Vincenzo Aversano ha pubblicato: “Canzona napulitana”, un volume di analisi e riscontri, di ricordi ed amore, una passione musicale, aumentata grazie all’impatto del suo compaesano E. A. Mario, oltre che di brani come Cicerenella e Mìchelemmà su tutti gli altri, su cui credo valga la pena riflettere.
Il suo lavoro parte dal canto alto-popolare di inizio ‘300 e si sviluppa con un metodo che avverte l’esigenza di una “problematizzazione”, ovvero un interrogarsi attraverso un percorso durato molti anni e legato ad un rapporto Musica/Geografia, ma anche su una serie di spunti multi ed interdisciplinari.
Sostiene l’autore che la carenza di studi specifici non lo ha dissuaso dal compiere ipotesi conoscitive sul mondo musicale napoletano, realizzando “una silloge di atti conoscitivi” in un arco di oltre trent’anni, con metodo scientifico e al tempo stesso divulgativo. Su tutto si erge la Geografia intesa come “scienza-materia-disciplina”, individuata nella sua matrice trasversale., nel senso del cercare i nessi tra le varie discipline per cercare di “complessificare le interpretazioni”.
Questo è il metodo. Il lettore non si lasci trarre in inganno da un approccio che all’inizio è complesso: del resto doveva esserlo per dare un “contributo alla comprensione da diversi punti di vista e inquadramenti spaziali”, proponendo interessanti riscontri bio-bibliografici. In seguito, i capitoli di cui è composto il libro si dipanano con un fare divulgativo attraverso esempi, notazioni e parole, oltre che l’analisi delle canzoni più importanti del ricco patrimonio immateriale canoro del nostro Paese.
Aversano ammonisce che la sua visione è non solo dall’alto ma dal basso, cioè dalla matrice popolare. La musica popolare comprende espressioni legate ai gruppi etnici o sociali: questo tipo di musica è tramandata per tradizione orale ed è legata alle specifiche comunità. Le differenze tra musica colta e popolare si basa su alcune distinzioni: scrittura e musica; contesti (luoghi e occasioni); elementi creativi ed esecutivi.
La musica colta, ovvero la storia della musica occidentale, è dotata di notazioni musicali che servono a mettere i suoni su carta; il secondo elemento è legato all’occasione e al luogo: una musica è un’azione funzionale che non ha valore in sé ma ha rilevanza soprattutto per i partecipanti che vivono un’espressione emozionale. Per quanto riguarda creazione ed esecuzione, la musica colta è creata dal compositore, poi fissata su carta ed infine eseguita dall’interprete e concessa al pubblico. La musica popolare al contrario non ha distinzione di ruoli tra il compositore e l’interprete; i brani sono eseguiti magari dimenticando il primo autore ed ogni musicista li reinterpreta a seconda della libertà di espressione. Così un canto si modifica nel tempo sommando le varianti dei vari cantori.
Tutto questo per dire che l’autore di questo volume raccoglie riflessioni, portando il colto verso quelle forme popolari che poi ne determinano il successo. Del resto, non possiamo legarci solo ad elementi di discussione tra differenti studiosi, per cercarne analogie o confutarne le tesi, ma occorre portare, al livello del comprensibile, parole e musica che certamente pervadono le emozioni della moltitudine. Solo in tal modo si riesce a stabilire il successo di una canzone. E di esempi Aversano ne traccia tanti, interrogando i versi, contestualizzandoli, ma anche riportando l’intera opera rendendola con le sue spiegazioni meglio fruibile.
Questo è il secondo approccio che mi preme rilevare; il primo è il modo di approcciarsi alle varie visioni di studiosi per accettarle o segnarne i limiti.
Il libro non è una storia della Canzone Napoletana ma è un lavoro che mette in risalto l’alto valore socio-esistenziale, tra raffinata cultura e prosa letteraria e quella legata all’oralità e alle composizioni popolaresche. In Aversano sono presenti elementi che apportano una migliore comprensione dei popoli ed approfondiscono la conoscenza di una certa cultura. Dunque, i due mondi (colto e popolare) si uniscono e conferiscono una specificità importante della tradizione napoletana, soprattutto se contestualizzati entro il filone di studi sui rapporti tra geografia e canzone, che nel caso di Napoli ha rappresentato un “crogiuolo musicale”, con gli apporti di tante civiltà e una vera e propria “industria della canzone”.
Il primo capitolo riguarda: “Generalità sulla canzone napoletana e saggi su prodotti e autori”, partendo dal Gruppo “NapulAntica”, di cui l’autore ha fatto parte, per la valorizzazione della tradizione del canto partenopeo-napoletano. Segue lo studio su “Marechiaro” di Salvatore Di Giacomo, senza trascurare le riflessioni sull’uomo, l’artista e il rapporto dell’autore con Pellezzano: sullo sfondo E. A. Mario. Sono citate canzoni in cui la fa da protagonista il “cardillo”, l’“auciello”, le composizioni sui pennuti tanto per citare. Ma i testi contengono anche natura e contesto, cioè le rappresentazioni di un mondo.
