In questi tempi di guerra, di conflitti atroci, di contrapposizioni nette, di ricorso alle armi, di situazioni che faticano a ricomporsi, sarebbe auspicabile riferirsi a concetti che riconducono alla mediazione, all’incontro, alla volontà di attenuare le opposizioni e le differenze con l’intento di realizzare la pace.
C’è un termine che sottende l’incontro tra mondi diversi, tra mondi interni ed esterni, ovvero quello spazio che stando in mezzo mette in relazione. Platone lo chiamava metaxú, in greco da metá (in mezzo, tra) e sún (con, assieme, unitamente a). Evoca da un lato la separazione e rilancia al tempo stesso l’incontro, l’unione, l’area intermedia, difficile ma da frequentare per tollerare la tensione degli opposti nel tentativo di conciliarli.
Tutto in questo periodo di guerra e distruzioni, che al contrario dovrebbero presupporre il desiderio di mediare, di trovare una soluzione al conflitto, giocando proprio nell’intervallo, nel mezzo. Eric Voegelin intese il termine metaxú come situazione “di mezzo” dell’essere umano: è la coscienza umana che si trova ad affacciarsi da un lato sulla natura e sul mondo materiale, dall’altro su Dio, sul Creatore. L’uomo è in perenne bilico, e l’apertura al mondo e alla realtà è la capacità di trovare la strada che porta all’ordine, sia nella società che nell’animo umano. Simone Weil si riferì con quel concetto a un ponte, una soglia, un intermediario, a ciò che separa e collega allo stesso tempo, come il muro tra due prigionieri, che possono colpire per comunicare tra loro. Così il contatto pratico della mente umana con la realtà può essere paragonato al bastone del cieco che gli permette di sentire la distanza, senza dargli uno sguardo diretto.
Tornando alle origini, la condizione riportata da Platone nel Simposio introduce Diotima, insegnante di Socrate e figura dotata di sapienza, per esporre la concezione dell’amore. Eros è inteso come un Daimon, che sta nel mezzo tra gli dei divini e l’umanità, sintetizzando opposte tendenze che lo rendono contraddittorio e instabile. Eros allora è mancanza, al contrario dell’opinione corrente che lo crede un sentimento di pienezza. Il filosofo parte dalla visione di Aristofane, secondo cui il bisogno di amore corrisponde alla ricerca da parte dell’uomo di ricomporre l’unità originaria. Se un tempo gli esseri umani erano perfetti, senza distinzione tra uomo e donna, Zeus, sentendosi minacciato, li divise; da allora, ognuno è alla ricerca della propria metà, dell’unità perduta, sospinti dall’incessante ansia di completamento.
L’amore è dunque ciò di cui si sente la mancanza; e per raggiungerlo occorre trovare una forza mediatrice, un intermediario (metaxú) tra ragione e follia, attraverso la ricerca di un lungo e difficile percorso verso l’ascesi razionale lottando contro la parte irrazionale. Eppure al di là di questi principi certi e razionali, l’uomo si trova a fare i conti con quella follia, che pure deve essere affrontata: l’incontro con la follia può essere possibile con l’amore, perché solo gli amanti sono capaci di accompagnarsi reciprocamente verso l’ignoto, di procedere insieme verso quella dimensione temibile, ma viva, potente. In questo modo, si può vincere la paura di chi è chiamato a perdersi per poi ritrovarsi, a uscire da sé per trovare l’estasi. Dopo l’amore niente è più come prima, perché siamo persone nuove. Eros è una forza che ci possiede, è la vita che chiama a una continua rinascita, in quanto non è l’altro che incontriamo ma l’abisso della nostra anima che l’altro riflette.
In questa accezione, Platone non parla della soddisfazione dei propri desideri, bensì della possibilità proprio di quel dialogo tra la razionalità e la follia, a cui la nostra natura ci invita, per giungere a una compiuta espressione di sé. L’Eros, impossessandosi di noi, ci trasforma: è un’opportunità, è libertà, e con la sua forza inalienabile esso è generativo.
Ad ognimodo, è l’idea di trovare in sé l’incontro con l’altro, per percepire la realtà ed incontrare i propri desideri e pregiudizi, per affrontarli, combatterli e ricomporli. Qui l’uomo si muove sempre attraverso il mondo del divenire in continua evoluzione, il mondo dell’essere e delle forme, degli assoluti e della trascendenza.
E between/metaxú denota quello spazio che sta in mezzo e mette in relazione, induce sempre al confronto per poter accettare le differenze, vera “arma” di conoscenza e progresso. La mediazione è proprio l’utilizzo di uno spazio e di un tempo in cui, in modo processuale e attraverso un atto di negoziazione, si trovino aree di consenso, che permettano al conflitto (il cui significato è legato al combattere) di evolvere in maniera meno distruttiva. Ed allora, per realizzare questa possibilità, occorre riferirsi ad alcuni presupposti riconducibili a: rispetto degli individui e delle proprie diversità culturali; considerazione dei bisogni di tutti gli interessati; assistenza volta al raggiungimento di decisioni consapevoli e ponderate; riservatezza delle informazioni; messa in discussione di tutti i meccanismi statici per riferirsi a forme che riequilibrino il sistema; competenza e preparazione di colui o coloro che sono preposti a mediare, a realizzare il metaxú.
Queste posizioni sono espresse in qualsiasi manuale di Mediazione Sistemica, che agisce nella complessità e si occupa proprio dell’arte di affrontare i conflitti, cercando di superare le posizioni rigide che si credono acquisite una volta per tutte.
Certamente oggi di questa riflessione ci sarebbe veramente bisogno.
Ho ricevuto dal prof. Fabio Bassoli il seguente commento.
Leggo con piacere che hai ripreso con puntuali riferimenti filosofici un concetto che in modo “empirico”avevo introdotto tanti anni fa nel libro “l’arte del corago “e cioè la funzione dell’intermediazione nel conflitto.
Purtroppo spesso le forze distruttive insite nelle guerre prevalgono su quelle costruttive.
Grazie