Pier Paolo Pasolini è nato cento anni fa, il 5 marzo 1922. Di lui si è scritto molto, si sono rilevate le sue tante e complesse specificità, avendo attraversato tanti generi: romanzo e novella, teatro e cinema, critica letteraria e saggistica politica, oltre che poesia. È stato un intellettuale militante e fine polemista dai giudizi radicali. In questo scritto, intendo porre in rilievo il contesto della vita che ha vissuto e rappresentato, riprendendo il suo lavoro di osservatore dei cambiamenti della società italiana del novecento, attraverso le atmosfere e i contenuti di tre romanzi scritti negli anni cinquanta.
Un uomo che, tra passioni ed idee, partendo dalla sua diversità, vive le differenze sociali, le marginalità, i contrasti, le devianze di altri uomini che non hanno scampo e non riescono ad uscire dal loro contesto di riferimento. Non è la trama di un film, ma il film della vita di Pier Paolo Pasolini, che agisce in un mondo complesso che va osservato attraverso varie lenti, strumenti e metodi di indagine, che tengano conto di tutte le sfumature. Lui lo ha fatto, utilizzando una serie di artifici espressivi: linguistici, stilistici, letterari e visivi.
La sua grandezza è di aver affermato la passione e l’ideologia utilizzando la retorica, che è nella sua concezione uno strumento di argomentazione e insegnamento in maniera non velata o nascosta. È andato oltre la compiutezza delle ideologie, superando la storia, prevedendo la fine della storia, soprattutto quella personale. Per lui la storia dell’Italia unita, tutta incentrata sulle identità popolari: il cristianesimo e il marxismo, il pensiero laico-liberale e borghese, non è stata una vera alternativa ma la continuazione del potere consolidato. Ha profetizzato l’utopia dell’uguaglianza fatta attraverso la condivisione dell’essenziale: “Nei rifiuti del mondo nasce un nuovo mondo” (La religione del mio tempo).
La società osservata è quella del dopoguerra, quella triste e arretrata, con infinite contraddizioni, che costituisce un mondo uguale e al tempo stesso antitetico: quello delle periferie urbane e rurali. Si, qui non c’è spazio per il centro, per la borghesia, per le classi agiate; è solo la vita degli umili che in quell’Italia si racconta. Altri autori hanno posto in rilievo il mondo contadino, specie meridionale: Levi, Scotellaro, Silone, Jovine, Alvaro; Pasolini, nel contesto che ha vissuto, nella Roma della fine degli anni cinquanta, quello dei romanzi: “Ragazzi di vita” (1955); “Una vita violenta” (1959); “Il sogno di una cosa” (1962), ha messo in scena il proletariato delle periferie.
È un autore che agisce nella complessità e delinea un percorso prettamente sociologico, quello delle marginalità, osservando, vivendo e partecipando alla vita sociale di strada. Sembra, infatti, che i processi di sviluppo attivati in quegli anni si traducano in un’accentuazione delle disparità tra aree relativamente avanzate e aree marginalizzate; queste ultime assumono un ruolo subordinato rispetto ai centri di crescita. Era diffusa la convinzione che lo Stato potesse intervenire attuando politiche di riequilibrio territoriale, eppure non fu così: si verificarono tendenze diversificate da regione a regione, da centro a periferia, tra classi economicamente avanzate ed altre neppure in via di sviluppo.
Le origini del pensiero di Pasolini hanno radici nel Neorealismo, da cui l’attenzione verso le classi popolari. Non cercò negli umili la rappresentazione di valori positivi, come facevano i neorealisti, ma li dipinse con tutte le loro contraddizioni, avendoli conosciuti. Fu un innovatore, si oppose a ogni ipocrisia e convenzione, rappresentò quello che riteneva giusto rappresentare senza filtri moralisti e senza sacrificare nulla al falso perbenismo.
Pasolini qualunque cosa abbia realizzato ha attirato su di sé un’infinità di scandali: da quando era uno sconosciuto poeta e filologo, con un elevato numero di denunce, alcune delle quali completamente fantasiose. La sua vicenda biografica coincide appieno con la tumultuosa attività di scrittore, regista e intellettuale impegnato a testimoniare e a difendere, spesso anche in sede giudiziaria, la propria omosessualità. Furono soprattutto gli scritti polemici a suscitare reazioni o critiche violente anche perché riflettevano le personali tragedie di Pasolini e la sua evidente condizione di diverso. Ed era quasi inevitabile che, all’alba del 2 novembre 1975, fosse trovato ucciso in modo violento in uno spiazzo sabbioso di Ostia tra baracche e rifiuti.