Nel secondo capitolo: “Da Ischia un itinerario culturale napoletano-europeo”, si parte subito con geografia, storia, socio-etno-antropologia, letteratura, con ipotesi sulla canzone Mìchelemmà e collegamenti con Boccaccio, trovando straordinarie coincidenze tra le fonti e riferendosi ad un tessuto magico-simbolico. Del resto, la cultura popolare attinge molto alle fattispecie oppositive, ai doppi sensi, agli stereotipi che attirano l’attenzione del pubblico, evidenziando fiabe e leggende tramandate che mettono in luce storie d’amore attraverso trame travagliate e molto accattivanti.
Note bibliografiche e fonti fanno compiere all’autore chiarimenti ed interpretazioni, su cui calare proposte interessanti di lettura. Su Mìchelemmà, per i cittadini ischitani forse Màrenèllà, ci sono interpretazioni “vocale-strumentale-coreutica” con a supporto fatti, luoghi e modalità che conducono a partire dalla Geografia a diversificati approcci multilaterale e multispettrale, in cui per l’autore il Decamerone costituirebbe una precondizione per la nascita stessa di quel canto. Poi ci sono i rilievi su precedenti interpretazioni che avrebbero indotto a congetture ironiche e di travisamento del testo: solo un’analisi puntuale riga per riga può proporre la “struttura profonda” come base interpretativa. L’idea è legata alla possibilità di sfruttamento turistico di Mìchelemmà, che sarebbe la prima canzone napoletana nota, per dischiudere orizzonti impensabili con la proposta di Geografia applicata: “sfruttare ai fini turistici la ‘Festa a mare’, che già nel 1932 si svolgeva presso gli scogli di S. Anna, ponendo al centro della manifestazione l’esecuzione di Mìchelemmà cottrauiana, ma anche di quelle versioni registrate nelle altre aree meridionali”.
Il terzo capitolo riguarda: “Contesti e didattica della canzone napoletana”, la Napoli del primo seicento, un popolo di mangiamaccheroni, con le figure del Lazzaro e di Pulcinella, stereotipi diffusi: masse senza lavoro, delinquenti, assenza di spirito civico, rapporto “dialettico” tra nobili e popolani. In questo contesto, le sue indicazioni riguardano un approccio da un lato problematico/valoriale e dall’altro “una didattica-ricerca geo-interdisciplinare”. Il passaggio presenta spunti, che saranno spesso ripresi, su autori/cantautori che offrono elementi problematici e critici nei loro versi: Mogol/Battisti, ma anche Luporini/Gaber, per approdare a Guccini, De Gregori, Dalla, De André, Daniele. Questi esempi sono importanti per far passare “temi pesanti” in “forma leggera”, tra operai, emarginati, calciatori, terroristi, ma anche Pasolini e Moretti. Nell’analisi critico-testuale emergono “frequenze anaforiche del contesto situazionale” (De Gregori); oppure si avverte la realtà partenopea contraddittoria, in cui traspare la denuncia per l’abbandono della citta da parte delle classi dirigenti (Napule è, di Pino Daniele). Non manca un confronto tra Viva l’Italia, Napule è, perché no, Santa Lucia luntana di E. A. Mario.
Il capitolo quarto è intitolato: “Un genio sconfinato e la sua attività”, tutto centrato sulla figura di E. A. Mario, commentando la poesia e la musica di altissima qualità, originale e profonda, facendo operazione di riconoscimento per i meriti artistici dell’autore. Aversano propone le sue composizioni e molti spunti biografici per evidenziare l’idea di vita, natura e rapporti umani. La grandezza di questo poeta/autore/compositore sarebbe individuabile nell’aver compreso che occorre un approccio “glocale”, perché il locale non confligge mai con il globale: da qui una serie di opere analizzate e proposte ed una riflessione su un autore, molto amato, e proprio per questo l’autore deve rilevarne tutti i contorni e le specificità non senza criticare le lacune di ricerche che non hanno evidenziato l’importanza di questa figura.
Il libro di Vincenzo Aversano indaga dunque la “canzona napulitana” interrogando i testi, la musica e le melodie, studiando tutto ciò che è stato scritto su autori essenziali nel panorama di riferimento, a partire proprio da Salvatore Di Giacomo e E. A. Mario. Per fare ciò, con puntiglio, eleva la sua analisi dotta e bibliograficamente fondata, attraverso accostamenti e suggestioni frutto di curiosità scientifica, per poi divulgarla attraverso riferimenti personali, opere che ritiene degne di menzione, un linguaggio chiaro e ben argomentato. Dimostra un approccio inter/pluri disciplinare, perché la canzone nasce da un ibrido di musica e poesia, di sentimenti ed emozioni. Essa per aver successo necessità della commistione di una geografia della musica e di una geografia musicale, che l’autore propone come chiave di lettura presentando nuove ed interessanti ipotesi interpretative.
Pasquale Martucci
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