Putin ha attaccato l’Ucraina per estendere il suo potere verso ovest. Vuole la neutralità degli ucraini, cioè di uno Stato che per lui è parte integrante del territorio russo e non deve essere in alcun modo sottoposto all’influenza del mondo europeo ed atlantico. Vuole anche il riconoscimento della Crimea e delle repubbliche del Donbass. Di fatto, gran parte del territorio ucraino deve passare sotto il suo controllo, realizzando un progetto iniziato nel 2014.
Gli orrori cui assistiamo in questi giorni, travolgendo confini e territori secondo una logica che rimanda alla forza e alla violenza, che non lascia aperto alcun dialogo costruttivo, riconduce all’idea stessa di conflitto. Il conflitto (conflictus, scontro, derivato di confligere, confliggere) è attualmente inteso come antagonismo tra soggetti in competizione per il possesso o il godimento di beni; ma è anche riconducibile ad una autorità che invade le sfere di competenza di altri; infine, si tratta di interessi incompatibili, nel senso che quelli di uno Stato possono essere soddisfatti sacrificando quelli di un altro.
Per parlare di questa questione, viene subito in mente la volontà di riscrivere la storia, almeno quella che sembrava affermata e non più messa in discussione nelle attuali società, affidata all’idea della ricerca del progresso e del futuro; sembra al contrario di aver fatto passi indietro e di essere ripiombati in una condizione premoderna e, a tratti, addirittura pre-civilizzata, se si osserva la crudeltà di combattimenti messi in campo tra uomini che invadono ed altri che cercano di resistere. In quanto fenomeno sociale, ha enormi riflessi sulla cultura, sulla religione, sull’arte, sull’economia, sui miti, sull’immaginario collettivo.
- La guerra è un fenomeno che ha il suo tratto distintivo nella violenza armata: nel suo significato tradizionale, è un conflitto motivato da veri o presunti interessi ideologici ed economici. La guerra è vittime, tra militari e civili, più questi ultimi che rappresentano un sacrificio del confliggere. Donne e bambini che cercano di sfuggire a bombe e fuoco, immagini drammatiche e devastanti che riportano alla ferocia della guerra. E poi distruzioni e abbandoni, solitudine e senso di morte e fine, assenza di movimento e vita. La guerra è vissuta come scontro di corpi e non solo di tecnologia. I corpi sono quelli che combattono e si vedono straziati e violentati. I corpi sono quelli di una marea di persone in fuga. Le modalità, attraverso le quali il corpo è rappresentato, concettualizzato e manipolato, rappresenta la prima e ineludibile superficie sulla quale inscrivere i segni della cultura. È il combattimento corpo a corpo che impressiona, uno scontro ravvicinato tra due o più persone, un combattimento vis a vis. Non si tratta solo di combattimento tra corpi speciali addestrati, ma di combattimento che investe tutti gli uomini.
- La guerra attuale ha messo in rilievo alcuni limiti del nostro mondo considerato moderno e tecnologico, che avrebbe dovuto disfarsi di ideologie novecentesche e pratiche antiche. In tal senso, si afferma l’idea della difesa e dell’affermazione di una comunità ancora intesa come senso di appartenenza di individui e dunque da tutelare ad ogni costo. La forza di essa si afferma ora prepotente, fa unire ed affidare alla coesione, alla pretesa di segnare confini e territori, di volere i propri simili per caratteristiche etniche, culturali, identitarie. La guerra ha fatto intravedere i limiti della globalizzazione, come rinuncia ai confini per far circolare commerci di beni e servizi. Se la globalizzazione è un mondo governato da volatilità, incertezza, complessità e ambiguità, questo costringe i politici ad affrontare qualsiasi problema tenendo presente che lo status quo è molto liquido. E dunque, che i cambiamenti e le sfide associate al mondo contemporaneo sono reali. I limiti come freno alla globalizzazione sono: ambientali, geografici, risorse naturali, interdipendenza tra mercati ed agenti economici (uomini), deindustrializzazione dei Paesi sviluppati a favore dei Paesi in via di sviluppo, multiculturalismo (nuove culture e la facilità di spostamento hanno cambiato i paradigmi di ogni regione culturale). L’idea della volontà globalizzante è differente perché c’è stato l’intervento di un uomo che spinge altri uomini a limitare, chiudere, far crollare economie reali e virtuali.
