Mi sono interessato, insieme ad Antonio Di Rienzo, di approfondire un concetto: la cilentanità, l’identità di una terra meravigliosa che fa parte del Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano. Sono stati anni di ricerche e lavoro sul campo, ad indirizzo antropologico-sociale, utilizzando alcuni strumenti metodologici, indirizzati essenzialmente alla “ricerca qualitativa”, senza trascurare i contributi provenienti dal territorio, quelli di studiosi locali, oltre che i riscontri legati alle iniziative territoriali, le pubblicazioni recenti anche sul web. Tutto per ricostruire la storia, la tradizione e la cultura cilentana e trovarne i tratti e gli elementi distintivi: rilevare le comunità e gli aspetti tradizionali; osservare le manifestazioni della vita materiale e le forme comportamentali; considerare le forme rituali e le espressioni devozionali; vivere i momenti e le mitologie festive.
Questi elementi sono fondamentali per rivolgersi al futuro: le modalità dell’essere si radicano nell’avvenire, la memoria assume un percorso mitodologico, in cui le fantasie dell’immaginario sociale sono vissute “come archetipi che ridanno forza e vigore alla vita di tutti i giorni”.
Si tratta del Genius loci, lo spirito, l’anima, l’atmosfera che si respira, ma anche i colori, gli odori, i suoni, il linguaggio della popolazione, il silenzio. È questo un aspetto trasversale, che riguarda il rapporto tra ambiente e l’uomo e le sue abitudini: indica il carattere di un luogo, legato a doppio filo agli aspetti che in esso si affermano, includendovi le opere materiali o immateriali, gli enti e gli individui cui si associa un legame storico-culturale che rende unica e immediatamente riconoscibile un’area.
Ernesto de Martino quando scrisse l’opera: “Il mondo magico”, e si occupò del concetto di presenza, osservò un orizzonte storico tra il polo della memoria, quello della progettualità sociale, senza trascurare la dimensione del presente. Il concetto di presenza, che segnerà una svolta importante nell’approccio culturale complessivo della società, è il distacco che l’umano fa dalla condizione naturale: “la vita religiosa è la mediazione tecnica di tale distacco”, protegge dal rischio di perderla. Infatti, nei momenti critici dell’esistenza, la religione è una tecnica di “destorificazione del passaggio critico”; di “ripresa delle realtà psichiche alienate”; di “ritorno alla storicità dell’esistere”. Ed allora, attraverso “modelli culturali” essenzialmente legati ai simboli e ai rituali religiosi, si supera il “passaggio critico”. Le sopravvivenze magiche sono le conseguenze di forme egemoniche imposte alla cultura contadina, a partire dall’egemonia religiosa che è il cattolicesimo con le sue accentuazioni di “esteriorità”, “paganesimo” e “magia”. In: “Sud e magia”, de Martino indaga il rapporto delle varie egemonie, tra cui quella imposta dal clero, quando lasciò che le forme sincretiche pagano-cristiane fossero quanto meno controllate: gli scongiuri pagani furono coronati da segni di croce e preghiera; altri raccordi furono le preghiere extra-liturgiche e il culto delle reliquie durante i pellegrinaggi.
Ora è il caso di parlare di Santa Sinforosa, riscontrando che nelle aree meridionali, in cui le condizioni di vita sono precarie, la “funzione protettiva delle pratiche magiche” sono importanti e si affermano in particolari momenti critici della storia, entro una specifica comunità ed in epoche ben definite.
Il luogo, dove è ora situato il centro storico, è stato considerato idoneo a scongiurare i pericoli, tanto che nel 1245 vi fu edificata una fortezza, il Castello, che oggi rappresenta una caratteristica storico-culturale di particolare rilievo. I feudatari si alternarono nei decenni successivi fino ai Filomarino che governarono questo luogo fino all’abolizione della feudalità. Ad ogni modo, fu proprio la famiglia Filomarino, i principi Giovanbattista e Tommaso, che si erano distinti per il coraggio dimostrato nella battaglia d’Otranto nel 1480 contro i Turchi, a ricevere in dono dal papa le reliquie dei Santi Sinforosa e Getulio, che divennero così i Santi Patroni di Roccadaspide.
La leggenda narra che l’imperatore Adriano avesse fatto costruire un palazzo, Villa Adriana a Tivoli, che doveva essere consacrato celebrando riti propiziatori. L’imperatore interrogò l’oracolo, che attribuì un cattivo auspicio in quanto Sinforosa e i suoi figli (Crescente, Giuliano, Primitivo, Giustino, Statteo, Nemesio ed Eugenio) si dedicavano all’invocazione del loro Dio. Adriano ordinò al prefetto Licinio di portare la donna al tempio di Ercole: le vennero fatte prima lusinghe, poi minacce e ricatti, per cercare di farla desistere dai suoi propositi e compiere sacrifici agli idoli pagani; ma la donna pia si appellò all’esempio di Getulio, suo marito, e degli altri compagni di martirio. Visto che non si piegava ai suoi voleri, l’imperatore ordinò di legarle una pietra al collo e buttarla nel fiume Aniene. Nel racconto del suo martirio, si afferma ancora che i suoi sette figli furono arrestati il giorno seguente: anche questi ultimi non rinnegarono la loro fede e vennero uccisi in modo atroce. Non si sa se questi sette giovani martiri fossero figli di Sinforosa, anche se la tradizione li considera tali. Il giorno seguente l’imperatore dispose che i cadaveri fossero rimossi e gettati in una fossa sulla via Tiburtina a circa dieci miglia da Roma.
