Alcune considerazioni sul libro: “L’emigrazione nel Cilento tra diaspora e ritorno possibile”, a cura di L. Gravina e E. Martuscelli, edito dall’Associazione “Progetto Centola” e dal Gruppo “Mingardo/Lambro/Cultura” (maggio 2023)
Parlare di emigrazione è oggi molto attuale, dal momento che si riscontra un forte esodo soprattutto di giovani che, non trovando opportunità lavorative nel nostro Paese, ed in particolare nel Mezzogiorno, cercano occasioni più favorevoli all’estero. Si produce di fatto un depauperamento del Paese, che causa problemi di crescita produttiva per l’abbandono di tante risorse umane essenziali per lo sviluppo di una società.
Di recente, il 35° Rapporto Eurispes: “Il dovere di avere coraggio” (24 maggio 2023), ha inteso evidenziare proprio i ritardi e le inadeguatezze italiane nell’affrontare i processi di trasformazione sociale in una società in rapidissimo cambiamento: clima, flussi migratori, disuguaglianze, demografia, rivoluzione digitale. È sottolineata l’inadeguatezza con cui l’Italia affronta questi cambiamenti, avendo una scarsissima consapevolezza sulle misure da introdurre. E di conseguenza, l’emigrazione delle nuove generazioni è proprio una risposta ad una sorta di assuefazione e rassegnazione, alla mancanza di interventi e investimenti adeguati, che non riescono a creare opportunità lavorative e strategie idonee a soddisfare le esigenze e le necessità di vita dei giovani cui sarà affidato il destino futuro del Paese.
La realtà attuale è molto simile a quella che si è verificata in passato, e che è stato oggetto di analisi e riflessioni nel volume: “Cilento Terra Matrigna: emigrazione, spopolamento, diaspora dei giovani”, pubblicato a cura del “Progetto Centola” e del Gruppo “Mingardo/Lambro/Cultura” (2022). Oggi, attraverso nuovi punti di vista, spunti e riflessioni, l’associazione che fa capo ad Ezio Martuscelli ha voluto nuovamente occuparsi del fenomeno “emigrazione”, nel libro: “L’emigrazione nel Cilento tra diaspora e ritorno possibile”, rilevando alcuni concetti che permettono di elaborare una differente consapevolezza e manifestare un maggior bisogno di ancorarsi alle radici, all’identità del Cilento, ponendo il tema del “ritorno”, o almeno l’auspicio, se non addirittura quello della “restanza”.
Se le caratteristiche dell’emigrazione sono: lontananza, abbandono, spaesamento, disadattamento in terra straniera, nostalgica consolazione del nòstos, per un ancoraggio, un aggrapparsi alle proprie origini, il ritorno può esserci se c’è un paese/bordo, luogo che aspetta, se ci sono le condizioni dell’accoglienza, che si traducono in lavoro, infrastrutture, servizi, in interventi che si indirizzino alla valorizzazione delle risorse culturali e delle bellezze paesaggistiche e naturali.
Gli interventi in questo nuovo volume sono affidati a: Angelo Carelli, Pasquale Carelli, Antonella Casaburi, Francesco D’Episcopo, Ferdinando De Luca, Sabatino Echer, Giovanni Falci, Luciana Gravina, Rita Gravina, Domenica Iannelli, Luigi Leuzzi, Pasquale Martucci, Ezio Martuscelli, Angelo Paolo Perriello, Raffaele Riccio, Orazio Ruocco, Micheal Shano, Antonio Stanziola.
In questo scritto, riportando i riferimenti dei vari autori, centrerò l’attenzione su ciò che può essere l’elemento identitario e la cultura del territorio cilentano, calati nella condizione dei migranti che vivono “diaspora” e “abbandono”. Rilevo che l’emigrazione implica rottura, separazione, perdita, distacco forte, sradicamento, ma anche possibilità e opportunità di crescita e di sviluppo per le generazioni successive, anche se è interessante osservare la cura dei legami tra chi parte e chi rimane, chi nasce lontano dal paese d’origine e chi è pronto ad ospitare gli oriundi che hanno voglia di ricercare le proprie radici.
La questione da porre è: nel territorio cilentano si può realizzare ritorno e/o restanza?
