A Vatolla, Carlo Di Muoio è l’ultimo fuochista, o almeno uno degli ultimi artigiani che si occupano di realizzare i fuochi d’artificio, i fuochi pirotecnici, quei simboli di speranza per un futuro positivo ed espressione delle feste comunitarie.
Carlo è un uomo che considera il suo lavoro la sua vita, e vive in quella che lui chiama la campagna. Utilizzava questa espressione per non far preoccupare la moglie: “Vado in campagna!”, quando in realtà si recava nel luogo dove preparava i fuochi, non tanto per lavorare quanto piuttosto per sistemare le cose, per rilassarsi.
Nella sua vita è stata determinante la moglie, che lo aspettava certamente in apprensione, come quella volta che ha avuto un incidente serio: ventuno giorni in terapia intensiva, tanta morfina per alleviare le sofferenze, due trapianti di pelle. E poi c’è stata la scomparsa, dopo quella dei genitori e di tanti parenti, che lo ha ancora di più fatto rifugiare nel suo mondo, trovando nella figlia un altro punto di riferimento. Prima la sua compagna lo aiutava in tutte le cose della vita che non fossero la realizzazione dei fuochi d’artificio. Quella perdita gli ha causato momenti di sconforto, voleva mollare definitivamente. Eppure i suoi amici e i membri dei “Comitati festa” lo hanno pregato di continuare: “Vuò Cà, a festa ‘a facìmo pe’ te, non puoi mollare!”.
E non ha mollato, rifugiandosi ancora di più nel lavoro e nella sua arte.
Oggi lo troviamo ancora nella sua fabbrica, un luogo di materiali esplosivi, composta da diversi locali e scomparti, ad una distanza di sicurezza notevole, in cui si realizza la produzione di quelli che sono importanti per le persone che attendono quei botti e quei lampi nel cielo. Ciò avviene in occasione delle feste padronali, durante i riti religiosi che consentono di mantenere i legami comunitari. “Mamma mia che bella festa, che bei fuochi!”, si dice in occasione delle manifestazioni.
Gli artigiani dei fuochi d’artificio nascono come tecnici e allargano le competenze al commercio tenendo alto il livello qualitativo e di sicurezza. Si selezionano i prodotti in base alla qualità dei materiali e alla brillantezza degli effetti. Carlo realizza non solo sfere, ma tante figure: ha inventato la medusa, un fuoco che non si trova in giro; è bravo nel colpo scuro di giorno, nella lucciola e tanti altri spari con colori differenti. Ed ancora: la bomba cilindrica con diversi disegni, ed una volta il manto della Madonna, con tonalità di azzurro.
“Noi facciamo il fuoco in laboratorio, poi lo gettiamo in aria e vediamo l’effetto che fa in cielo”, afferma, volendo sottolineare come incide anche l’atmosfera, il vento, le condizioni metereologiche che determinano la bellezza dei disegni. C’è un grande lavoro a monte, ci sono idee e lavoro.
I fuochi d’artificio sono un elemento essenziale per creare atmosfera particolari durante qualsiasi tipo di festa: sono una combinazione unica di sorpresa, divertimento e spettacolo, creando un’esperienza visiva e acustica unica, di buio e luce, di silenzio e rumore improvviso.
In genere sono lanciati da terra in area, sono esplosivi formati da polvere pirica e altri elementi chimici. Si produce un effetto “visivo/sonoro”: luce, rumore, fumo, striscioline, coriandoli, spesso amplificato dall’ambiente, come accade nello spazio antistante ad uno specchio d’acqua o nei pressi di monumenti, rovine, anfiteatri, piazze, vallate o particolari conformazioni naturali. La loro composizione varia a seconda dell’utilizzo: esplosivi di lancio (razzi) e per, inneschi, micce e spolette; esplosivi fulminanti, destinati alla confezione di tutti i fuochi che producono scoppi violenti, accompagnati o da lampi di luce; esplosivi di spaccata, usati per i fuochi che, raggiunta una carica di lancio, debbono rompersi proiettando violentemente una rosa di colori.
