Il sociologo statunitense, che non ha avuto molta fortuna in Italia, ancora può offrire a mio avviso importanti contributi ai sociologi e alla sociologia per studiare la società e la vita quotidiana.
Alvin W. Gouldner scrisse alla metà degli anni settanta del novecento il saggio “La sociologia e la vita quotidiana” (1), che credo valga la pena approfondire. In esso si occupava del ruolo del sociologo e della sociologia con un orientamento che si rifaceva alla sociologia riflessiva, per elaborare una teoria della vita quotidiana, superando il “visto” ed indirizzandosi al “non riconosciuto”. È il riferimento esplicito alla capacità degli attori sociali di prendere le distanze da se stessi e sottoporre ad autocritica i fondamenti del loro agire.
La sociologia riflessiva mi conduce a Pierre Bourdieu (2), che individuava il rapporto tra la teoria sociale e la prassi di vita per riflettere sulle modalità pratiche della ricerca sociologica. È da privilegiare il rapporto tra il ricercatore e l’oggetto di indagine, che si concretizza sul piano delle condizioni epistemologiche e socio-culturali, senza trascurare le disposizioni pratiche che orientano il lavoro del sociologo.
Sul concetto di riflessività si è concentrato anche il lavoro di Pierpaolo Donati (3), che ha inteso la dimensione della relazione sociale, elaborando tre forme di riflessività: a) conversazione interiore, personale; b) proprietà delle reti di relazioni sociali, sociale; c) sistemi sociali, riflettività. Si tratta di quella riflessività relazionale che consiste nel fatto che “i soggetti si orientano alla realtà che emerge dalle loro interazioni”, permettendo una sorta di “ritorno” su loro stessi “influenzandone l’agire individuale reciproco”. (4) Donati offre una definizione della riflessività relazionale, orientata a ciò che emerge in una relazione sociale, “e come tale è capace di retroagire sul soggetto agente/attore rendendolo consapevole che quello che emerge dalle relazioni/interazioni con gli altri soggetti è una realtà che sta fra di essi e non è riconducibile alla somma o aggregazione dei loro singoli contributi”. (5)
Il compito della sociologia è di sviluppare molteplici elaborazioni ed interpretazioni, ponendo il problema del reciproco confronto. Ma ancora non basta: la comunità di sociologi deve porre in essere una sociologia riflessiva, che non si sviluppi in una società omologata, ma si confronti con una realtà multiforme di individui “la cui novità risiede nel rapporto con la sociologia e che è capace di esaltare il processo di confronto ed elaborazione lungo la verifica dei limiti della teoria”. (6)
Del resto, negli ultimi decenni, nel dibattito sulle scienze sociali e sulla sociologia in particolare, ci sono stati alcuni radicali mutamenti di prospettiva, legati ai riferimenti: la teoria dei sistemi, la fenomenologia, l’approccio ermeneutico. Si sono così affermati alcuni paradigmi che hanno trasformato i fondamenti epistemologici, operando sulla nozione di interdipendenza, relazione, complessità, coinvolgendo strutture sociali e attori, che assumono significato attraverso la costruzione sociale.
Nel saggio curato da Rauty (7), Gouldner compie una elaborazione concettuale per sottolineare l’importanza della teoria per la comprensione del mondo sociale. Per fare ciò, occorre partire dalla critica alla teoria generale mettendo in discussione ogni conoscenza ottenuta. Diventa fondamentale il ruolo degli intellettuali che perseguono il dubbio sistematico e il senso critico, per superare le forme dogmatiche che hanno pervaso le società tradizionali: è la cultura del discorso critico la modalità ideologica della classe degli intellettuali, portatrice di emancipazione e di innovazione, che opera nella complessità. (8)
Nel volume: “La crisi della sociologia” (9), Gouldner aveva affermato che la conoscenza della realtà e dell’uomo stesso è un compito della nostra stessa umanità ed un suo completamento. È un superamento delle definizioni convenzionali della realtà sociale: descrivere la realtà ma anche criticarla perché affidandosi solo gli aspetti dati si corre il rischio della crisi dei soggetti che vengono oggettivati. (10) Ed allora, la teoria riflessiva deve aiutare la gente ad arrivare a ciò di cui la società tace. In: “La crisi della sociologia”, Gouldner scriveva che il suo sociologo riflessivo deve approfondire la comprensione dei sì sociologici e della loro posizione nel mondo, per avere un tipo di sociologi capaci di “comprendere meglio gli altri uomini e i loro mondi sociali”. (11) Ed ancora: il compito del sociologo riflessivo è quello di tentare di focalizzare il significato della vita quotidiana come base della teoria. (12)
La vita quotidiana (in Gouldner VQ) cambia gli assunti teorici, attivando un processo conoscitivo e modificando gli schemi culturali che fanno parte delle radici contrattuali di uomini e donne. Si tratta di una osservazione problematica per attivare un processo conoscitivo che non significa approdare, bensì aprirsi per modificare la propria consapevolezza. La VQ è di fatto ferma e cerca di autoregolarsi e mantenere le proprie regole; ma ciò non è possibile perché la società nelle sue molteplici espressioni tende a creare meraviglie e, dunque, a modificarsi con le nuove tecnologie che mettono in discussione una morale pubblica eternamente fondata.
