Alcune riflessioni sul volume di Luigi Leuzzi: “Un’anima, un luogo. Contributo antropologico per un processo di individuazione nel Cilento e nel Vallo di Diano” (Centro di Promozione Culturale per il Cilento), che sarà al centro di un dibattito il 4 febbraio 2023 presso la Sede del “Centro Contemporaneo delle Arti del Cilento”, Roccadaspide, nell’ambito dell’iniziativa: “La bottega dell’anima Incontri empatici”, a cura di Menotti Lerro e Luigi Leuzzi.
Ci siamo inoltrati in sentieri di luce,
itinerari noti in apparenza,
rotti dall’ombra, si sono rilevati radiosi,
immagini e traiettorie della lontananza,
impressioni inconsuete dell’aurora e del crepuscolo,
cifre enigmatiche dell’abbraccio cosmico,
del grembo della madre che stringe,
in un percorso ellittico l’eroe,
così del figlio valoroso ne mette in scena
l’eterno ritorno. (“Un’anima, un luogo”, p. 90)
Questi pensieri sono indirizzati al lettore da Luigi Leuzzi, per puntualizzare meglio i contenuti di un volume su cui credo valga la pena soffermarsi. Le parole potrebbero essere intese come un’attenzione e una circospezione nell’affrontare un incontro con i luoghi, con le immagini che sono lontane, che sembrano enigmatiche, ma a cui tendere, affidarsi, ritornare per renderle nitide e per scoprire e far scoprire la loro esistenza. Questo è l’uomo/Leuzzi che ragiona intorno all’essenza del Cilento, praticando un approccio con l’anima, sgombra e partecipata, un processo praticato con grande acume per renderlo meglio chiarificato.
Il termine “anima” (dal greco ànemos, “soffio”, “vento”, “respiro”) è la parte vitale e spirituale di un essere vivente, che originariamente era espressione dell’essenza di una personalità, “spirito”; poi viene progressivamente identificata soltanto con la coscienza di un essere umano. Per Aristotele è il principio vitale dell’uomo, l’anima intellettiva, contrapposta all’anima razionale di Platone. Al posto di anima, si fa spesso ricorso anche al termine animo, animus per l’autore che si sofferma sulle evidenti differenze, per riferirsi in modo più circoscritto alla sede degli affetti, sentimenti, facoltà mentali. Jung utilizzava anima e animus per indicare le istanze superiori che governano la psiche maschile e femminile; ma ciò che più interessa è la ricerca che lo studioso di psicanalisi in modo analitico compie dalla storia del singolo alla collettività umana, attraverso il processo di individuazione, di realizzazione del sé personale a confronto con l’inconscio individuale e collettivo.
Su queste basi si indirizza l’intento di Leuzzi, che riferisce di questa modalità di conoscenza, in quanto l’anima è la predisposizione dell’uomo a cogliere i significati più profondi delle cose, quelle comunitarie del Cilento nell’ambito specifico, attraverso un approccio essenzialmente ermeneutico, per predisporsi a comprendere le tracce della storia che si raccontano ma devono essere colte e rese fruibili. Per fare ciò si sofferma con tanti esempi sui significati e i simboli sottesi al passato, accolti e sviscerati attraverso proprio una predisposizione dell’animo, ma anche una grande esperienza e conoscenza della ricerca sul campo in veste di osservatore partecipante.
Qualche altra notazione è sull’anima di un luogo, a cui l’autore si riferisce. Si tratta di ciò che caratterizza quel luogo, una specifica energia psichica: il Genius Loci, che corrispondeva al concetto di dàimon greco, per Socrate lo spirito-guida che assiste l’uomo nelle sue decisioni.
