Friedrich Wilhelm Nietzsche in: “La nascita della tragedia dallo spirito della musica” (1872), l’opera di rilettura della civiltà greca attraverso l’apollineo e il dionisiaco, scriveva della continua lotta e riconciliazione nella società attraverso lo sviluppo dell’arte. È l’arte della musica, ma estendendo l’arte in genere che opera per il cambiamento, con impulsi diversi tra organizzazione e il suo opposto (termine mio), con un approccio metafisico legato alla volontà, al sogno e all’ebbrezza che conduce a Dioniso da introdurre accanto alle tendenze razionali.
Mi limito a questo aspetto del pensiero nietzschiano senza andare alle opere successive, che comportano poi molte distinzioni nel tentativo di voler spiegare il da farsi, per uno studio di una società che va ad evolversi. Ad ogni modo è anche da rilevare la critica a quello che è inteso come il mondo vero, nel senso di “verità”, un mondo indimostrabile, un obbligo, un imperativo che non si può raggiungere ed anche se si raggiunge deve essere sconosciuto (Nietzsche, “Crepuscolo degli idoli”, 1888/1989).
Non è la società fatta solo di uomini che vogliono essere sicuri, felici, normali, che Pasolini definiva “uomo medio”, conformista, qualunquista, razzista. E dico: uomo che intende conservare e che è volto al mantenimento della sua condizione, quella fondata sulla organizzazione, sulla stabilità, su un non senso in quanto ogni forma di conoscenza va sempre modellata con tutto ciò che compone il rapporto: uomo-ambiente-relazioni, e di conseguenza su tutto ciò che nega la stasi e la conservazione.
La critica di Nietzsche al cristianesimo ed al tempo stesso alla tendenza razionale è quella che poi si indirizza ad un’altra speranza, che dovrà incontrare il desiderio dell’oltreumano (Zarathustra). È la critica violenta ai valori della sua società, fondata su conoscenza e scienza, che cerca di comprendere la vita non attraverso la partecipazione ma con concetti, diciamo così imposti (a partire da Socrate), in cui l’esistenza è subordinata ad una ragione che nega Dioniso, il dio dell’eccesso, dell’ebbrezza, della contraddizione, ma anche del dolore. Non è l’ordine imposto dalle istituzioni, ma il superamento che avviene con la tragedia, lo scambio tra Apollo e Dioniso, per far emergere i lati oscuri e penetrare l’immateriale.
Ora è interessante affrontare il concetto di meta-fisica, ciò che va al di là della normalità, del fisico, e che significa proprio “andare oltre”. Ciò che facciamo appartiene ad un mondo comune (diurno) che decide il posto che le cose occupano nel mondo (nello spazio e nel tempo), che Nietzsche individua nel concetto di Schopenhauer: principium individuationis.
È l’esperienza razionale che divide e rende le identità come “distanze”, separazione dagli altri: se lo spazio distingue il tempo mi rende diverso da ciò che ero prima. Il principio di individuazione è dai Greci associato ad Apollo, che modella la vita tra separazione e distanza, protegge i confini contro qualcosa che li minaccia. Dioniso viene dall’Oriente, dopo che il sole è calato: minaccia la continuità, non custodisce i segreti da nascondere per far sì che la società non sia attaccata nei suoi principi. Dioniso è il dio metafisico, del delirio, delle forze barbariche che minacciano i fondamenti identitari: la razionalità cerca di tener segreto ciò che al contrario è multiforme, è notturno.
Nietzsche ama Eraclito che individua nel conflitto il padre di tutte le cose, e dunque il molteplice che è in situazione costante di lotta, il cuore metafisico della realtà. L’intuizione dei Greci fu di presentare i principi opposti, giorno e notte, ma anche lo stesso concetto di doppio, conciliati nelle forme della tragedia umana. Ad ogni modo, il senso della tragedia non significa voler risolvere ogni forma di dissonanza, di cui l’arte ne è un esempio esplicativo.
Oggi siamo abituati a separare il sogno e la sofferenza, l’entusiasmo e la creazione intellettuale, l’ubriachezza e il pensiero. Sosteneva Nietzsche che ogni coppia sta in un rapporto di reciprocità, e dunque è essenziale proporre razionale e irrazionale per permettere anche all’identità di evolvere, perché l’esistenza ha bisogno di esprimere tutta la sua creatività.
Mi sono occupato del concetto di identità, che ho inteso nelle sue forme evolutive a partire certamente dai suoi fondamenti e dalle regole sociali che servono a dare un senso alle comunità. Eppure non si possono disconoscere anche tutti gli elementi irrazionali che caratterizzano certamente la vita di ogni uomo e le sue forme aggregative: ho inteso rilevare il Genius loci di una terra, lo spirito, l’anima, il carattere di un luogo, legato a doppio filo agli aspetti che in esso si affermano, includendovi le opere materiali o immateriali, gli enti e gli individui cui si associa un legame storico-culturale che rende unica e immediatamente riconoscibile un’area.
Il Genius Loci in realtà è l’essenza spirituale che collegava la dimensione materiale a quella spirituale, rendendo sacro lo spazio che sotto la sua influenza risultava abitato da un soffio divino, un’anima. Il passaggio da compiere è la predisposizione dell’uomo a cogliere i significati più profondi delle cose, soffermandosi sui significati e i simboli sottesi al passato, accolti e sviscerati attraverso una predisposizione dell’animo, l’unione tra Apollo e Dioniso.
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