Si parte dall’assunto che la terra è lì che aspetta i propri figli, come si evince da analisi e documenti che consentono di ridefinire il fenomeno dell’emigrazione. Sono le seconde e le terze generazioni, i rapporti con gli oriundi, che fanno rideterminare le questioni: la curiosità nell’attività di ricerca ha permesso agli autori di elaborare una visione più partecipata, che si concretizza nelle visite ai luoghi di origine dei padri e dei nonni, che avevano al contrario, in un’epoca molto più lontana, abbandonato per inseguire sogni che si rivelavano particolarmente duri e difficili.
Non mancano certamente esempi di famiglie che hanno vissuto la piaga dell’emigrazione, ma sembra che i loro discendenti, in una società ormai globalizzata, con interesse ascoltano le storie coinvolgenti delle loro origini, e non interrompono i rapporti con paesi come Centola, Torraca, Campora, Celle di Bulgheria, San Severino di Centola; anzi li cercano e osservano con ammirazione quei luoghi e li vogliono vivere almeno una volta. Queste nuove generazioni potrebbero realizzare un fenomeno che i curatori del volume definiscono “turismo delle radici”.
La seconda parte del libro riguarda: “Le persone. I viaggi. Le storie”, in cui si può cogliere un approccio narrativo di storie vere: Rita Gravina, Antonella Casaburi, Angelo Paolo Perriello, Pasquale Carelli. Quest’ultimo afferma che le tracce dei cilentani non si sono disperse ma sopravvivono all’infinito, con riferimento all’espressione di Domenico Chieffallo “Cilento Oltreoceano”. L’autore nelle lettere “virtuali” scrive in una lingua popolare, il linguaggio degli umili. Da Rio, Antonio tramite madre e padre invia lettere per mantenere il legame con le sue origini.
Di interesse è il ruolo femminile della condizione di emigrante (Rita Gravina). Si sottolinea una nuova dimensione della capacità femminile, di una donna che passa dalla gestione e cura della famiglia, alla definizione di nuove competenze in ambito lavorativo. L’altro scritto (Domenica Iannelli) sottolinea la forza del carattere delle donne di Torraca.
Sabatino Echer e Ezio Martuscelli nel loro documentato scritto si soffermano sull’abbandono di un borgo molto caro, San Severino di Centola, attraverso una storia semplice fatta di anni di emigrazione, con ricca appendice fotografica. Lo stesso Martuscelli, questa volta con Antonio Stanziola, propone una ricerca scientifica fatta di fonti, metodologia, documentazione sull’emigrazione negli USA. È l’emigrazione centolese, trattata attraverso tabelle, grafici, immagini, che è trattata per rilevare le caratteristiche anagrafiche, le modalità migratorie, gli aspetti economici e sociali. Infine, Angelo Carelli e Ezio Martuscelli si occupano di storie di famiglie emigrate in Brasile, da Celle di Bulgheria. Anche Angelo Paolo Perriello riporta storie di famiglie con riscontri documentati, racconti, foto, insomma tutto ciò che è memoria. Del resto di emigrazione e memoria si occupa anche Raffaele Riccio, per verificare se i modelli culturali e valoriali (identitari) del paese d’origine siano stati mantenuti. Evidenzia il rapporto tra mondi culturali e linguistici differenti (Cilento/estero) per rilevare la questione integrazione. Orazio Ruocco, infine, si riferisce alle contraddizioni dell’emigrazione, partendo dalle dimensioni del fenomeno e dal caso Camerota. Il suo approccio critico vede l’emigrazione come storia di scoperta e riscatto, ma anche di possibile ritorno.