I luoghi hanno un’anima ed è nostro compito scoprirla, come sosteneva James Hillman, che affermava che la stessa idea di “anima” recupera la nozione di una natura animata che assorbe i pensieri e le tradizioni degli uomini che la abitano da millenni. Per anima dei luoghi si intende anche il legame spirituale con le cose che si incontrano perché il luogo siamo noi, e ce lo portiamo dentro magari senza saperlo. Il Genius Loci in realtà era l’essenza spirituale che collegava la dimensione materiale a quella spirituale, rendendo sacro lo spazio che sotto la sua influenza risultava abitato da un soffio divino, un’anima. Le popolazioni antiche avevano a cuore il rispetto dei propri numi tutelari e riempivano di sacralità i luoghi che occupavano, per non esporre la comunità al pericolo. Questa concezione obbligava le persone ad avere cura della terra sulla quale camminavano, ed avendo rispetto del loro spazio vitale potevano operare in maniera attiva al mantenimento della sacralità e dell’armonia nel mondo.
Quello di Leuzzi è un volume che va oltre la lettura lineare. In genere, siamo abituati a scorrere i capitoli che si susseguono per coglierne l’essenza, chiarificata ancora di più da eventuali prefazione e introduzione, per poi chiudere con le conclusioni. Al contrario, qui ci sono rimandi al passato con un approccio che parte dal presente per leggere l’identità di un territorio; inoltre, gli esempi e gli stati d’animo servono per rapportarsi al contesto senza tuttavia trascurare gli approdi delle varie scienze, storia, sociologia, filosofia, per poi consolidarsi in una antropo-archeologia che rende meglio il senso del tutto; infine, c’è la presenza dell’uomo/Leuzzi che agisce, spiega e sorregge le sue argomentazioni con l’interpretazione delle pietre dei luoghi.
Una chiave di lettura al libro potrebbe essere di individuare il concetto di cultura come conoscenza, arte, credenze, e tutte le capacità e abitudini dell’uomo come membro di una società. In tal senso, rileva Chieffallo nella presentazione, ci si sofferma sull’anima e i processi che determinano la specificità di genti che abitano un luogo, l’aggregazione comunitaria. Sono tutte quelle componenti che fanno emergere il soggetto attivo che è portatore della cultura acquisita, per affermare un’identità che è sempre evolutiva.
I processi storico-sociali hanno costruito l’anima di questa terra, con l’alternarsi delle culture che si sono succedute. Esse hanno assorbito e sintetizzato gli elementi della cultura indigena e di quella esterna che si è affacciata nel corso dei millenni. Si tratta di un trait d’union unico che varia di paese in paese ma che accomuna tradizioni, usi, costumi, comportamenti delle genti, l’anima. È evidente che i cambiamenti hanno influenzato anche questa terra vasta, e qualcuno sostiene che con il passar del tempo si perde quella stessa anima.
Ma è così? L’identità è perduta o si può recuperare per farla evolvere?
L’autore fa un lavoro di ricerca epistemologica partendo dalle potenzialità di cui il Cilento dispone. E queste potenzialità possono essere la base per il futuro. Ma occorre quindi conoscere quali siano gli elementi storici-antropologici che hanno costituito nel tempo la stessa identità e le hanno permesso, salvaguardando i valori, di non snaturarsi del tutto.
Leuzzi vuole applicare una lettura simbolica ed ermeneutica per verificare sia il processo di identificazione che di svincolo dal legame atavico, che spesso non permette un passo ulteriore verso la modernità. Il metodo utilizzato è un approccio che si occupa delle evidenze antropologiche con una lettura euristica intesa come cum-partecipazione tra ciò che emerge, esserci, e ciò che è stato, l’archeologia e la storia di un luogo. Associato a ciò c’è anche lo sguardo empatico e il valore etico, di uomini e di luoghi che sono in interconnessione. Lo sguardo è poi di chi ha un’anima emozionale (Hillman) con la compresenza di un mondo mitologico che va letto secondo significati simbolici e antropologici. Tutto questo per dire che la storia ufficiale non è riuscita a dare risposte che vanno invece ricercate nel rapporto interpersonale, e dunque vivo, a contatto non solo con la società e gli uomini che la abitano ma con la storia dei luoghi per rilevare le tracce del passato.
