Durante la Notte di San Giovanni in molte comunità c’è ancora l’abitudine, tipica delle società tradizionali legate al ciclo della natura, di accendere falò e bruciare legna per raccogliersi intorno al fuoco rituale.
Il fuoco è di fatto il sole, il suo sostituto sulla terra, che riconduce a fecondità, purificazione, illuminazione. Il suo negativo, la distruzione, il divorare, bruciare è però anche sinonimo di rigenerazione. Inoltre, i fuochi di San Giovanni sono tradizionalmente legati alla fecondità perché aprono e annunciano il periodo della mietitura.
Il fuoco è inteso come risveglio della natura, la propiziazione e l’evocazione della luce che, rassicurando gli uomini, dà origine alla ritualità che allontana le potenze malefiche.
In questo periodo, il fuoco è inteso nella sua funzione purificatrice, propria dei rituali del ciclo agrario: è la fase di passaggio per consentire di superare la precarietà. Quel fuoco acceso è la stessa trasposizione dei fuochi, che si elevano in altri periodi dell’anno e rappresentano il sole nei solstizi di inverno e d’estate, il passaggio dalla morte alla vita, con significati di protezione.
Nelle società arcaiche esposte al rischio esistenziale, quando erano tutti inermi nel fronteggiare la natura, quando per impetrare la grazia del raccolto, delle piogge, si ricorreva a qualche santo, quando l’eccesso o la mancanza di precipitazioni erano ugualmente pregiudizievoli per una “buona annata”, ebbene allora si ricorreva a pratiche che servivano a rasserenare l’esistenza comunitaria.
Se i rituali iniziano nel periodo natalizio, con la “lenta rincorsa verso la pienezza di luce nella sommità dei cieli”, in occasione della festa di San Giovanni, il “Natale d’estate”, con fuochi analoghi si richiama il sole che inizia il lento declinare. Del resto, dalla tradizione orale si apprende l’uso di spargere le ceneri di quei fuochi nei campi quasi a riscaldarne il seme: quel fuoco magico serve ad allontanare il male e propiziare la fertilità, la fecondità (C. Pont-Humbert, Dizionario dei simboli, dei riti e delle credenze, Editori Riuniti, 1997, pp. 105-107).
Ignazio E. Buttitta, ne: Il fuoco. Simbolismo e pratiche rituali (Sellerio, 2002), rileva il simbolismo del fuoco, il suo significato culturale e la sua presenza rituale. Si dice che l’uomo, come animale simbolico e culturale, è nato col fuoco: infatti è proprio la scoperta del fuoco che rappresenta la prima espressione del rapporto tra uomo e natura; in secondo luogo, nessun altro elemento permane altrettanto vitale nelle manifestazioni folkloriche di tutti i tempi fino ai nostri e rappresenta un universo magico nelle diverse culture.
Certo la sopravvivenza di forme, anche arcaiche, di ritualità si spiega perché essa è fattore indispensabile di identità, espressioni del patrimonio storico e culturale di ogni comunità. Poi c’è il significato della rigenerazione, la purificazione, l’origine, la mediazione tra terrestre e celeste, la fecondazione, la divinità, e così via.
Il termine “fuoco” deriva dal latino focus, che indicava in origine il focolare e a mano a mano sostituì, specie nell’ambito popolare, il termine ignis che possedeva il vero significato di fuoco. Secondo le ricostruzioni linguistiche sembra sia collegato al verbo latino foveo e al greco phṑs, ossia luce.
Il fuoco, pur così familiare, ci appare inafferrabile: questo perché esso non è costituito da altro che luce e calore sprigionati durante la combustione. È così vitale, potente e misterioso da essere entrato nei miti e nei rituali religiosi di tutte le popolazioni.
Per la sua potenza e la sua capacità trasformatrice è stato associato a varie divinità nei miti e nelle credenze di molti popoli. Secondo la mitologia greca gli uomini non conoscevano il fuoco, finché il semidio Prometeo non lo donò loro. Con il fuoco a disposizione gli uomini divennero più potenti, più liberi e più capaci; gli dei furono scontenti di questa indipendenza e punirono Prometeo incatenandolo ad una montagna mentre un’aquila gli divorava il fegato.
Gli antichi greci distinsero inoltre la forza distruttiva del fuoco (aidelon) generalmente associata al dio Ade, dalle sue potenzialità creative, associate a Efesto. Anche la dea Ecate aveva relazioni col fuoco: era chiamata in modi diversi: Pyrphoros (portatrice di fuoco), Pyripnon (soffiatrice di fuoco), Daidoukhos (tedofora) e Phosphoros (portatrice di luce).
La sacralità del fuoco era invece impersonata da Hestia, corrispettiva della romana Vesta. I romani adoravano il fuoco come una divinità familiare raffigurato da una vestale presso un altare sopra il quale ardeva il fuoco, oppure una donna che teneva un vaso pieno di fuoco. Fu Numa Pompilio ad istituire il culto del fuoco, dedicato al “focolare” familiare. Le Vestali dovevano alimentare continuamente la fiamma nel tempio circolare senza lasciare mai che il fuoco si spegnesse, pagando con la loro vita se ciò fosse accaduto.
Anche nella religione cattolica il fuoco è un simbolo importante. L’inferno è rappresentato come un luogo in cui ardono fiamme eterne per punire i peccatori. Ma esso è anche sacro: lo Spirito Santo è rappresentato da un fuoco e nelle chiese si accendono candele per rendere omaggio a Dio. Nel simbolo del fuoco, Dio si rivela come il Santo, il Giudice, colui che illumina, purifica e trasforma il cuore dell’uomo: nell’esperienza cristiana esso è collegato all’azione dello Spirito, che agisce nella Chiesa, brucia la paura e accende l’amore.
Per le religioni indiane il fuoco è il simbolo del dio del sole e del dio che governa i mutamenti. Per i Cinesi rappresenta il colore rosso, il cuore, l’estate e le passioni umane.
L’importanza che il fuoco rivestiva nelle civiltà antiche e arcaiche pare la spiegazione più ragionevole per l’enorme diffusione di miti che ne riguardano l’origine. Le problematiche dovute alla sua conservazione, la sua capacità di prodursi spontaneamente e l’apparente vita propria di cui è dotato possono altresì dare ragione della sua collocazione nell’ambito del sacro e dei conseguenti fenomeni di culto del fuoco. Il fuoco è un elemento chiave in molti riti di passaggio, celebrazioni o feste che marcano il momento di passaggio dell’individuo, della comunità umana o del mondo da una condizione all’altra. Il fuoco è stato inoltre uno dei quattro elementi nella filosofia greca.
In tutto il Meridione, l’uso popolare di bruciare grosse cataste di tronchi d’albero ammucchiati nelle piazzette è il nuovo modo di vivere una cultura che, rifacendosi alle origini, ripropone le vecchie abitudini e consuetudini. I riti conosciuti come festa dei fuochi raccolgono consuetudini di comunità che usano accendere i falò come segno propiziatorio, volti a ingraziarsi una natura ostile, nei momenti più delicati di passaggio tra le diverse fasi dei cicli naturali. Il significato dell’accensione dei falò, utilizzando la legna secca, è il segno del vecchio che va bruciato per sostituirlo con il nuovo.
Il fuoco scalda, illumina e purifica, il fuoco distrugge, incenerisce, devasta. In noi c’è bisogno di ambedue queste azioni: distruggere quello che di vecchio c’è in noi, incenerire le paure, le debolezze, la nostra tiepidezza nell’annuncio, i nostri dubbi, per poi purificare, scaldare e illuminare la nostra esistenza.
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