Questo scritto è l’introduzione del volume di Emilio La Greca Romano: “Scuola di merito. Politica e cronaca scolastica”, NCA Nobilis Clienti Academia, 2023. Il libro è disponibile online e nelle librerie.
Scrivere di “Scuola di Merito” non è cosa semplice, per le evidenti prese di posizione soprattutto antitetiche, spesso ideologiche, che ne caratterizzano il dibattito. Eppure, nonostante ciò, si deve dar atto ad Emilio La Greca Romano di essersi cimentato su una questione complicata. E lo ha fatto riprendendo sia alle posizioni favorevoli che quelle contrarie, avendo cura di entrare nella logica del termine e di definirne le implicazioni, partendo naturalmente dall’assunto che di merito ci sarebbe bisogno, anche se poi è da capire come attuarlo in un sistema scolastico in cui tante sono le carenze e le difficoltà, in assenza di riforme di prospettiva e di lungo periodo.
Alcuni danno atto al ministro Valditara di aver sollevato comunque una questione di non poco conto e al governo di aver denominato quel dicastero: “Ministero dell’Istruzione e del Merito”, ponendo l’obiettivo di percorrere quella tendenza. Poi le cose a mio avviso si fermano qui, per tante problematiche che cercherò di evidenziare riprendendo le tesi che emergono nel volume.
Parto dal concetto di “merito”, una parola latina che originariamente indica la parte, la porzione, ma anche lo spartire, dividere, distribuire. “Meritus” corrisponde a ricompensa, un premio da dividere tra i vincitori, tra le parti. Successivamente, è avvenuto un passaggio semantico di non poco conto, perché il “merito” è tutto ciò che rende degno di lode, di gratitudine, e anche di biasimo o di pena. Diventa un giudizio, il modo in cui si è agito per raggiungere un risultato, che può essere ritenuto apprezzabile o meno. I dizionari riportano: essere degno di lode, premiare ma anche punire, il diritto di avere onore, stima, lode, oppure una ricompensa, in relazione a ciò che si è fatto (Vocabolario Treccani); essere degno di avere un riconoscimento in base alle proprie capacità o opere compiute (Il nuovo De Mauro); concetto di diritto o dignità nell’essere riconosciuti in base all’impegno e alle capacità, e trattati con stima o ricompensa (I Dizionari del Corriere e di Repubblica). “Merito” indica comunque un agire morale, un comportamento attuato verso la patria, la società. Di tale avviso è l’Accademia della Crusca, ritenendo non praticabile la questione che per essere degno occorre dare a qualcuno quanto gli spetta, l’antica idea di spartizione.
In realtà, è l’impegno che implica il conquistarsi un premio in seguito ad una importante azione compiuta. E questa sarebbe l’idea di Valditara da applicare alla scuola e agli studenti.
Il “merito” però è stato inteso come forma di esclusione sociale, tipico del pensiero liberista neoconservatore e autoritario. Sarebbe associato al concetto di competitività individualistica che contraddirebbe il principio di uguaglianza sancito dalla Costituzione, all’articolo 3. L’art. 34 della Carta fondamentale della Repubblica Italiana stabilisce anche che la scuola è, intanto, aperta a tutti e l’istruzione ivi impartita è obbligatoria e gratuita per almeno otto anni. Se i due articoli vanno intesi congiuntamente, per perseguire l’eguaglianza davanti alla legge di tutti i cittadini, la scuola deve rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono la realizzazione del “pieno sviluppo della persona umana”, e che comunque comporta “di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.
Francesco G. Nuzzaci, in: “Scuola del merito e qualità dell’insegnamento, Educazione&Scuola, https://www.edscuola.eu, 11 dicembre 2022”, partendo dal comma riguardante l’istruzione superiore che deve garantire i capaci e meritevoli, sostiene che “meritare significa, per tutti, perseguire efficacemente il proprio obiettivo di vita sin dalle prime fasi dell’età evolutiva, in un ambiente di apprendimento che usa lo strumento della valorizzazione come premio atto a rinforzare la conoscenza e la sicurezza di sé”. Del resto, il “merito” va oltre la scuola visti i riconoscimenti stabiliti dalla Repubblica alle persone che si distinguono “per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario” (senatori a vita, art. 59, ad esempio).