Sviluppando il pensiero, l’autore si riferisce a quei viaggiatori e studiosi che hanno osservato il circostante. Per questo c’è stata la letteratura di viaggio (Cosimo De Giorgi, ad esempio) che ha rilevato le condizioni di vita; oppure, le argomentazioni a partire dall’unità d’Italia di quegli studiosi che hanno compiuto inchieste nel territorio.
In questa fase Leuzzi pare attento a sostenere che le condizioni di arretratezza sono determinanti. Non c’è stato sviluppo perché c’è stata una vocazione alla staticità, all’emarginazione, ad un’appartenenza che è parsa del tutto chiusa in se stessa. È la storia sociale che si è affermata dopo la storia crociana che non è entrata nello specifico delle condizioni. Dall’interno del territorio al contrario si sono indirizzati gli studi di de Martino, che ha osservato il di dentro di un’arretratezza. Qui l’autore sostiene che quel dentro deve essere conosciuto, a partire ad esempio dalla protostoria, e nel suo svolgersi guardare alle innovazioni greche, lucane, romane e dei popoli successivi. In questa evoluzione, c’è stato qualche risveglio in termini di organizzazione dei centri; poi un impoverimento e un consequenziale arroccamento, il processo di destorificazione e di presentificazione, la ricerca di un più solido radicamento. L’assenza del processo di identificazione/affrancamento ha prodotto una chiusura difensiva verso il conservatorismo e la stasi.
I capitoli del libro sono interrelati. Un aspetto interessante è il fenomeno della transumanza, ovvero gli spostamenti degli italici nel territorio, già con riferimento all’antica civiltà del Gaudo o di quella Villanoviana; poi Enotri, Sibariti, Focei, Lucani, che dimostrano molto attivismo e contaminazioni. Leuzzi per la ricostruzione delle sue tesi si avvale dell’archeologia minore che serve a riannodare i legami: le pietre e i sassi che se ben letti, come fa l’autore che se ne occupa dal più di trent’anni, rivelano il luogo delle origini; l’Antéce (per le valenze simboliche) e tutte le statue-menhir di cui si ha presenza nel territorio; la dea Madre, di cui si sofferma in seguito, riservando anche un volume intero intorno al culto della Madre Terra. Poi ci sono tanti esempi nel territorio: il Dio danzante a Vatolla; la tomba del Tuffatore a Paestum; la tomba del Cavaliere Nero (lucana IV sec. a.C.). Sono essi tutti elementi che vengono studiati e poi rilevati per affermare la ricchezza degli antefatti in un territorio che spesso si affida solo alle evidenze che si colgono senza una conoscenza effettiva. Le pietre parlano, e l’autore sa ascoltarle, abbandonando la logica razionalizzante per accettare anche quella emozionale, l’anima e non solo l’animus di ogni individuo. Qui le opere d’arte sono memoria di un passato collettivo e comunitario, e vanno colte se c’è la produzione dei cambiamenti nel nostro intimo per accettare non solo il visivo ma il profondo.