Dopo qualche anno, quando si attenuarono le persecuzioni contro i cristiani, il fratello della martire Sinforosa, Eugenio, raccolse i corpi e li seppellì “in suburbana eiusdem civitatis”. Oggi c’è una chiesa a lei dedicata nei pressi dei Bagni di Tivoli. Dove un tempo si vedevano dei ruderi di un’antica chiesa, dedicata a Santa Sinforosa e sette figli, i proprietari del terreno hanno eretto, nel 1939, sulla collinetta dinanzi al nuovo santuario, una magnifica cappella, dedicandola alla Santa e ai suoi figli martiri.
Il Martirologio Romano commemora la Santa il 18 luglio. È venerata come comprotettrice di Tivoli, patrona di Roccadaspide, Tossicia e compatrona di San Chirico Raparo (PZ).
Tra le grazie più significative della Santa protettrice, si ricordano a Roccadaspide tre eventi.
Nel 1750, la liberazione della campagna dai bruchi divoratori. Una diversa interpretazione indica che, nel 1764, una invasione di cavallette stava distruggendo tutto il grano in paese. La popolazione portò in processione l’icona della Santa ed avvenne il miracolo. Il luogo è detto “Lo Scanno”, il centro dell’annuale festa votiva che si celebra in maggio e rievoca gli antichi rituali della vegetazione e del raccolto. Nell’annuale ricorrenza, il parroco benedice la campagna augurando un buon raccolto. Nel 1857, il 16 dicembre, lo scampato pericolo ad un catastrofico terremoto che colpì il salernitano grazie all’aiuto di Santa Sinforosa.
Infine, nel 1904, la prima domenica di maggio, ci fu la caduta improvvisa del “battacchio” dal campanile della Chiesa Madre, che miracolosamente salvò i tanti fedeli che erano in attesa dell’uscita del simulacro della Santa, per la processione de “Lo Scanno”.
Il 18 luglio è dunque una festa importante a Roccadaspide.
Ho osservato due edizioni della festa, che si sono svolte a distanza di anni (nel 2012 e l’ultima edizione del 2019), e devo rilevare che la partecipazione del pubblico è sempre elevata, come pure le dinamiche rituali che accompagnano la processione.
La grande folla sul sagrato della chiesa attende la conclusione della messa e l’uscita delle statue. Stendardi e banda musicale, autorità religiose e civili fanno da cornice ad un evento importante e sentito. Di rilievo, la presenza delle cinte/cente, le espressioni della religiosità popolare del territorio, che ancora sono di largo interesse devozionale, che precedono il corteo. Le campane accompagnano l’uscita delle statue dalla chiesa: San Getulio precede; Santa Sinforosa, dopo la banda musicale, anticipa la presenza di stendardi e gonfaloni; poi la folla che applaude e chiude in gran numero, snodandosi lungo tutto il centro abitato ed incontrando suggestive luminarie e bancarelle di prodotti tra cui spiccano quelli tipici locali. La festa in passato è stata oggetto di Rievocazione storica in costume d’epoca per ricordare la donazione delle reliquie dei santi ai principi Filomarino. Attraverso un ricchissimo programma dei festeggiamenti ogni anno si alternano sempre i momenti religiosi e quelli civili, che non possono non riguardare giochi, musica, esibizioni canore e per concludere i fuochi pirotecnici.
Ritenendo che nella società non ci si può limitare ad un approccio essenzialmente storico-sociale, credo sia necessario osservare la realtà nella sua complessità, che racchiude una serie di discipline epistemologiche interconnesse, acquisendo una visione della vita che tenga conto di una molteplicità di variabili da considerare. Fermandosi all’analisi compartimentalizzata, riduzionistica, non si ha una vera conoscenza ma solo notizie parziali.
Oggi, la novità è rappresentata dalla voglia delle persone che non utilizzano il territorio solo per il divertimento ma anche per vivere i luoghi, per conoscere le bellezze paesaggistiche, storico-architettoniche, la cultura e le iniziative che si svolgono anche durante l’anno. E gli eventi festivi e aggregativi sono proprio quegli elementi che attirano l’interesse delle persone e le spingono a scoprire o riscoprire il passato, un mondo contadino e popolare che ha fondato la cultura della terra cilentana.
Se l’identità culturale è una grande risorsa del territorio è necessario rivolgersi ad una programmazione, attraverso la valorizzazione del turismo sostenibile che si concretizza con l’attivazione di processi di comunicazione, di formazione, di divulgazione e di educazione scolastica. Solo essi possono far sviluppare un atteggiamento di rispetto del territorio, da intendere non come consumo ma come meditazione, contemplazione, tentativo di riguadagnare il rapporto con la natura.
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