Nel Cilento tutto lascia intendere che ci sono cambiamenti nella vita quotidiana, legati ai nuovi sviluppi della tecnologia e alle dinamiche giovanili, particolarmente attente ai nuovi sviluppi.
Accade perciò che si utilizzino forme moderne di vivere la vita, inevitabili specie se le stesse restano attente alla peculiarità di un territorio con una radicata identità, sia essa alimentare, oppure legata alle tradizioni del passato.
È questo un rapporto interessante che propone la relazione stretta: passato/presente/futuro.
Questo abbiamo riscontrato in alcune situazioni che si affermano nei paesi dell’interno, che cercano di scongiurare il fenomeno dell’abbandono.
C’è tuttavia molto ancora da fare, ma potrebbe essere la strada giusta.
A Rofrano, con l’amico Antonio Di Rienzo, ho incontrato Carlo Palumbo e suo figlio Renato, lo scorso 9 novembre 2022.
Carlo lo conosco da tempo: ho una certa amicizia ed è un uomo attento e curioso a valorizzare le tradizioni del territorio e le ricchezze di cui esso dispone. Quando l’ho contattato per incontralo e parlare di tradizioni e vita cilentana, mi ha detto: – Mi inviti a carne e maccaruni! Cioè: per me è una festa, la stessa di quando nel passato la popolazione si cibava di carne e pasta fatta in casa.
Carlo è legato alla terra: riprende i semi delle coltivazioni autoctone e cerca di non far perdere con il tempo l’antica tradizione della sua terra.
Carlo Palumbo: – Sofia Mazzeo coltivava il pomodorino per se stessa, gliel’ho chiesto e lei mi ha dato i semi. A Rofrano ci sono parecchie aziende, soprattutto di allevamento. I Cetrangolo producono cacicavalli: hanno un laboratorio per fare i formaggi. Avevo perso i semi delle melanzane, poi le ha trovate mia moglie. Ora ne ho conservato tre, devo prendere i semi per distribuirli, darli alla gente per non far scomparire questi prodotti antichi.
Il figlio Renato è un ragazzo che non ha abbandonato il suo luogo d’origine: gestisce con alcuni amici il “Parco Avventura”, una realtà che accoglie molti turisti che hanno voglia di vivere a contatto con l’ambiente, almeno per alcuni mesi dell’anno, dalla primavera all’autunno. – L’anno scorso abbiamo avuto 800 bambini, un progetto per le scuole. Il ponte dei morti, nei primi giorni di novembre, eravamo pieni. Poi c’è l’estate, quando arrivano numerosi i turisti.
Con l’inverno, la neve ostacola le attività, se non altro perché è la natura a riappropriarsi dei suoi spazi e a ricacciare l’uomo in ambiti differenti. Renato in questi mesi aiuta il padre e si occupa dei terreni che producono olive, castagne e tanti prodotti invernali.
La vita dei Palumbo è a Rofrano. Amano il loro paese e non sono disposti ad abbandonarlo. Se si devono sfruttare le opportunità che il nuovo permette, sono ben consapevoli di doverlo fare. Ad una condizione: rispettare territorio ed ambiente e valorizzare ciò che lo stesso può offrire. Carlo è un profondo conoscitore del Cilento, e spesso è chiamato ad accompagnare i turisti desiderosi di immergersi nella cultura e nel paesaggio.
Renato è convinto che i giovani del paese abbiamo la voglia di fare qualcosa. Almeno quelli che restano; gli altri sono andati già via. Ed allora sarebbe necessario almeno invertire la tendenza, dare loro alcune condizioni strutturali e di politiche attive, che tardano ad essere avviate per una mentalità ancora immobile e statica.
Tra le risorse importanti, a Rofrano c’è l’Azienda agricola “Biohope” di Giovanni Speranza di 31 anni, che produce il pomodorino di Rofrano, ma non solo. La distribuzione avviene attraverso internet, con un certo successo. In questi luoghi si deve fare più di una cosa, diversificare le produzioni, per vivere. Il fondatore di questa azienda vuole rivalutare le tradizioni locali: è appassionato di biodiversità e grazie alla sua azienda valorizza i prodotti della terra, come le castagne o il pomodorino di Rofrano, o ancora la melanzana a forma rotonda e dal colore rosso intenso. Il suo segreto è di conservare i semi delle varietà autoctone, che rischiano di andare perduti. Le sue coltivazioni sono distribuite su 15 ettari di terreno. Il lavoro dura tutto l’anno e l’attività di conservazione è svolta dalla compagna che vive con lui. L’azienda è riconosciuta dal Parco ed ha il suo simbolo.
Per Carlo e Renato sta cambiando qualcosa: la produzione di ortaggi, l’allevamento di animali, i formaggi, poi le castagne. Sono parecchi che svolgono queste attività.
È vero che ci sono in paese una ventina di persone che prendono il RdC e preferiscono non fare niente. Però c’è da dire che ci sono giovani che non trovano il lavoro e altri che non lo cercano. Si adagiano al sistema, e vivono la rassegnazione.
Carlo Palumbo: – Per quello che abbiamo, uno potrebbe vivere dignitosamente. Io sono l’unico barbiere; dopo che sono andato in pensione non ce ne sono più. C’è mancanza di mentalità imprenditoriale. O vai fuori, oppure chi resta si accontenta dell’assistenza. Qui muoiono 20 persone all’anno e ne nascono 5. Ad ogni modo: – Qualcosa si sta muovendo. Quest’anno, seguendo il cammino di San Nilo, sono passate 1000 persone. C’è un movimento dal nord: le persone restano abbagliate quando accompagno un gruppo, apprezzano l’accoglienza dei cilentani. Vedo gente che vuole iniziare l’attività di vendita di frutta e prodotti della terra, per coloro che percorrono il cammino.