Scrive l’autore: “Percorro questa terra antica del Cilento in un silenzio quasi devoto, ne sento il mito e l’abbraccio materno allo stesso tempo eppure questo sentimento non mi contiene, averto una mancanza, una vertigine di estraniamento. Interrogo le mute presenze del passato e non trovo una risposta, solo immagini che cercano un dialogo: è l’anima del posto che non trova un luogo e con la sua evanescenza chiede alla mia esistenza un corpo da indossare per chiudere, esprimendolo, un conto sospeso, un rancore, un risentimento per il mancato ascolto”. (p. 65)
Ciò accade perché chi sta oggi nel Cilento non legge i suoni, i silenzi, le pietre del territorio. E soprattutto non corrisponde, non alza lo sguardo per ascoltare e parlare il linguaggio abituale dei gesti e dei segni che sembrano essere caduti nell’oblio. A questo punto non può non ritornare, per rendere ancora meglio il suo argomentare, di nuovo agli esempi di arti che parlano e che noi non riusciamo ad intercettare, a comprendere. Molto poetiche le ultime pagine che riconducono alla madre terra, a Gea, che nessuno coglie. Eppure quella presenza la troviamo a Piaggine (Madonna delle Nevi), oppure a Vallo della Lucania (Madonna delle Grazie), o ancora attraverso i riscontri di tante altre Madonne di cui è ricco il territorio; ma poi ci sono anche le luci e le ombre che si presentano nei bassorilievi (Vatolla, Chiesa della Madonna delle Grazie); il bosco sacro della Civitella; il Monte dell’Idolo (Monte Sacro); ancora gli idoli di pietra; la Ninfa Vagante; l’Angelo di Luce (Caselle in Pittari); le Edicole a Piaggine; i vicoli, i portali e tante altre risorse nei vari paesi del Cilento.
Correlazioni tra immagini artistiche e simbolismo sotteso permettono a Luigi Leuzzi di districarsi ed indicare una strada percorribile per una transizione dai valori atavici verso una modernità che “richiede la capacità di aver filtrato e trasceso allo stesso tempo le eredità culturali ed antropologiche del passato”. Tutto ciò si può fare attraverso un processo di riappropriazione gruppale e collettiva che riesca a svelare l’anima smarrita nei secoli, così come il disagio e la sofferenza per il mancato svincolo da un’idea di identità che molti credono del tutto acquisita ma che è al contrario evolutiva.
Un eroico furore, un vortice di percorrenza nell’anima del luogo di cui nessuno ne interpreta il significato etico, ascoltando le pietre, il bosco, i volti degli idoli modificati e adattati dall’uomo superficie. Dove risiede la causa che nega il progresso? È una domanda che non poniamo in quanto è troppo prezioso il patrimonio ento culturale che ci disvela Leuzzi. Grazie Pasquale per averci offerto un inno alla scienza. Angelo Perriello.
Complimenti e grazie per l’approfondimento analitico, unico del Martucci, per la lettura e la comprensione ermenutica sensibile e colta di una ricerca personale che risulta essere attenta alle corrispondenze simboliche ed archetipiche di una identità che correrebbe altrimenti il rischio di smarrirsi nell’oblio e nella dimenticanza e pertanto diviene interpersonale nonostante secoli di adombramento e di misconoscimento delle ragioni più autentiche che ci consentano di attestare che essere Cilentani significa aderire ad un inconscio collettivo che attende di essere decodificato nel dialogo intrapreso da ciascuno di noi nella corrispondenza tra un’anima individuale e l’anima mundi di queste antiche terre in cui il genius loci o daimon ha tante potenzialità etiche e valoriali da riattualizzare in un processo di trasformazione e di trascendenza verso un futuro possibile per un patrimonio etno-culturale unico che risulta essere ancora attuale e fruibile. Non si potrà prescindere ovviamente da un coinvolgimento empatico di ognuno di noi in queste traiettorie di senso e di riappropriazione identitaria.
Ringrazio l’autore del volume.
Ho letto. Toccante il resoconto. È un inno alla gioia. Ha descritto con un fascio di luce il ricco e prezioso patrimonio artistico ed etno-culturale della nostra comunità che con sincerità e onestà intellettuale e scientifica ci hai donato. Sorge ora un problema perché l’isola e il non luogo si espandano. La rappresentanza. Il metodo comunicativo che consenta la fruizione conoscitiva dei nostri beni pubblici e comuni. Perciò l’incontro e il gruppo di interesse municipale costitutivo di cittadini che difendano e promuovano i loro tesori, la memoria dei loro padri, il culto dei Lari. Grazie semplicemente.
Angelo Perriello
Grazie al prof. Angelo Perriello