Gouldner chiama in causa la dimensione interna della vita quotidiana.
Seguo tre asserzioni che caratterizzano il saggio: 1) la VQ è fondata su una serie di modelli e consuetudini della dinamica sociale, visti come un ordine costituito, come il derivato e il prodotto del lavoro umano; 2) non esistono modelli sociali predeterminati, ma occorre occuparsi dei fattori “coinvolti nel processo della loro individuazione, realizzazione e costruzione”; 3) l’ultimo aspetto è il tentativo di de-reificare il concetto reificato di cultura, che implica ereditarietà, trasmissione, convenzione. (13)
È la critica ai fattori tradizionali della cultura comunitaria, quotidiana, occidentale.
Il punto di partenza è il rapporto con la VQ intesa come qualcosa di fatuo, banale, egoistico. Un tempo erano più importanti i temi di Dio, l’eternità, le grandi speculazioni metafisiche, a scapito della dimensione quotidiana: una sorta di approccio calato sulla vita quotidiana, che è noia, miseria, alienazione.
In sostanza, la VQ è legata a forme tradizionalmente imposte. Il segno evidente è il ruolo assegnato alle donne come soggetto di cura (riproduzione, nutrimento, riposo). Presuppone una assenza di consapevolezza da parte dei partecipanti, quella che Gouldner chiama “vita vista, ma non riconosciuta”, svuotata della dimensione sacrale e divina. (14)
In sostanza, riprendendo Harold Garfinkel, la VQ è legata a regole comuni e retroterra culturali condivisi, che la consolidano e la strutturano come qualcosa di naturale e normale. Poi intervengono i percorsi della storia che modificano il consolidato e permettono la distinzione dalla tradizione, facendo emergere nuove modalità.
La storia porta nuove attenzioni: il non familiare diventa visibile e la disgregazione della vecchia VQ accentua la visibilità non solo del nuovo ma del vecchio. (15) È vero che gli uomini comuni, i non teorici, sono inconsapevoli della loro specifica vita quotidiana, ma si deve far emergere la consapevolezza che la teoria ha basi nella VQ, ed occorre liberarla dal destino del luogo comune per portarla a focalizzare il non riconosciuto.