Il percorso è: Sapri, Torraca, Casaletto Spartano, Morigerati, Caselle in Pittari, Rofrano, Montano, San Nazario, Palinuro. Dal Bulgheria a Palinuro. È di 110 chilometri, otto giorni e nove notti. C’è una traccia, un sentiero. Questo percorso è stato avviato ormai da quattro anni.
Nei paesi vicini, è di rilievo l’esempio di Caselle in Pittari. Si coltivano: grano, vino, con trattori e mezzi agricoli. A Caselle il grano prodotto è di 200-300 quintali all’anno; è zona collinosa e il grano cresce bene. “Terra di Resilienza” è la realtà che in quel luogo ha fatto cambiare la mentalità: è accaduto 18 anni fa con alcuni giovani che hanno avute idee innovative. E questa realtà produce un’iniziativa come il “Palio del Grano”, ormai realtà consolidata. Si parte dal progetto: “Montefrumentario”, con il Mulino a Pietra della Cooperativa Sociale “Terra di Resilienza”, che ha inteso investire nei territori rurali e ai margini dello sviluppo economico, per una crescita attraverso una rivoluzione culturale e delle colture. Studiando le specie antiche si sono trovate quelle che presentano una qualità migliore e più produttiva. Il Mulino ritira l’80% del raccolto; l’altro 20% deve essere utilizzato per uso personale, cioè per il nutrimento della famiglia. Una Biblioteca del grano serve a studiare, con il concerto delle università, le varietà di grani e la selezione dei semi per un migliore raccolto. L’idea è di riscoprire l’identità alimentare, per abbandonare la tendenza alla massificazione degli alimenti che seguono solo la regola di produzione e profitto.
L’intera famiglia Palumbo è organizzata nel seguente modo: Carlo coltiva e porta a casa i prodotti coltivati; la moglie li lavora e prepara. Tra le sue specialità: i liquori di finocchio e di limone.
Renato Palumbo: – Qualcosa si muove, sarà minima. Non c’è sensibilità da parte di quelli che comandano. Almeno sistemassero le strade! Ci sono frane, zone abbandonate.
Vogliamo capire se l’identità è cambiata. Il giovane oggi è più creativo, lavora diversamente anche per pubblicizzare i prodotti. Si tratta di persone che investono nel territorio, volendo mantenere un legame con le origini. Occorrerebbe partire dall’esempio di questi uomini, che rispettano le tradizioni e cercano di mantenerle, nonostante i loro prodotti siano di nicchia: pensiamo ai pomodorini di Rofrano, alle melanzane tonde rosse, oppure alla tradizione del grano di Caselle in Pittari.
Renato Palumbo: – Il nostro problema sono gli intermediari, che fissano i prezzi. Noi produciamo la castagna. Nessuno si preoccupa. Ho fatto una battaglia, ma se la fai solo tu non ci riesci. Mettiamo insieme dieci produttori e facciamo la voce grossa. A Rofrano ogni anno si producono 4.000-5.000 quintali di castagne, eppure ci sono una serie di vincoli. Coltiviamo su castagneti comunali. Se riesci ad affittare il terreno, puoi realizzare un’azienda agricola e avere i contributi. Noi le raccogliamo ma non le tracciamo. Il problema qui sono i pastori, che pagano l’affitto a pascolo. Se non c’è regolamentazione, non se ne esce. In queste situazioni, ci vorrebbero politici innovatori. Arrivano soldi europei e nessuno è in grado di attivare progetti. I collegamenti mancano, la macchina burocratica è la solita. La politica porta allo spopolamento di oggi.
Come si può cambiare? La gente deve restare per far crescere il territorio, poi mettersi insieme e trovare la forza per far cambiare le cose, a partire dalle istituzioni.
Renato Palumbo: – Ci vuole coraggio. Noi giovani non demordiamo. Saremo una quarantina. Chi qua, chi lavora fuori, a Sala Consilina. I giovani che sono rimasti lavorano quasi tutti, si adattano a lavorare. Nel paese, c’è più socializzazione, voglia di cercare il lavoro. Dai 20 ai 40, sono tutti ragazzi che lavorano, chi in proprio, chi ha la ditta. Sono ragazzi che fanno. Le persone che vanno via non si adattano a quello che c’è: l’industria boschiva, ad esempio.
C’è la volontà dunque di fare oggi. Sembra che la maggior parte delle persone che resta nei paesi lavora e ha voglia di farlo. Quelli che sono “sdraiati” paiono vivere soprattutto in città. Il dato sorprendente è che nei paesi non c’è una grande incidenza di NEET. C’è chi va via, ma quelli che restano si danno da fare, un lavoro in qualche modo lo trovano.
Carlo Palumbo lo conosco da più di vent’anni e il figlio ha seguito le sue orme. Ha detto di recente in un’intervista: – Non potevo avere un padre migliore di questo!
Oggi spesso i turisti, che percorrono il Cilento, quando giungono a Rofrano chiedono di conoscere Carlo Palumbo per ascoltare le sue storie.
È un uomo che preferisce parlare in dialetto. Una volta, una signora che non riusciva a comprenderlo esclamò: – Sei una persona che conosci tante cose, peccato che parli il dialetto!
Lui prontamente rispose: – È proprio perché parlo il dialetto, che conosco tante cose!
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