- La guerra è arretramento economico, disagi e ripercussioni in tutto il mondo, perché nei Paesi globali c’è scambio e affari economici e finanziari. Prodotti che scarseggiano, nel caso specifico energetici ma anche riguardanti i grani che vedono considerevoli incrementi dei prezzi. E poi borse che crollano per le continue dinamiche di mercati non stabili che intaccano capitali e ricchezza. La guerra pone una particolare attenzione ai sistemi legati all’informazione, la cyberguerra che caratterizza i conflitti attuali ed è centrata sulla propaganda. Nel libro: “Comunicazione e Potere”, Manuel Castells afferma che la comunicazione è un sistema di dominio più potente e più duraturo della sottomissione dei corpi, più che l’intimidazione e la violenza. Ora la violenza della guerra pone la possibilità di informare sullo scenario strategico, sui progressi del proprio esercito, sulla gestione vittoriosa della tattica militare. E la cosa interessante è la possibilità di essere informato e anche di informare, ma soprattutto di poter manipolare le notizie attraverso i social network. E la manipolazione è da una parte e dall’altra, tanto che qualcuno per non far conoscere il vero ha chiuso le trasmissioni e le piattaforme digitali e informatiche.
- La guerra pone alcuni problemi etici. Il primo riguarda la responsabilità dell’istituzione e dei suoi rappresentanti nel costringere come dovere dei soggetti di una comunità a prendere le armi e farne uso contro qualcuno. Il secondo riguarda la legittimità dei comportamenti di chi usa le armi sotto coercizione, in base a ordini ineludibili. Il terzo riguarda la legittimità dell’azione di belligeranza come autodifesa di una comunità. Antropologicamente, si sviluppa un istinto di sopravvivenza, la preservazione del proprio territorio vitale, la difesa dei propri mezzi di sussistenza. Una comunità prende le armi contro un nemico che mette a rischio spazi, diritti, valori o beni dati per irrinunciabili. A queste motivazioni ce ne sono altre di carattere psicologico o umorale come l’odio, il disprezzo, la vendetta, la paura.
- La guerra segna un passaggio dalla democrazia consolidata ad un potere oligarchico asfissiante che nessuno considerava. La ricchezza è in mano a pochi con buona pace della ridistribuzione e del miglioramento complessivo delle condizioni di vita, concentrandolo il tutto nelle mani di un gruppo legato da vincoli di interesse e appartenenza. Per Gustavo Zagrebelsky, il lavoro della democrazia dovrebbe essere quello di distruggere le oligarchie, ma nella realtà esse sono solo state sostituite da altre. Le oligarchie esercitano un ruolo assai importante nell’influenzarne la condotta e, più in generale, espletano un effetto asfittico nei confronti della libera competizione tra le forze imprenditoriali. Questo è il modello introdotto soprattutto da Putin.
- La guerra ha fatto riaffermare i concetti di spazio e territorio, inteso come luogo definito e limitato in cui si pensano contenute tutte le cose materiali. Lo spazio è anche concepito come modalità secondo la quale l’individuo, nel suo comportamento sociale, rappresenta e organizza la realtà in cui vive. Si è creduto a lungo che si potesse realizzare la perdita della percezione dello spazio e del tempo, dovuta alla sparizione dei confini e alla riduzione della durata degli spostamenti. Il rischio era legato soprattutto alla capacità dell’uomo di modificare il proprio habitat di vita. Eppure ora, tutto è stato ricondotto entro logiche precedenti: quello spazio diventa predominante, è rivisto e ripensato per sostenere la geopolitica, ovvero la volontà della politica di continuare ad affermare la sua forza e il suo potere attraverso la centralità territoriale di uno Stato, inteso come organismo che ha bisogno del suo spazio vitale.
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