I contenuti della prima parte del libro si soffermano sulla consapevolezza identitaria: i giovani sono guardati con speranza, perché molti torneranno (Antonella Casaburi); Ferdinando De Luca continua a contrapporre alla generazione Erasmus la “percezione negativa”, che rifiuta la stessa definizione di identità/cilentanità. Chi scrive, attraverso ricerche territoriali durate oltre trent’anni, riprende la costruzione identitaria e la rilevanza metodologica del concetto di cilentanità, nella seconda metà del novecento. Insieme a Luigi Leuzzi crede nella capacità evolutiva della persona, attraverso ipotesi di interventi creativi, culturali: beni artistici, architettonici, paesaggistici e naturali che possono favorire la restanza ed individuare, in positivo, opportunità affidate ad azioni progettuali, magari per attrarre proprio quel “turismo delle radici”. Tutto ciò a condizione di basare sul rigore scientifico le ricerche storiografiche per una definizione sempre più precisa ed attendibile della cultura di questa terra. A tal proposito, Michael Shano descrive una terra con caratteristiche culturali che possano produrre differenti consapevolezze, oltre che ricchezze, attraverso una profonda revisione storiografica. La sua critica, di cui ha ampiamente documentato anche in precedenti lavori, è rivolta ad una cultura che non si può basare sulle usanze e consuetudini, che mantengono il fumus della sacralità, e sulla vulgata, che investe giornalisti, enti ed associazioni culturali locali, che spesso promuove ciò che non si sa essere scientifico. Il problema sollevato da Shano è di studiare le componenti culturali e i significati dei processi storici. Ovvero: spronare a un proficuo dialogo critico, per affermare le nuove evidenze storiografiche e contribuire a modificare la visione delle cose.
Non mancano interventi critici sul fenomeno migratorio, come quelli già citati in precedenza: Francesco D’Episcopo si occupa di spopolamento e scarse attitudini della politica; Giovanni Falci rileva il rapporto duale/parallelo tra emigrazione/immigrazione, basati entrambi sul tema dell’accoglienza. Alcune indicazioni trasversali riguardano il problema delle infrastrutture da rendere meglio fruibili, come dello stesso patrimonio pubblico che non andrebbe abbandonato ma valorizzato. Certamente nel territorio i ritardi e le difficoltà non favoriscono i ritorni, eppure si devono perseguire iniziative e soprattutto spronare per acquisire nuove consapevolezze.
Una risposta sulla definizione delle caratteristiche di questa terra è il Premio “L’Identità del Cilento”, dedicato ai giovani, anch’esso organizzato dall’Associazione “Progetto Centola” e dal Gruppo “Mingardo/Lambro/Cultura”. Si tratta di coinvolgere e motivare i giovani alla scoperta e alla valorizzazione delle radici e delle tradizioni del proprio paese, dei legami con il territorio e delle sue ricchezze storiche, artistiche e culturali. Anche in questo caso, si può prospettare un superamento delle forme di abbandono, puntando ad un’identità dinamica che, nell’idea di Leuzzi, serve a riscoprire l’anima mundi, che poi significa essere osservatore curioso che coglie le atmosfere di vita comunitaria, contrapposte ad un mondo globalizzato che smarrisce il communis, la communitas.
È vero che il giovane è attratto dai modelli di vita più a portata di mano, ma se affermiamo la conoscenza del nostro passato ed ipotizziamo una cultura sempre meglio divulgata, penso al “Programma Communitas” portato avanti dalle iniziative di Angelo Paolo Perriello, oppure alla presentazione di conferenze e seminari che stimolano un’idea di Cilento in chiave: “turismo delle radici”, ecco che qualche piccolo spiraglio si può intravedere in positivo.
L’identità (Leuzzi) è ciò che permane di un individuo nel tempo, anche se è un soggetto in continuo cambiamento essendo da un lato non divisibile “individuum”, ma al tempo stesso “dividuum”. È una persona fatta di relazioni nel mondo in cui abita la “communitas”, per cui non si può restare nel passato in maniera nostalgica e nell’atemporalità, ma vivere il presente e la contemporaneità. Ovvero, la dico tutta, un rapporto con il passato ma uno sguardo alle nuove dinamiche tecnologiche che investano sui giovani, li vadano a motivare, facciano loro compiere scelte creative (Martucci), per ciò che attiene una imprenditorialità culturale, perché questo territorio è essenzialmente cultura.
Il libro: “L’emigrazione nel Cilento tra diaspora e ritorno possibile”, è articolato, con differenti sensibilità e approcci, ma basato su una traccia comune: se c’è stato in passato l’abbandono del territorio, oggi nella realtà attuale il fenomeno continua a presentarsi in maniera critica. Le cause sono essenzialmente economiche, senza tuttavia trascurare le difficoltà di un territorio scarsamente collegato, di strade dissestate, di una politica che non riesce a rispondere in maniera neppure sufficiente ai bisogni della popolazione.
Per favorire il ritorno e/o la restanza occorre avere un approccio culturale differente che crei occasioni di sviluppo, attività progettuali, dinamicità di interventi e imprese che sfruttino le risorse esistenti per favorire il “turismo di ritorno”.
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