistico o utilitaristico si affiancano (e talvolta si coniugano) motivazioni di carattere psicologico o umorale come l’odio, il disprezzo, la vendetta, la paura. Un altro fattore molto forte è costituito dai motivi religiosi, nei quali un preteso diritto, derivante da credenze o interpretazioni di tradizioni precedenti, diventa per un popolo o gruppo religioso causa per lanciare una guerra di aggressione. Una guerra di questo tipo viene denominata guerra santa e prevede comportamenti non conformi alle leggi di guerra, con torture ed uccisioni sanguinose ed ingiustificate. Ancora un’altra motivazione è la matrice razzista, nella quale un popolo o una nazione aggrediscono un’altra ritenuta inferiore secondo i propri criteri. L’esempio più eclatante rimane la politica espansionistica della Germania nazista in Europa orientale durante la seconda guerra mondiale, ma analoghi esempi sono i conflitti africani, come il genocidio del Ruanda. A tutto ciò ora si associano le pretese di Putin di ripristinare i confini della vecchia Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.
Carl von Clausewitz introdusse la conoscenza scientifica della guerra, mettendo in relazione l’episteme, il sapere, e la techné, la pratica; e ciò a prescindere dai fenomeni sociali, politici, morali che l’accompagnano. Ed il tutto sarebbe riconducibile ad arte, anche se parlare di arte della guerra sembrerebbe azzardato quando siamo sotto i bombardamenti. Friedrich Wilhelm Nietzsche sostenne che i popoli indeboliti acquisteranno nuovo vigore con la guerra; Sebald Rudolf Steinmetz affermò che la guerra è una necessità, al pari di ogni altro fenomeno; Ludwig Gumplowicz ha creduto che essa è la base di ogni istituzione e ordinamento sociale. Secondo Freud, le guerre hanno l’effetto di porre in secondo piano le divisioni della società civile e di rendere una nazione compatta contro un nemico esterno. Queste posizioni rilevano che la guerra, non solo non è un male necessario, ma è addirittura benefica: essa offre piaceri, delizie e gioie come quelle che si provano quando si esce vincitore dal confronto con gli altri. In tal senso, la guerra è assimilabile alle passioni suscitate dall’amore giovanile ma vissute intensamente. Del resto, solo il trionfo della vittoria può dare un senso alla tragicità della vita, al dolore diffuso, al sangue, al sacrificio.
In genere, il conflitto armato inizia quando è addotto un pretesto, il casus belli: si manifesta insieme a un periodo di sospensione dello Stato di diritto e l’affermazione della giustizia militare. Con l’avvento dell’ONU, la dichiarazione di guerra, ma non la guerra, è scomparsa dallo scenario internazionale. La guerra è ripudiata dall’art. 2, par. 3 e 4, della Carta delle Nazioni Unite e, in Italia, dall’art. 11 della Costituzione, come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali o come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli: è ammessa solo come difesa nei confronti di aggressioni esterne.
Il Dio Ares anche stavolta non sarà vincitore, perché crediamo e speriamo che Atena possa con l’ingegno trovare una soluzione alla guerra. Del resto, occorre comunque trovarla per la stessa esistenza dell’umanità.
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