Il mese è Venere, Aphrilis / Aphrodite, quando i fiori si aprono e la primavera emerge con la sua bellezza: l’associazione è alla dea che esce dalla schiuma del mare e dà l’amore alla terra, che si veste del suo abito più bello per celebrare la bellezza della vita.
Per alcuni il nome deriverebbe da aperire, aprire, per indicare il mese in cui si schiudono i fiori. È lo spogliarci davvero dal grigiore del passato, scoprire la natura, rinascere.
A Roma, la donna che tiene il fascio di spighe e riconduce al raccolto, al futuro, è Demetra, la dea delle messi, il sostentamento dell’uomo. È il mese della primavera per eccellenza, del cambiamento del tempo, della semina favorita dai raggi del sole.
Dunque è il mese della rinascita, della trasformazione, della festa più importante del calendario cristiano: la Pasqua, la resurrezione. Ciò che precede questo evento è il simbolo della palma, chiamata “phoenix”, fenice, il mitico uccello che rinasce dalle sue ceneri. La pianta è connessione tra Cielo e Terra, l’albero della vita.
La festività indica: passione, morte e resurrezione. Tutto quello che occorre per riscattare la natura dell’uomo corrotta, passando dai vizi alle virtù. La resurrezione permette di far vincere sulla morte, di mostrare il risveglio di una vita vera.
Sono intensi i simboli e forti i rituali che si concretizzano nel Triduo pasquale, dal giovedì al sabato, il periodo centrale della liturgia cristiana. Il giovedì c’è la consacrazione degli oli santi e la messa in cena Domini. Il venerdì è il ricordo della morte in croce (Passio Domini); il sabato, inizia la veglia pasquale per il risveglio, la domenica di resurrezione.
Sulla Pasqua, nel territorio cilentano, soprattutto nella zona del Monte Stella, si ricordano i riti del Venerdì Santo, la rappresentazione dei Canti delle Confraternite che rendono omaggio ai “Sepolcri”. I cumpràti dai paesi di appartenenza fanno il giro dei borghi più importanti sfidandosi in competizioni canore ed odi religiose inneggianti la vita e la passione di Cristo, della Madonna e dei Santi.
Di questa forma rituale mi sono già occupato. Riprendo la posizione dell’antropologo Vincenzo Esposito che ha realizzato un interessante studio collegando alcuni aspetti. Per lui, i “riti confraternali” cilentani devono essere comparativamente accostati ad altri due momenti rituali: il Pellegrinaggio al Santuario della Madonna della Stella e le diverse ritualità del “Volo dell’Angelo”. Si tratterebbe di tre modi di rappresentazione performativa dell’identità culturale cilentana che oscilla tra una possibile apertura verso una “alterità” limitrofa (“riti confraternali”) ed una forma ristretta, quasi autarchica e difensiva, di identità locale (“Volo dell’Angelo”). Senza trascurare il momento della totale con-fusione rituale in una forma identitaria molto ampia e molto più genericamente cilentana, senza distinzioni di campanile (“Pellegrinaggio alla Madonna della Stella”). I cortei processionali dei confratelli cilentani possono rappresentare ritualmente il tentativo di “pacificazione tra gruppi e comunità potenzialmente rivali e antagonisti”. (Cfr. V. Esposito, “Dal Cilento verso Capri. Feste mediterranee della provincia di Salerno”, Ischia Ponte (NA), Imagaenaria, 2005).
Associato alla Pasqua l’agnello, protagonista dell’importante mito greco del Vello d’Oro.
Frisso è accusato di aver tentato di violentare la matrigna Ino, che il re Atamante aveva sposato in seconde nozze, dopo aver ripudiato Nefele, la dea delle nubi. È condannato a morte insieme alla sorella Elle, entrambi figli di Nefele, sospettati di aver provocato con i loro comportamenti una pericolosa carestia. Zeus si impietosisce ed invia per salvarli un Ariete con il manto d’oro, Crisomallo. Elle non ce la fa e cade nella zona chiamata poi Ellespondo; il fratello si salva e nella Colchide sposa Calciope, figlia del re Eete, donando in sacrificio l’animale. L’Ariete è offerto a Zeus, per cui la costellazione dell’ariete sarebbe sorta proprio dal sacrificio di Crisomallo. Il Vello dell’animale sarebbe stato nascosto e sottoposto a stretta sorveglianza di un drago. In seguito, intorno a quel Vello si sviluppò il mito di Giasone e degli Argonauti che riusciranno ad impossessarsi del prezioso oggetto.
Il mito anche in trasposizione cristiana è un’allegoria: l’Ariete è il figlio di Dio che cerca di salvare dal peccato gli uomini; Frisso è l’uomo che si aggrappa con tutte le sue forze per superare le difficoltà della vita; Elle è colei che non riesce a vincere gli impulsi delle passioni e cade. Il Vello è anche l’allusione all’eucarestia, fonte di salvezza che Dio offre agli uomini. Afferma Cattabiani che quel Vello è “simbolo di una trasmutazione, di un rinnovamento aureo, come quello che sulla terra avviene sotto l’Ariete”. (A. Cattabiani, “Calendario. Le feste, i miti, le leggende e i riti dell’anno”, Rusconi Libri, 1988, p. 171) Quell’agnello segna il passaggio verso la Terra Promessa, dove il sacrificio dell’ariete è il sacrificio del figlio, ovvero la donazione al divino. Piangere il sacrificio è la povera umanità dolente. Per questo, nella Settimana Santa, si soffre con il Cristo e si paga con sangue e lacrime quella passione che si esprime nella “veglia, nel pianto, nella flagellazione”. (A. Cattabiani, cit., p. 197)
Paolo Toschi crede che il popolo cerchi “l’immagine illusiva della realtà, per rimanere ancora oggi più profondamente commosso”. (P. Toschi, “Invito al folklore italiano”, Editrice Studium, 1963, p. 290) Da qui la drammatizzazione della morte e della commemorazione.
Ha chiamato quelli del Venerdì Santo “sermoni semidrammatici”:
“A un certo punto il predicatore interrompeva il sermone e sopra un apposito tavolato comparivano i personaggi sacri di cui egli stava parlando: essi recitavano alcune scene che avevano lo scopo di rendere ancora più viva negli ascoltatori, con la visione diretta, la commozione suscitata dalle parole del predicatore, il quale poi, terminata la rappresentazione, concludeva la predica moraleggiando su quando era stato offerto agli occhi dei fedeli”.(P. Toschi, cit., p. 296)
In tanta parte del Paese, i riti della drammatizzazione ancora resistono, nonostante i tempi, e sono associati ad altri simboli molto più diffusi, riconducibili al periodo: l’uovo (rinascita) e colomba (Spirito Santo e pace).
APRILE
(vestito da fanciulla con un ombrellino … e nell’atto di offrire un rametto fiorito, simbolo di prosperità)
Io so’ Aprile cu lu verde aspetto
fazzo veste la terra e l’alberi ra la nura.
Poi fazzo fa tanta belli fiuri,
pe’ jenghe voschi e valluni.
Re chisti fiuri ne fazzo nu mazzetto
e lu rào a fratèmo Maggiuo ca è nu giovinetto!
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