Valditara ha affermato che favorire il “merito” significa assicurare alle scuole infrastrutture e dotazioni di qualità, valorizzare gli operatori scolastici, sintonizzarsi con il mondo del lavoro, agire sulle competenze, fornire a tutti gli strumenti per sviluppare un percorso di crescita individuale e collettiva.
Chi non può non essere d’accordo, il problema è il modo di farlo. Non è molto convincente infatti la loro applicabilità, anche se a dire il vero è forse prematuro dare un giudizio risolutivo. Eppure, è da tempo che le scuole italiane di ogni ordine e grado vivono la condizione dei livelli più bassi degli apprendimenti rispetto ai partner europei. Ed è per questo che s’impongono dei correttivi verso direzioni, peraltro da tempo già tracciate, di contrasto al nozionismo-enciclopedismo con l’incessante prolificazione delle materie di studio.
Nuzzaci entra nelle logiche dell’apprendimento, che deve considerare gli input provenienti dal mondo esterno, costruendo conoscenze abilità, atteggiamenti, in un necessario contesto di interazione sociale, coinvolgendo la persona nella totalità delle sue dimensioni: cognitiva, affettivo-emozionale, relazionale-sociale. Attuare ciò è possibile solo mettendo insieme teorie e ricerche empiriche in ambito psicologico, pedagogico e didattico, connettendo i modelli educativi e considerando che l’apprendimento si organizza secondo mappe concettuali sulla base del vissuto, delle conoscenze e preferenze pregresse, in modo simultaneo e sincronico più che lineare-sequenziale-diacronico.
Tutto ciò è auspicabile, come pure le discussioni sui criteri di valutazione dei docenti e degli studenti, anche se con approcci differentemente intesi, per giungere a realizzare una scuola di qualità.
Torniamo ad Emilio La Greca Romano. Dal suo libro rilevo alcuni scritti che riguardano le problematiche della scuola. Sul “merito”, l’assunto è di utilizzare il metodo socratico: “La maieutica non ha lo scopo della trasmissione di contenuti nozionistici, conta invece la ricerca e l’attività dialogica, non il perseguire una verità assoluta. Né Socrate, né altri sono i depositari del vero. Il dialogo ci consente l’ascolto e permette passi verso la verità e di un fare vero e di virtù”. Il ministro dell’Istruzione deve conoscere la scuola e i suoi reali bisogni ed impegnarsi con disciplina e onore per affermare i principi costituzionali della centralità della scuola pubblica, sostiene l’autore.
Negli scritti si sofferma sulla modifica del nome del dicastero, che ha suscitato tante preoccupazioni. Riprende: «Tutto deve cambiare perché tutto resti come prima». È di questo avviso, Antonio Gurrado che dichiara: “Il Ministero dell’Istruzione e del Merito poteva chiamarsi anche Ministero dell’Istruzione e della Selezione Spietata, Ministero dell’Istruzione e della Bocciatura Sistematica, Ministero dell’Istruzione e dello Sterminio Indiscriminato degli Studenti – e sapete cosa sarebbe cambiato? Esatto, assolutamente nulla”.
Valditara pone gli insegnanti al centro del ragionamento, per riaffermare “il loro alto ruolo sociale, strategico per lo sviluppo del Paese”, ed allora è necessario che “quella del docente torni a essere una figura autorevole, caratterizzata dal rispetto, dalla dignità e dal decoro”. Ciò a suo dire permetterebbe anche di evitare “la dispersione scolastica che è al 12,7 per cento, se aggiungiamo quella implicita (cioè di chi ha il diploma, ma non le competenze minime), sale ad un preoccupante 20 per cento”.
