Centrale in “Empatia ed empatismo nella relazione di cura” di Luigi Leuzzi è un modo nuovo di intendere la relazione terapeuta/paziente nella prassi medica.
La cura si rivolge agli aspetti empatici e privilegia, come nei precedenti lavori dell’autore, anche in ambiti differenti, una continua interconnessione tra idee e concetti e proiezioni ed esempi tratti dalla prassi operativa con un approccio critico all’ambito della Salute Mentale.
Si tratta cioè di superare le rigidità attuali che non considerano:
- a) l’individuo in rapporto con l’altro da sé;
- b) l’istituzione nella sua dimensione di apertura;
- c) l’aspetto di complessità, ovvero tutti gli attori coinvolti in maniera pluridirezionale;
- d) la relazione tra leadership e ruolo dei collaboratori.
L’esperienza psichiatrica e psicoterapeutica non trascura incursioni “che scaturiscono da una visione psicoanalitica di tipo lacaniano”. Questa considerazione conduce Leuzzi a maturare una idea che lo conduce a tracciare l’importanza del fattore empatico. Ulteriore elemento, presente nella parte conclusiva del volume, è la sperimentazione di “diversi stili di management e direzione” che fungono da indicazione per affrontare le disfunzioni di questo sistema istituzionale.
Sull’empatia, la definizione dell’autore riguarda “l’immedesimazione nell’altro da sé per scoprire l’intrapsichico”. Si tratta di porsi in maniera immediata nello stato d’animo o nella situazione di un’altra persona: dal greco “en-pathos” (sentire dentro), mettersi al posto degli altri per comprenderli meglio.
Leuzzi per riconoscere l’alterità si affida ad Heidegger ed affronta temi lacaniani, ma non solo: ermeneutica e fenomenologia ed intreccio con l’ambito diciamo così “psicologico” e “psichico”, con al centro il concetto di empatia. Interessante è la trattazione del rapporto tra io e noi (noità), e tra essi e il mondo esterno. Husserl e Heidegger consentono di immergersi in quello che l’autore definisce: circolo ermeneutico-empatico, in cui l’interpretazione gadameriana si fonde con l’empatia e l’atmosfera emozionale (Goleman), per consentire di affrontare nel modo migliore l’organizzazione sanitaria.
Un altro spunto è l’idea che l’alterità non sia solo scoperta dell’altro, ma anche occasione per trasformare se stessi. E questa messa in discussione del ruolo del terapeuta insieme a quello del paziente non è poi tanto scontata. La prassi medica si rivolge al particolare più che all’insieme dell’organismo, dando priorità ai dati statistici e agli strumenti diagnostici e di laboratorio, senza entrare in contatto con i corpi.
Il capitolo sull’Empatia e la relazione di cura, si occupa della funzione di relazione con l’altro e di interscambio: non è il terapeuta soggetto del sapere e il paziente oggetto di indagine. È il superamento del rapporto up/down per dare importanza ad una “intenzionalità empatica e paritetica”, pur mantenendo una differenziazione dei ruoli ma con la volontà di affrontare le distanze attraverso lo scambio di “vissuti e stati emozionali”. Sostiene l’autore che occorre condividere i reciproci vissuti: è questa una posizione che connette i reciproci interscambi attraverso una fase interpretativa; è un modo di trascendere i limiti personali attraverso un confronto e un intervento dialogico.
L’indicazione è di non perseguire solo un intervento cognitivista, che comporterebbe una conoscenza parcellizzata con distanze in termini di confronto con l’altro da sé. Del resto, la stessa psicoterapia è volta alla modifica del proprio punto di vista, e l’approccio empatico attraversa le varie epistemologie che interessano le prassi cliniche.
Un capitolo importante riguarda: L’empatismo e l’organizzazione orientata verso l’altro da sé. Le attitudini empatiche sono essenziali nell’organizzazione di una istituzione ideale, ed allora sono indicate istanze operative con gruppi di discussione per ottimizzare le prestazioni in cui emerge la funzione di leader ideale, un facilitatore che eserciti ed abbia il riconoscimento della sua “mission”. L’organizzazione empatica aggrega il gruppo di lavoro, attraverso relazioni e decisioni partecipate. Si realizza un intervento centrato sulla responsabilità condivisa, attraverso processi adattivi e flessibili per far sviluppare la capacità di permettere l’adattamento di persone e situazioni nell’ambito della stessa interazione.
Goleman presuppone la competenza emotiva che diviene relazione per il riconoscimento delle diversità, e ciò consente di instaurare un clima positivo in una prospettiva di immedesimarsi negli obiettivi comuni, mettendo insieme gli attori coinvolti che consentiranno l’auto-organizzazione dei gruppi e l’aggregazione in sistemi sempre più complessi.
Nella parte riguardante gli stili di leadership e organizzazione, l’autore entra nello specifico del vuoto di leadership che caratterizza l’Unità di Salute mentale. Con grande attenzione analizza gli interventi psicopatologici: personalità ossessive e isteriche, aspetti depressivi e paranoie, fenomeni schizofrenici e comportamenti antisociali.
Gli stili terapeutici attuali producono una leadership che non si connette con le organizzazioni empatiche e relazionali: il modello organizzativo chiuso produce disagio e disfunzioni. La critica della prassi attuale è fondata, soprattutto perché trasforma il dirigente in funzionario amministrativo. Al contrario, l’indicazione dovrebbe essere di privilegiare la criticità di una leadership che si basi sull’utente e sia organizzata per far emergere i servizi del futuro secondo una “dimensione etica”.
Questo volume è un interessante stimolo per trasformare la realtà di cura: l’empatia, che per Leuzzi significa anni di ricerche applicate alle forme relazionali e alle possibilità di sviluppo, diventa lo strumento per modificare una istituzione, quella sanitaria, troppo spessa autoreferenziale e disfunzionale, e sempre meno attenta alle istanze degli utenti e alle esigenze della popolazione.
È una critica importante, un modo di affermare un concetto che l’autore utilizza frequentemente: quello di noità.
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