A Narni, il Festival della Sociologia 2023
“Mi domando se dopotutto la persona non debba pensarsi come proprietaria di un magazzino di maschere, maschere (…) da indossare per gli altri, sapendo che questo è nient’altro che un modo per rispettarli, e, negli incontri che si possono presentare, essere per loro, non per se stessi?”.
È la citazione di Alessandro Pizzorno, contenuta nella brochure del Festival della Sociologia 2023, VIII edizione, che si svolgerà a Narni il 6, 7 e 8 ottobre, dal titolo: “La maschera, il volto e la costruzione dell’altro: nuovi scenari nella società italiana”.
È un evento organizzato dall’Associazione per il Festival della Sociologia, fondata per iniziativa del CRISU (Centro di Ricerca in Sicurezza Umana), afferente al Dipartimento di Filosofia, Scienze Umane, Sociali e della Formazione dell’Università degli Studi di Perugia e del Comune di Narni. Lo scopo di questa Associazione è di rendere la sociologia una scienza esplicativa che si impegna attraverso l’indagine scientifica a dar conto della realtà sociale anche smascherandone il velo mistico e i luoghi comuni delle apparenze (la maschera) per arrivare a poterne svelare il nocciolo vero e duro (il volto).
Intorno alla dinamica del rapporto tra maschera e volto, diversi sociologi si occuperanno della vita quotidiana e delle forme di rappresentazione, per offrire al pubblico i contributi su queste teorie da parte delle scienze sociali. Ci saranno dibattiti, lezioni magistrali, presentazioni di libri, laboratori, occasioni di confronto tra la sociologia e le altre discipline, ma anche momenti dedicati all’arte, al cinema e alla fotografia, in spazi aperti, pubblici, partecipati.
Cito solo alcuni nomi che interverranno in queste tre giornate: Paolo De Nardis, Alessandro Cavalli, Mario Morcellini, Enrico Giovannini, Costantino Cipolla, Ana Maria Marcos Del Cano, Pierpaolo Donati, Raffaele Federici. Tra gli eventi: il ricordo di Maria Caterina Federici, che ha voluto individuare nel Festival un impegno concreto nell’ambito della sociologia italiana, che deve diventare “luogo che fa legame”, e può consolidarsi nelle capacità di relazione tra le persone e di scambi di idee. Inoltre, ci sarà un dibattito sul lascito scientifico di Franco Crespi con Alessandro Cavalli, Carmen Leccardi, Paolo Jedlowski, Roberto Segatori. Arricchiranno l’evento anche digressioni sui libri di: Max Weber, Norbert Elias, Alessandro Pizzorno, Pier Paolo Pasolini.
Le maschere quotidiane e le interazioni sociali saranno ricondotte entro alcune tematiche di stretta attualità: il territorio, la città e gli attori della vita sociale, la crisi globale e la società sostenibile, l’intelligenza umana e quella artificiale, l’informazione e i media, il welfare, il mondo del lavoro, la giustizia, le pari opportunità, il genere, le uguaglianze e le disuguaglianze, la cura, anziani ed adolescenti, le persone e la società, il mondo delle professioni sanitarie.
Dunque, tante maschere quante sono le differenti e complesse situazioni di vita in cui si instaurano interazioni tra gli esseri umani.
Il sociologo Erving Goffman ha sostenuto che la vita sociale prende forma e si organizza attraverso le azioni quotidiane, compiute dagli individui in interazione tra di loro, e sono il più delle volte routinarie. Esse si rifanno ad un modello drammaturgico e sono simili ad azioni teatrali da mettere in scena: nella vita sociale il comportamento dell’individuo dipende dal ruolo che sta interpretando in un dato momento. Quando un individuo interpreta una parte, di fatto chiede ai suoi interlocutori di credere che “il personaggio che essi vedono possegga effettivamente quegli attributi che sembra possedere, che la sua attività avrà le conseguenze che implicitamente afferma di avere e che, in generale, le cose sono quali esse appaiono”. Ciò perché nel mondo ognuno recita una parte e i personaggi interpretati si adattano al tempo e allo spazio che vivono e mettono in scena rituali quotidiani, anche attraverso modifiche della stessa persona indossando una maschera che non le è propria. Il suo significato è comunque strettamente legato ai valori culturali dei singoli contesti comunitari che l’adottano.
Riconduce alla maschera allegorica anche il titolo del volume di Alessandro Pizzorno: “La maschera dei classici”, in cui si riprendono i lavori del sociologo che ri-legge e ri-attualizza alcuni maestri del pensiero (Hobbes, Tocqueville, Durkheim, Pareto, Gramsci, Dahrendorf, Bourdieu). Gian Primo Cella nello scritto: “La lente e lo scalpello”, presentazione del volume di Pizzorno, riporta che nel caso dei classici la maschera “nasconde” le ambiguità e “rivela” gli aspetti teorici. Ma soprattutto, e qui il contributo del Festivale della Sociologia 2023, rivela il riconoscimento da parte degli altri, il rapporto dell’uomo con altri uomini.
La maschera sembra proteggere dalle incursioni interpretative ingiustificate: ecco perché Pizzorno segue una “lettura ri-teorizzante” fondata sulla “esperienza intellettuale e conoscitiva”. Del resto, i classici sono autori che non si prestano a “letture comprensive, esaurienti, definitive”: lo studio della complessità della vita quotidiana non è mai dato ma sempre in evoluzione.
La maschera allora rappresenta il senso dell’allegoria, in cui “l’oggetto della conoscenza non è mai separato dalle trasformazioni (teoriche e biografiche) del soggetto stesso della conoscenza”, un doppio livello che contiene ambiguità o meglio ambivalenza, che comporta uno scavo profondo per una ri-teorizzazione della conoscenza e dell’interpretazione.
Per ricondurre la maschera alla sfera individuale, l’essere umano attua in genere comportamenti oppositivi, rapporti duali, ovvero ciò che è ma anche ciò che desidera apparire. Se Gustav Jung definiva “ombra” la parte oscura, non necessariamente negativa, anzi carica di energie creative, incontrare la maschera è come incontrare l’ombra, lo spazio della creazione che permette di riflettere, di apprendere, di conoscere l’altro e mediare le proprie diversità, come parti opposte della stessa identità.
Non è questo però il consesso in cui verificare la dimensione psicologica o quella più propriamente antropologica della maschera, ma si tratta piuttosto di connetterla alla rappresentazione del teatro quotidiano di cui parla Goffman. L’aspetto teatrale e scenografico delle maschere è molto frequente nelle più diverse culture ed esprime la fondamentale duplicità e contraddittorietà di numerose situazioni della vita umana, nelle quali interviene una dimensione diversa rispetto alla comune esperienza quotidiana.
Se la persona è la maschera, la facciata pubblica, che rispetta le convenzioni sociali, l’individuo ha comunque bisogno di differenziarsi indossando la maschera e, nelle interazioni con l’altro, costruire o ri-costruire meglio se stesso.
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