Il compito del sociologo è di liberare la realtà soggiogata ed emancipare la realtà sottoprivilegiata: è un sociologo del “già conosciuto”, per rendere evidente il “non rilevato”, recuperando il sociale e non affidandosi solo al convenzionale. La citazione di Gouldner è: “i sociologi e gli oggetti del loro studio costituiscono delle comunità interagenti, competitive ed epistemologiche”. (16)
Recuperare dunque la natura della VQ ed aiutare l’oggetto a divenire meno oggetto e più soggetto, studiando (come sociologia) la dimensione comune dell’esperienza che ciascuno compie e delle cose condivise e comuni, lavorando in comune alla costruzione per il cambiamento. (17)
Specificando meglio, la VQ è fondata in modo forte, composta di cose viste e non riconosciute; è strutturata da cose da completare ma non è una costruzione continua o un lavoro infinito. La società è una cosa/oggetto, in cui gli oggetti sono punti di orientamento e costituiscono i riferimenti che rafforzano il senso di sicurezza. Essi stabilizzano le regioni dell’esistenza e strutturano il mondo, e se manca la dimensione oggettiva c’è disorientamento e anomia. Ma operando solo sugli oggetti si limita il movimento per raggiungere la stessa sicurezza: tutto ciò comporta anche frustrazione perché, oltre alle protezioni, si sviluppano anche proibizioni. Il mondo oggettivo è un “non-noi” che da elemento di sicurezza diventa un recinto, una prigione, un’àncora e un freno. (18)
Sostiene Gouldner che già affermare che qualcosa è reale e oggettivo significa problematizzare quella stessa realtà oggettiva: affermare è anche negare, mettere in discussione, avere la consapevolezza del problema, gettare un’ombra e un dubbio sulla stessa realtà. (19) Il superamento dell’impasse, ovvero evitare l’ambiguità dell’affermazione dell’oggettivazione, si attua oggettivisticamente, nascondendo il soggetto che parla nella forma del linguaggio impiegato, celando che qualche soggetto stia discutendo dell’oggetto e che l’oggetto sia “un oggetto per qualcuno”. Tutto ciò, presentando “gli oggetti nel linguaggio come se esistessero a prescindere da ogni linguaggio, costituendo così un mondo senza soggetti che parlano”. (20) Parlare oggettivisticamente significa costruire “una visione oggettiva dei mondi sociali”. (21)
Questo punto è particolarmente importante. La costruzione del dialogo tra soggetti significa indirizzarlo a tante persone che condividono una particolare “cultura di regole”, per valutare la verità delle loro affermazioni. È un fare e rifare continuo all’interno di un rapporto reciproco. L’oggettivismo è un’ideologia che permette alle comunità scientifiche di “defocalizzare” il loro linguaggio ed indirizzarlo “all’interno del carattere complessivo della loro comunità e non solo nella realtà sociale oggettiva di cui si parla”. Si determina lo spostamento dell’attenzione, permettendo di parlare “dei loro bisogni più che del carattere degli oggetti cui il loro linguaggio si riferisce”. (22)
L’obiettivo della sociologia è di far sentire gli uomini nel mondo come a casa: per fare questo è importante però che essi ci vivano in quella casa, popolandola piuttosto che reificandola: occorre popolare il mondo di persone preparate a trattarlo in termini ragionevoli, per attraversare catastrofi, conflitti, guerre, povertà. La riflessività deve dunque ancorare l’elaborazione teorica all’analisi della vita quotidiana, da non intendere nella sua dimensione di marginalità oggettiva.
Questo mi pare l’insegnamento di Alvin W. Gouldner.
Note:
- A. W. Gouldner, “La sociologia e la vita quotidiana”, Armando, 2008, Ia edizione 1997.
- P. Bourdieu, “Cose dette. Verso una sociologia riflessiva”, Orthotes, 2013.
- P. Donati, “Sociologia della riflessività”, Il Mulino, 2010. Donati in precedenza aveva affrontato la riflessività come paradigma relazionale. Cfr.: P. Donati, “Il paradigma relazionale nelle scienze sociali: le prospettive sociologiche”, Il Mulino, 2006; P. Donati, I. Colozzi, “Teoria relazionale della società”, FrancoAngeli, 1991.
- P. Donati, “Sociologia della riflessività”, cit., 31.
- Ivi,
- Prefazione di Raffaele Rauty, “La sociologia e la vita quotidiana”, cit., 16.
- A. W. Gouldner, “La sociologia e la vita quotidiana”, cit.
- A. W. Gouldner, “Il futuro degli intellettuali”, Mimesis, 1979.
- A. W. Gouldner, “La crisi della sociologia”, Il Mulino, 1972, or. 1970.
- A. W. Gouldner, “Per la sociologia”, Liguori, 1977, or. 1973.
- A. W. Gouldner, “La crisi della sociologia”, cit., 707.
- A. W. Gouldner, “La sociologia e la vita quotidiana”, cit., 45.
- Ivi, 31.
- Ivi, 41.
- Ivi, 46.
- Ivi, 49.
- Ivi, 52.
- Ivi, 57-60.
- Ivi, 60.
- Ivi, 61.
- Ivi, 61.
- Ivi, 62.
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