Si tratta di un problema che richiederebbe interventi urgenti, che comunque tardano a realizzarsi.
Ma con il “merito” si combatte la dispersione?, si chiede l’autore e non solo. Con le posizioni di principio si giunge a dichiarare che occorre “coltivare le potenzialità di tutti, sostenendo chi è in difficoltà e alimentando le capacità dei più bravi”.
Umberto Garimberti, di cui dà conto Emilio La Greca Romano, ha sostenuto che “la scuola italiana non ha nemmeno l’alba dell’educazione, fa passare dei contenuti mentali da chi li conosce a chi li deve ricevere, senza nessuna partecipazione emotiva. Uno studente lascia la scuola perché obbligato a uno studio nozionistico e privo di logica e a sole lezioni frontali”. Dunque, non è sul versante interno che si riesce a risolvere la questione, senza attivare un Piano Scuola che riformi “gli Istituti Tecnici e Professionali, un piano di orientamento destinato alle famiglie e della creazione dell’insegnante tutor, una sorta di Virgilio che guida e aiuta a scampare il pericolo fino alla fine del Purgatorio”.
Queste le intenzioni, ma si riuscirà a farlo?
Alessandro D’Avenia rilancia il fenomeno della dispersione, della fuga, perché il giovane studente avverte il peso del sistema scolastico tradizionale e non crede ad un miglioramento senza nuovi metodi e modalità d’insegnamento. La soluzione del ministro è di affidare il problema all’Invalsi. Nello scritto di La Greca Romano: “Scuola di merito e dispersione scolastica”, si riporta l’intenzione di creare un gruppo di esperti, perché la dispersione implica sia l’abbandono sia la mancanza di competenze che spesso caratterizza la formazione dei giovani. La chiosa finale di Valditara è: “questo problema è più evidente nel Mezzogiorno, probabilmente a causa di fattori sociali”. La sua soluzione è rilanciare un programma speciale per il sud con interventi in 150 scuole, con aumento di insegnanti e più elevati stipendi. In altri interventi aveva parlato di percorsi formativi di studenti, docenti e personale scolastico, per sviluppare competenze digitali e innovazioni linguistiche, attraverso decreti di riparto di risorse Pnrr.
Ad ogni modo, come riporta l’autore, si tratta di un ministro molto attivo e veloce a rilasciare dichiarazioni quasi quotidiane su intenti ed interventi per migliorare il sistema scolastico.
Una questione dibattuta, che ha portato Valditara alle cronache attirando su di sé molte critiche, è il “tema dell’umiliazione”. Ha sostenuto che l’atto dell’umiliazione consegue l’errore o il difetto riconosciuto. L’umiliazione causa la vergogna, provoca la contrizione, il sentirsi umiliato reca avvilimento e implica anche l’assunzione di un comportamento d’ossequio. Essere umiliati nell’orgoglio non è cosa da poco, perché l’umiliato riconosce pochezza e limite, ma anche contrizione d’animo, pentimento. La Greca Romano riporta la posizione di Ilenia Malavasi: “Il professor Valditara continua a scambiare la scuola per un riformatorio e dopo i lavori socialmente utili e il divieto di accedere al reddito di cittadinanza, oggi parla espressamente di ‘umiliazione’, cose che non si sentivano da almeno 100 anni. La questione è molto semplice: uno così non può fare il ministro dell’Istruzione”. Qualcuno ha anche sostenuto: “…ma Valditara ha mai letto un qualsivoglia studio di psicologia e pedagogia? Sembra incredibile. E in effetti è incredibile che, dopo una simile sparata, possa essere ancora ministro dell’Istruzione” (Furfaro).