La colorazione dei fuochi artificiali è ottenuta aggiungendo alla miscela combustibile: un ossidante e un sale che colorano la fiamma del fuoco. Il rosso si ottiene con lo stronzio, il verde con il bario, il viola con stronzio e rame, il blu con ossicloruro di rame. I colori sono i colori della vita, il rosso, il giallo, il blu, il verde, che rappresentano la natura colorata di un mondo antico.
Il fuoco d’artificio è costituito da un involucro esterno di cartone spesso, con sostanze come sali di bario, potassio, litio, e altri metalli per gli effetti colorati; tra l’involucro e il nucleo dello stesso vi sono tante palline, dette “stelle”. Esse sono corpi solidi che bruciano con fiamma colorata e rilasciano una traccia luminosa. Al centro dell’involucro vi è una carica d’apertura, realizzata con polvere nera o analoga miscela esplodente. La deflagrazione di tale carica è provocata da una spoletta, ossia un elemento a lenta combustione che funge da temporizzatore e si accende all’atto del lancio. Questa deflagrazione fa accendere le stelle e le proietta in cielo, secondo geometrie dipendenti dal modo in cui le stelle sono state assemblate.
Quello di Carlo Di Muoio è un mestiere antico; lui fa parte di tre generazioni di fuochisti, dopo il nonno e il padre. Il primo ha acquisito la licenza di idoneità nel 1927 e il padre nel 1962. Ora non ci sono più figli o altri parenti che erediteranno la sua arte. Non ha voluto neanche coinvolgere persone esterne, ma non perché vuol essere il depositario dell’ultima arte che ancora resiste: forse è la pericolosità del lavoro, forse la mancanza di interesse delle nuove generazioni che non hanno voglia di intraprendere questo mestiere. Per lui, è importante crederci e non vede oggi persone che ci credono.
Carlo dipinge il cielo di tanti colori e forme: i lampi di luce sono intervallati da scoppi, da esplosioni come tuoni. Si vedono in alto strane figure costituite dalle luci che rallegrano e fanno stare bene, che fungono da corollario a quella che è la festa comunitaria, una festa bella ed importante ancora particolarmente sentita dalla popolazione di tanti paesi ma anche di molte città.
Le zone in cui il fuoco pirotecnico resiste sono le nostre, quelle campane, il Cilento dove pare che l’unica realtà sia questa (a Cuccaro c’è solo un uomo di 80 anni che ancora vi si dedica); poi ci sono la Puglia, la Calabria, la Sicilia; al nord i fuochi sono importanti in Liguria.
La fabbrica di Carlo non è un luogo unitario, ma per esigenze di sicurezza è formato da tanti locali situati ad una distanza di almeno venti metri l’uno dall’altro. Ci sono: laboratori, che servono a produrre colori, polvere da sparo, ad assemblare i componenti di quelli che poi saranno i fuochi d’artificio; c’è un deposito finale con il prodotto finito, ma anche un deposito iniziale in cui si vede la maestria di assemblare e mettere insieme gli esplosivi. In dettaglio: il casotto dei colori; quello della polvere; il casotto miscelatore; il deposito dei prodotti finiti; il deposito dei prodotti non detonanti, i semi lavorati; l’essiccatoio.
È questa una attività artigianale legata all’arte, alla creazione di un artifizio: la professione del fuochista è prodotta dalla manualità e dall’intelligenza dell’uomo, che oggi è poco attrattiva anche perché per svolgerla bisogna essere in simbiosi con l’oggetto da realizzare.
Con Carlo ci sono alcuni operai (oggi tre, al tempo di suo padre erano in otto o nove, c’erano anche gli zii), anche se lui sovrintende il prodotto finito. È pericoloso produrre un fuoco d’artificio, soprattutto perché in passato ci sono state esplosioni, incidenti sul lavoro. L’errore umano e la disattenzione possono provocare l’imprevisto e la tragedia, perché c’è sempre un qualcosa che gli uomini non riescono a prevedere, per cui occorre prestare la massima attenzione.
La sua fabbrica prima si trovava a Mercato Cilento; dal 1972 è a Vatolla. Per una manifestazione occorrono almeno 300 chili di esplosivo di varie tipologie. C’è anche un mercato più piccolo, quello di privati che intendono festeggiare una ricorrenza, che utilizzano cassette prodotte in Cina, dove hanno avuto origine i fuochi d’artificio. In Italia, che con Spagna e Malta è uno dei Paesi più attenti a realizzare prodotti di qualità ed eccellenza, i costi sono quattro volte più alti di quelli cinesi, che vendono ai magazzini al dettaglio. I fuochi venduti ai privati necessitano di una distanza di almeno 40 metri, mentre in occasione delle feste comunitarie la distanza non può essere inferiore ai 200 metri.
