A Roscigno, nei prossimi giorni, sarà assegnata dal C.A.I una targa di merito all’ultimo residente di Roscigno Vecchia, Giuseppe Spagnuolo.
Gli organizzatori dell’evento sono Andrea Scagano, presidente del CAI di Montano Antilia, e il prof Enzo Di Gironimo, ex direttore del museo Etno-preistorico di Castel dell’Ovo di Napoli.
Per l’occasione, il dott. Luigi Leuzzi, studioso di mitoarcheologia, dinamiche antropologiche ed etno-culturali del Cilento, produrrà una interessante riflessione su:
Il tema della “restanza” come chiave di volta di una resilienza della Civiltà dell’Appennino.
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Di seguito, le sue considerazioni.
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In più occasioni Vito Teti si è soffermato sul disagio a cui va incontro chiunque decida di rimanere nelle aree interne dell’Appennino per mantenere un equilibrio antinomico tra ancoraggio del vissuto corporeo nei luoghi natii e diaspora della mente verso altre mete o aspettative ideali o reali per il proprio futuro co-esistentivo.
Il più delle volte ci si confronterà con le ombre del passato in borghi rarefatti nel tessuto comunitario ormai sfilacciato che specie in questa epoca del contagio Covid 19 ha molto in comune con la distanza intersoggettiva delle realtà urbane o peri-urbane nelle modalità dell’incontro e della coesistenza.
Un distanziamento glaciale ha molto di attuale in contesti sociali in cui si sono frammentate le coordinate co-esistentive ravvivate in passato dai ritmi e dagli spazi comuni dalle attività agro-pastorali in cui una volta si inscriveva un sentimento corale dell’appartenenza.
Solo le sagre attualmente ne ripropongono una forma larvata di riattualizzazione specie in superficie giacchè costituiscono semmai dei “non luoghi” per dirla alla Marc Augè dove una vaga segnaletica dai rimandi effimeri e cartellonistici ripropone momenti di aggregazione cementati un tempo dalle comuni attività produttive e comunitarie legate alle stagioni della semina e della raccolta , del transito della transumanza e degli scambi orientati dai tratturi a reticolo o longitudinali e trasversali che segnavano le rughe di un paesaggio antropico che è ormai in dissolvenza.
Eppure a proposito della Civiltà dell’Appennino Giuseppe Lupo ha ribadito che proprio a partire da Eboli dove Cristo si è fermato, rimanendo sulla stessa metafora utilizzata da Carlo Levi ,nasce un’altra religione dell’interno che media valori ancestrali e che invita a guardare la Piana o la Costa affollata da aggregazioni produttive e turistiche con uno sguardo ulteriore e trascendente.
Si potrebbe alludere ad una metafisica del tempo delle stagioni e dei solstizi a cui rinviano le testimonianze di un megalitismo che è transitato in parte nel culto dei santuari mariani extra-urbani e delle consuetudini rievocate dalle feste patronali e dalle rievocazioni di un tempo passato che va coltivato nell’humus fertile di chi è rimasto ed ha la forza di attestare ai policy-makers che non è più il tempo delle celebrazioni ma che invece è il momento dell’epifanìa del riscatto e dell’identità e dell’appartenenza .
Non c’è bisogno di assistenzialismo o dipendenza dalle erogazioni puntiformi; i giovani meritano invece infrastrutture che consentano di competere con le realtà a capitale sociale elevato e mantenere allo stesso tempo il pregio della diversità e delle peculiarità che rendono un Cilentano o Lucano Occidentale orgoglioso di esserlo.
Un caro saluto agli astanti ed un augurio che tanti possano abitare il nostro territorio e rianimarlo di quello slancio vitale che nei secoli addietro ha strappato le nostre terre all’incuria ed all’abbandono nonostante i tempi oscuri delle guerre e delle invasioni greche, romane, bizantine, longobarde ,saracene, normanne, angioine ed aragonesi, spagnole, francesi e sabaude .
Noi siamo un popolo identitario ,un tempo di lingua osca e dobbiamo ambire ad un riconoscimento sovra-regionale che non ci veda solo costellazioni satellitari di un mondo a capitale sociale avanzato.
Dimostriamo che con i lucani di stirpe sannita in epoca storica non siano scomparsi tutti gli individui di una progenie temperata che abitava le antiche Terre del Cilento e che ne siamo gli eredi ed allo stesso tempo i testimoni al punto tale da costituire ancora la vera spina dorsale del dissenso e della strenua resilienza di un mondo antico consegnato altrimenti all’oblìo della prevaricazione e del silenziamento antropico.
Angelo Perriello
perriello.angelo@tim.it
scrive:
Grazie. Nella corrispondenza con il Dott. Leuzzi avevo letto questo interessante ed esclusivo testo analitico. L’ho subito apprezzato per i radicali riferimenti alla nostra identità connessa con i processi culturali che si ispirano alla volontà di restare. È un testo per me necessario nella elaborazione del Piano Transnazionale per l’occupazione in cui investono scuole, comuni, imprese, start up proprio per assicurare la permanenza. Grazie ancora.