Ne è conseguita la rettifica, che ha alimentato ancora di più le polemiche: “Stavo intervenendo su un episodio oggettivamente intollerabile, quello di uno studente che ha preso a pugni una professoressa. Ho affermato che sospendere per un anno quel ragazzo non ha molto senso, molto meglio responsabilizzarlo facendogli fare lavori socialmente utili alla comunità scolastica. In questi casi, ero e rimango pienamente convinto che realizzare il proprio errore, imparare l’umiltà di chiedere scusa, affrontare il senso del limite e della responsabilità delle proprie azioni, sia un passaggio denso di significato formativo e culturale (…) Riconfermo invece totalmente il senso del messaggio: alla società dell’arroganza occorre rispondere con la valorizzazione della cultura del rispetto e del limite e con la riscoperta del valore fondamentale dell’umiltà”.
Il senso è che i ragazzi devono essere educati alla cultura del rispetto e la scuola dovrà adoperarsi per questo fine. La scuola deve indurre a una superiorità morale o sociale, che trova manifestazione attraverso il proprio atteggiamento o comportamento, e bisogna educare i giovani, fra l’altro, a comprendere ogni atto che discrimina una donna e manifesta violenza e prepotenza. Nella scuola e altrove non va pensata e praticata la violenza e la stessa violenza di genere. È uno spostamento di prospettiva che ora si indirizza ad un tema molto sensibile. Qui due interventi su tutti. Papa Francesco: “Esercitare violenza contro una donna o sfruttarla non è un semplice reato, è un crimine che distrugge l’armonia, la poesia e la bellezza che Dio ha voluto dare al mondo”; Sergio Mattarella: “porre fine alla violenza contro le donne, riconoscendone la capacità di autodeterminazione, ricordando che sono questioni che interpellano la libertà di tutti”.
Ritornando al “merito”, la tesi dell’autore è chiara: “Oggi, nel terzo millennio, ci piace l’idea del merito se rapportata alla valenza costituzionale. Assume, in tal senso, solo in tal senso, il merito un valore. Ciò vuol dire, traducendo il pensiero dei padri costituenti, che tutti devono essere interessati dal progresso migliorativo, persino chi è nato indietro, senza quindi assumere inopportuni processi ideologici volti alla cristallizzazione delle disuguaglianze e delle ingiustizie”.
Ma per fare ciò la scuola deve essere dotata di un’infrastruttura idonea e di strumentazione per valorizzare quanti interagiscono nel suo contesto. Resta esplicativa l’immagine dell’ascensore sociale per trasferire il bisogno della risalita anche del contesto scolastico. Parliamo quindi di un’urgente necessità di collocare le scuole entro una fascia di qualità, in quanto sono agenzie educativo-formative abilitate in tal senso. L’intento, come già sostenuto, è anche lodevole, come ha rilevato Paolo Crepet: “ll professor Valditara ha sicuramente un merito, far parlare della scuola italiana dopo decenni di oblio e di sottovalutazione”.
Il ministro poi si impegola in un’altra questione che è stata a lungo dibattuta: la posizione sulla lettera della dirigente, la prof.ssa Annalisa Savino, del liceo Michelangiolo che ha condannato l’aggressione fascista ai suoi allievi. Senza peli sulla lingua, Valditara l’ha definita impropria e ridicola, minacciando provvedimenti. Da tutta Italia, ci sono state attestazioni di solidarità alla professoressa e agli studenti aggrediti, chiedendo con forza “le dimissioni del Ministro del (de) Merito e della (d)Istruzione (pubblica) Valditara”. Le posizioni poi si spingono a chiedere l’abrogazione delle norme “sul ridimensionamento, sulla carriera dei docenti, sull’uso dell’algoritmo per discriminare i precari e tutte le altre misure che dequalificano la scuola”.
Si torna dunque al punto di partenza e alle distanze dal “merito” nonostante le promesse di uno stanziamento “di 150 milioni di euro nel 2023, l’istituzione di due figure professionali dedicate una a sviluppare la professionalizzazione dell’istruzione nelle Scuole secondarie di II grado e l’altra a concretizzare l’attività di orientamento: il docente tutor e il docente orientatore”.