Carlo: “Ho sparato a Parete nel casertano. Eravamo quattro ditte di fuochi pirotecnici, una dopo l’altra, la tradizione è sentita. I Comitati delle feste hanno competenza nel nostro settore. Ho fatto fuochi durante le feste con 100 mila persone”.
Sostiene: “Oggi il più giovane di noi ha più di 40 anni. È vero che mio nonno a 85 anni stava ancora qui, ma oggi non c’è ricambio, non ci sono i giovani”. Il padre lo ha portato per la prima volta con lui e si è appassionato: “Non mi sono mai fatto un bagno, perché dovevo lavorare. Ti fai fottere dall’arte!”.
Occorre sempre controllare, sistemare un prodotto; i materiali devono poi essere caricati e trasportati nei vari paesi. Molti si rivolgono a lui, ma non sempre riesce a soddisfare tutte le richieste che provengono da molti luoghi: Sicilia, Puglia, napoletano.
Adesso diventa molto più difficile, ha sulle spalle l’intera responsabilità e deve soprattutto concentrarsi cercando di realizzare quelle che le sue mani e la sua intelligenza riescono a produrre. Insomma, si cimenta inventando un colore diverso, una figura, una rappresentazione.
Carlo: “Prima andavo in giro per trovare il lavoro e fare i sopralluoghi. Ti chiamavano e facevi il manager. Ma ero sempre legato al mio lavoro, preferivo stare in laboratorio. Oggi finisce la tradizione di famiglia, anche se vi dico che se avessi un figlio non lo porterei a fare questo mestiere. Certo, un giovane deve volerlo, crederci, essere del tutto convinto”.
Con la scomparsa di questi maestri cambierà l’intero lavoro di realizzazione di fuochi pirotecnici. Nel napoletano ci sono ditte importanti e per continuare si devono pensare fabbriche del tutto diverse rispetto a quella realizzata dalla famiglia Di Muoio.
Occorrerebbe un ricambio generazionale; ci vorrebbero interventi delle istituzioni che si occupassero di questa come di altre attività artigianali, incentivandole. Far sì che persone come Carlo siano punti di riferimento per insegnare il mestiere, trasmettere i loro saperi, far conoscere quali sono le accortezze da seguire nell’assemblare le cose, realizzare varie tonalità di colori, inserire la parte esplosiva. Come, infine, produrre un involucro con detonatore.
Potrebbe trasmettere ai giovani, insegnare, formare, in quanto maestro depositario di un’arte che rischia di scomparire.
È stato definito da un suo ammiratore calabrese: “Il maestro che dipinge i cieli”, e credo che mai definizione sia più appropriata. Ha sottolineato il sacrificio, la dedizione, la passione, per immortalare quei momenti, quegli attimi che aprono l’animo. Infatti, come accade per il pittore tracciare sulla tela la bellezza e rappresentare la sua arte, così avviene per questi artisti che disegnano forme e scenari e rendono molto più partecipata una occasione festiva.
Osservare i fuochi pirotecnici ed apprezzarne la bellezza significa fare un tuffo nelle emozioni e riportare alla memoria i legami antichi di una comunità. Questi spettacoli, con le loro esplosioni di luce e colore, rappresentano un’importante connessione tra il passato e il presente, e creano momenti di gioia, meraviglia e celebrazione: sono una forma d’arte, un legame con la storia e la cultura.
Ricevo da Giuseppe Abate …
Dedicato all’antica e affascinante arte del fuochista l’ultimo lavoro di Pasquale Martucci sulle tradizioni e arti cilentane. Protagonista della ricerca è il noto fuochista di Vatolla, Carlo Di Muoio, che in questa intervista svela i retroscena di un mestiere conteso tra arte e scienza, tra soddisfazione e pericolosità, tra gioie e dolore … tra passato e futuro.
Ringrazio Giuseppe Abate per aver rilevato l’importanza di mestieri che rischiano di scomparire.