Tre sono i romanzi su cui mi soffermo per parlare del Pasolini che osserva la società e la rende cruda così come si presenta, senza filtri né spazio al riscatto, perché il riscatto in quei luoghi difficilmente può realizzarsi. Per analizzare quella società, mette in scena ragazzi divisi tra la leggerezza dell’infanzia e il senso del pericolo e della morte, tipico degli adulti; sono personaggi che hanno perso la loro innocenza, ma mantengono qualcosa di quel mondo dell’infanzia che gli è stato negato. Sono capaci di gesti di grande violenza e di grande tenerezza, completamente assorbiti dall’ambiente degradato in cui vivono e senza appigli per poterne uscire.
Il 13 aprile 1955 spedì alla Garzanti il manoscritto: “Ragazzi di vita”, in cui trattava il tema dell’omosessualità e della prostituzione maschile di adolescenti che vivono di espedienti e si arrangiano rubando e rivendendo oggetti. In un mondo del sottoproletariato romano, quello delle borgate nell’immediato dopoguerra, quando non c’è altro che miseria, le famiglie non sono punti di riferimento: i valori sono precari, tra padri ubriaconi e violenti, madri sottomesse e fratelli quasi sempre in galera. Non c’è la scuola che può far progredire, perché destinata ad accogliere solo sfrattati e sfollati. La dura realtà è di donne prostitute e incinte, di persone che si scontrano con la necessità di sopravvivere, di disadattati e ladruncoli che non riescono ad affrancarsi dal contesto in cui hanno sempre vissuto. Condizioni familiari sempre più drammatiche: uomini che picchiano le donne, credenze e speranze in qualcosa di diverso, tutto ciò non fa che riproiettare tutti nella situazione di partenza. Per superare la vita in un contesto di violenza, bullismo, morte, non c’è altro rimedio che integrarsi con il mondo individualista del consumismo borghese. Il romanzo è interessante per aver attuato un esperimento linguistico ricreando il linguaggio di un sottoproletariato che conferisce una grande veridicità al racconto, che tuttavia per le tematiche affrontate dovette subire un processo per oscenità.
Con l’intento di continuare il progetto, iniziato nel 1955, nel 1959 pubblica il romanzo: “Una vita violenta”, accolto freddamente tanto dalla critica marxista quanto dai giovani critici della neoavanguardia. Ripercorre le stesse atmosfere, fame e delinquenza, comportamenti brutali e violenti. È più drammatico del precedente: il protagonista è un giovanetto escluso in partenza, nonostante ogni suo tentativo di riscatto, ma i protagonisti sono anche i “ragazzi di vita” che compiono criminosi espedienti tra l’ammazzare il tempo e il puro sopravvivere. Ha come il primo al centro l’esposizione della miseria fisica e morale, con un linguaggio gergale divenuto ancora più perfetto. La vita del protagonista, nonostante gli stenti sopportati, è alla ricerca delle gioie e delle speranze, eppure, non ci sono occasioni di riscatto, neanche quelle della politica: si avvicina ai fascisti, poi ai democristiani, infine ai comunisti partecipando a scioperi e manifestazioni. L’affrancamento e una vita diversa però si scontra con le sue condizioni di salute che non gli lasciano scampo.
“Il sogno di una cosa”, pubblicato nel 1962, è la prima esperienza narrativa di Pasolini, in quanto scritto tra il 1949 e il 1950. Sono molti i temi che caratterizzeranno la sua attività: tanti protagonisti che cercano di fare piccoli tentativi di emancipazione dalla miseria e dai condizionamenti sociali. C’è un continuo scambio relazionale tra le consuetudini religiose e sociali della vita e le possibilità e le aspirazioni al cambiamento, che possono realizzarsi con l’identificazione nel comunismo. Da un lato i giovani protagonisti sognano e inseguono una vita festosa, che fronteggi con l’allegria e la musica la povertà; dall’altro coltivano una forte etica del fare più che del lavorare: amano la propria comunità in cui si identificano con naturalezza, non eccedono nella ricerca del piacere pur esprimendo una fortissima sensualità, ben tratteggiata sia nei giovani uomini che nelle timide figure femminili. Inseguono la cosa, una rivoluzione sociale da fare nella semplice bellezza di ogni giorno e di ogni piccolo gesto.