Ma il sogno del ministro non si limita a ciò. Uno degli scritti dell’autore riprende il ritorno al Risorgimento: “Se l’Italia vuole essere grande, deve recuperare la consapevolezza di un’identità nazionale che altrimenti rischiamo di perdere. Quella parte della nostra storia vorrei venisse non solo glorificata, ma anche studiata, discussa, celebrata… Dovremmo riscoprire la nostra patria e la nostra storia, per sentirci tutti italiani, in nome di un interesse comune pur nelle nostre legittime e stimolanti differenze”.
La cosa su cui credo tutti siano d’accordo è che si tratta di un ministro molto divisivo, non si sa se volutamente perché consapevole che non potrà realizzare il libro dei sogni, oppure se agisce inconsapevolmente, ed allora la questione è ancora più grave.
Rendo conto infine di alcune posizioni sui temi affrontati nel volume di La Greca Romano.
Nel suo articolo “Il merito: un tema o un problema?”, pubblicato il 6/11/2022 nel sito di Edscuola, Maria Grazia Carnazzola afferma che gli studenti devono collegare “i loro sforzi e i loro risultati a un riconoscimento esplicito ed equo”. La posizione è netta, perché pone il problema che anche i traguardi conseguiti più lentamente e con fatica sono un “merito”, qualcosa di cui andare fieri. Certo il “merito” e l’inclusione non sono concetti antitetici, anche perché “il processo formativo è il percorso personale attraverso il quale ogni allievo raggiunge gli obiettivi del percorso formativo (conoscenze, abilità, competenze), con tempi, modalità, motivazioni, atteggiamenti diversi, costruendo progressivamente significati e livelli di autonomia operativa e di pensiero”. Durante la formazione si correggono o si rafforzano gli atteggiamenti, gli apprendimenti, gli errori, le conquiste: è “il momento di massima responsabilità degli insegnanti verso gli studenti”.
Un’altra posizione interessante è quella di Rossella Barletta (“Scuola, a caccia dell’esatto significato etimologico … del Merito”, del 27.10.2022) che parla dell’acquisizione di esperienze soggettive che tuttavia devono essere comprese nella loro profondità: “Si può andare in profondità tutti insieme ma non tutti allo stesso modo, né nello stesso tempo, né alla stessa profondità. L’importante è fare in modo che nessuno si limiti alla superficie: è compito dell’educazione, dell’istruzione, della formazione”. È la profondità della conoscenza che deve essere perseguita.
La cosa certa è che Francesco Sinopoli rileva che il Ministero dell’Istruzione e del Merito, fondato su un’idea di scuola che valorizza (o seleziona?) “i migliori e più capaci”, rappresenta un vero e proprio ribaltamento del paradigma pedagogico che ha ispirato intere generazioni di docenti e che, pur tra mille contraddizioni, è stato il cardine di un complesso iter normativo in materia di inclusione scolastica. Anche se una comunità scolastica è inclusiva quando accoglie e valorizza le differenze individuali nell’ambito di un progetto educativo e didattico complessivo che si arricchisce di strategie pedagogiche, metodologiche, didattiche e diventa occasione di miglioramento generalizzato del fare scuola, affinché ciascuno possa esprimere al meglio le proprie potenzialità e farne patrimonio di tutti.
La scuola di Valditara nelle sue dichiarazioni di intenti riuscirà ad affrontare la complessità delle differenze tra individui, per evitare che si trasformino in disuguaglianze? Si potrà mai ridurre il fenomeno della dispersione scolastica, che al sud colpisce uno studente su sei, quando un tempo l’Istruzione Pubblica sembrava essere un’istituzione aperta a tutti? È possibile porre la questione della coesistenza tra “merito” e inclusione? Si riuscirà a riformare un sistema scolastico che manifesta ritardi e difficoltà nella formazione dei giovani?
Questi interrogativi sono affrontati in questa ampia raccolta di scritti di Emilio La Greca Romano, che offre gli spunti necessari per riflettere sulle difficoltà attuali della scuola.
Pasquale Martucci
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