Mi sono occupato spesso di miti, simboli, riti, ritenendo importanti tali forme comunicative per la coesione delle comunità e per la stessa vita delle persone. Eppure qualche giorno, il 2 agosto 2022, un evento ha prodotto un dibattito molto divisivo, caratterizzando la cronaca nazionale: a Monteprato di Nimis in Friuli, si è svolto il rituale: la Festa degli uomini, oppure delle Mangiatrici di banane.
La festa, che si svolge in paese da mezzo secolo, è stata quest’anno intesa da tanti come una competizione sessista, una forma di oppressione, denigrazione, oggettificazione e sessualizzazione della donna. La proposizione in primo piano di alcune concorrenti, che velocemente dovevano mangiare delle banane, inginocchiate, bendate e posizionate all’altezza della cintola degli uomini, simulando atti sessuali, ha prodotto polemiche e risentiti commenti.
Gli organizzatori dell’evento hanno parlano di un gioco innocente, che non offende nessuno: ci sono donne che partecipano volontariamente e si divertono a compiere questo gioco.
Come accade spesso, dunque, fautori e contrari radicalizzano l’evento: È sessismo, sottomissione, affermazione del potere maschile? È gioco e goliardia, come sostengono gli organizzatori che rilevano la partecipazione volontaria delle donne, sorridenti e divertite a compiere questo gioco?
Ho cercato di comprendere meglio cos’è questo rituale.
Il paese negli anni cinquanta era quasi disabitato: clima e scarse possibilità lavorative avevano portato la popolazione a lasciare la montagna. Nell’abitato c’era una sola osteria frequentata da uomini: parlando del fatto che non nascevano bambini, l’ostessa inveì contro i maschi che non usavano con le mogli la stessa passione che avevano per il vino. Pare che un giorno una signora anziana raccogliendo legna nel bosco avesse trovato uno strano ceppo a forma di membro eretto, che le donne portarono in osteria, proprio per schernire la virilità dei loro uomini. Da allora si decise di festeggiare questo totem, a partire dagli inizi degli anni settanta. Il fallo veniva deposto sul bancone all’interno del locale attorniato da candele accese; successivamente, i giovani in “processione” cominciarono a portarlo di paese in paese, entrando in ogni osteria fino poco prima dell’alba. Ritornati a Monteprato, il fallo sfilava per le vie dell’abitato lungo un percorso marcato da fiaccole accese ed accompagnato dal suono delle campane e da canti goliardici. In queste occasioni qualcuno faceva atto di rispetto togliendosi il cappello ed inginocchiandosi. La data del 2 agosto fu scelta per una leggenda bizzarra, risalente a Napoleone. I suoi soldati quelli delle ultime fila, avevano calzamaglie molto strette, e per una questione di uniforme tenevano i testicoli spostati alla sinistra della cucitura sull’inguine. Ed allora il detto: “les deux a gauche!” (due a sinistra). Da queste parti si parlò di “deux de août”, il due agosto. Da allora il due agosto in provincia di Udine è la festa del maschio (che in realtà si svolge come giornata dell’uomo dappertutto il 19 novembre), per celebrare l’uomo e i suoi genitali.
Il simbolo è il fallo e la fertilità: durante la festa di Monteprano le strade sono invase da gente che insegue un’enorme statua in legno, realizzata a mano, che rappresenta l’organo maschile. Le donne devono toccarla come auspicio di fertilità. È il ritorno all’antico rito greco e romano, il simbolo fallico inteso come immagine e oggetto portafortuna, esposto ovunque. La superstizione vedeva il pene come la bacchetta magica che allontanava ogni guaio, ma era anche il segno della fertilità che significava figli, in quanto produttore di liquido seminale che avrebbe favorito la procreazione, quindi la ricchezza.
Priapo è un dio greco della fertilità, il cui simbolo è un grande fallo eretto; dal suo nome deriverà anche il termine medico priapismo, un’incontrollabile erezione. Questo figlio di Afrodite e Dioniso (o Adone, a seconda delle differenti versioni del mito originale) è il protettore del bestiame, delle piante da frutto e dei giardini, oltre che dei genitali maschili. Priapo, originario forse del Mar Nero, si trasferì prima in Grecia e poi a Roma, dove assunse l’aspetto di un satiro, Faunus; si celebravano in suo onore le feste chiamate Lupercalia, legate a fertilità, ma anche al passaggio dei giovani all’età adulta. I giovani romani nudi, i Luperci, sincreticamente intesi come mescolanza di capro e lupo, correvano verso il luogo in cui erano stati allattati dalla lupa e colpivano tutte le donne che incontravano lungo il loro percorso. Del resto Faunus è il caprone e i giovinetti sono sottoposti al rito di passaggio: quello di dimostrare coraggio ed acquisire lo status di adulti.
Faunus è rappresentato come Priapo con un grosso fallo, simbolo cosmogonico del membro virile in erezione, un dono degli dei, cui venivano dedicati riti e preghiere, e per secoli è stato oggetto di potere, tabù, mistero.
Il termine fallo deriva dal latino phallus, dal greco phallós, da connettersi alla radice del sanscrito phalati (germogliare, fruttificare) o alla radice della lingua protoindoeuropea phal (gonfiare, gonfiarsi). Per l’etimologia pene, ci si affida al latino penis, coda, che deriverebbe da pendere; poi membro virile (da pes, o sanscrito vedico pasas). In latino, il termine ha la stessa radice di falsum, e significa: commettere un errore, sbagliarsi, ovvero ingannare, circoscrivere, gabbare qualcuno in qualcosa (con connotazione sessuale).
Per i Greci ed i Romani il pene era simbolo di potere: nell’antica Roma, spesso le dimensioni e la forma del pene agevolavano la carriera militare. Proprio tra i Romani, inoltre, il pene fungeva da portafortuna. Il fascinum era un amuleto fallico contro il malocchio da appendere al polso. Di qui il gesto scaramantico di “toccarsi” i genitali (o di toccare il corno, a forma fallica) per attingere energia. Dal fallo, derivano le rappresentazioni dei cornetti delle superstizioni mediterranee. I culti fallici sono sopravvissuti fino ad oggi, anche se mimetizzati sotto altre forme, come la Sagra dei Gigli a Nola, la Corsa dei Ceri a Gubbio e durante il Carnevale a Firenze.
Questo simbolo è usato per provocazioni e scherzi, come pare essere inteso nel caso di Monteprano, a dimostrazione che questa simbologia resiste e fa parte dell’immaginario collettivo.
Con il passar degli anni questa festa si è evoluta; vede infatti la presenza di modelle in abiti procaci, spogliarelliste, cibo e palloncini a forma di fallo; c’è la premiazione del Mister dell’anno; infine, ci sono donne che si contendono il titolo di Mangiatrici di banane. C’è da dire che questa evoluzione ha fatto conoscere il paese, spesso frequentato da persone famose che giungono per osservare la festa. Al di là delle rappresentazioni ed evocazioni rituali, occorre considerare ciò in questi cinquant’anni è accaduto nell’evoluzione della vita sociale ed in quella delle donne, che ancora chiedono parità ed attenuazione delle distanze sessuali. Se vogliamo evocare miti e simboli lo possiamo fare senza proporre l’immagine di una ragazza che partecipa ad un concorso di banane, dove si afferma una sessualità, intesa come forma di potere e dominio. Si tratta di ammiccamenti e risolini sessisti, quelli dei turisti interessati alle occasioni di consumo ed alle forme attrattive che trascendono il buon gusto e rimarcano goliardia sessista, competizione sessuale, giochi di ruolo e di potere.
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