I personaggi pasoliniani dicono esattamente ciò che pensano e tutto è trasparente, non c’è mediazione, forse perché non possiedono quella malizia tipica delle menti abituate a pensare troppo. La vita, dalle loro parti, è veramente ridotta all’essenziale: basta una bottiglia di vino, un’armonica e un po’ di gente per dare una svolta a una serata, a un pomeriggio; basta vedere l’ingiusta ricchezza dei proprietari terrieri per far loro decidere che è giunto il momento di agire, non tanto per un ideale del quale sono culturalmente coscienti, ma per una coscienza di classe che va al di là dei discorsi politici.
Questo il Pasolini preso in considerazione. Eppure, nell’ambito della complessità del suo pensiero, c’è anche un intellettuale che trova tante altre forme espressive: soprattutto il cinema e la poesia. In quelle manifestazioni artistiche ha lo stesso guardato al mondo di umili e ultimi. Nelle poesie è stato anche in equilibrio tra mondi diversi: colto e popolare; nazionale e universale; città e campagna; dialetto e italiano. L’ingresso nel mondo del cinema gli permette poi di diventare un personaggio popolare.
Per tutta la vita Pasolini scrisse articoli di giornale e saggi, in cui espose il suo punto di vista sulla politica e sull’attualità. La sua raccolta più famosa fu: Scritti Corsari, pubblicati nel 1975. Elaborò una scrittura provocatoria per trasmettere le passioni di un uomo solitario che si oppose al suo tempo. I suoi attacchi furono indirizzati alla classe politica corrotta e incapace, il capitalismo e il consumismo, l’omologazione della vita sociale causata dalla tv e dai miti del progresso.
Il suo pensiero risulta essere ancora attuale; ecco perché si continua a studiare la sua arte e la sua passione che travalica i confini di una società considerata superata ma che osservandola ancora risulta contraddittoria e in crisi.
Tra le opere di Pasolini:
Romanzi:
Ragazzi di vita, 1955; Una vita violenta, 1959; Il sogno di una cosa, 1962; Petrolio, (pubblicazione postuma), 1992.
Poesia:
Poesie a Casarsa, 1942; La meglio gioventù, 1954; Le ceneri di Gramsci, 1957; L’usignolo della chiesa cattolica, 1958; La religione del mio tempo, 1961; Poesia in forma di rosa, 1964; Trasumanar e organizzar, 1971; La nuova gioventù, 1975.
Saggistica:
Poesia dialettale del novecento, 1952; Canzoniere italiano. Antologia della poesia popolare italiana, 1955; Passione e ideologia, 1960; Empirismo eretico, 1972 (1965-71); Le belle bandiere. Dialoghi (1960-1965), (pubblicazione postuma, 1977); Descrizioni di descrizioni, 1972-1975, (pubblicazione postuma, 1979); L’odore dell’India, 1961; Il portico della morte (pubblicazione postuma, 1988); Scritti corsari, 1975; Lettere luterane (pubblicazione postuma, 1977); Lettere, raccolte a cura di Nico Naldini, pubblicate nel 1986 e nel 1988.
Cinema:
Accattone, 1961; Mamma Roma, 1962; La ricotta, 1963; La rabbia, 1963; Comizi d’amore, 1963-64; Il Vangelo secondo Matteo, 1963-64; Uccellacci e uccellini, 1965; Edipo re, 1967; Teorema, 1968; Porcile, 1968-69; Medea, 1969-70; Il Decameron, 1970-71; Le mura di Sana’a, 1970-71; I racconti di Canterbury, 1971-72; Il fiore delle Mille e una notte, 1973-74; Salò o le centoventi giornate di Sodoma, 1975.
Teatro:
Orgia, 1968; Affabulazione, 1969; Calderòn, 1973; Pilade, (pubblicazione postuma), 1977; Bestia da stile 1965-1974, (pubblicazione postuma), 1977.
Tutte le opere di Pasolini sono state raccolte nell’edizione diretta da Walter Siti (10 tomi, 1998-2003).
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