Il comportamento sociale dell’uomo si esprime attraverso l’interpretazione dei simboli costitutivi di una società creata dagli individui con le loro interazioni sociali, per cui la realtà sociale esiste nel contesto dell’esperienza umana. Secondo questo approccio, l’interazione fra individui è basata su azioni autonome orientate secondo il significato soggettivo che gli attori attribuiscono agli oggetti sociali, ovvero i simboli.
Questa teoria, elaborata da Herbert Blumer, considera importanti: 1) il significato, per cui l’uomo agisce nei confronti del prossimo in base all’attribuzione che ne ha dato; 2) il linguaggio, strumento che consente di identificare e negoziare il significato mediante dei simboli; 3) il pensiero, conversazione mentale o dialogo che modifica l’interpretazione individuale dei simboli facendo assumere un ruolo o immaginare differenti punti di vista.
Si realizza un processo con il quale gli individui definiscono il senso degli oggetti composto di due momenti: a) l’identificazione degli oggetti a partire dall’interpretazione del contesto in cui li si incontra; b) la riflessione dell’individuo con se stesso rispetto a ciò che ha osservato.
Gli individui usano le loro interpretazioni personali dell’altro per predire l’esito di alcuni comportamenti nella speranza di raggiungere i propri obiettivi. (1)
L’interazionismo simbolico trova in Blumer il suo massimo esponente. Era stato George Herbert Mead ad aver introdotto questo approccio, attribuendo all’interazione la costruzione della identità personale in quanto crescendo l’individuo diventa sempre più attento ai comportamenti, alle attribuzioni ed alle opinioni degli altri. L’importante è la creazione di significati nella vita e nelle azioni umane, perché si può comprendere il modo in cui il singolo agisce solo se si considera il suo comportamento all’interno del gruppo sociale al quale appartiene, poiché le azioni del soggetto coinvolgono anche gli altri membri del gruppo. (2)
In seguito, molti suoi allievi avevano rivolto il loro pensiero nella direzione della “teoria del ruolo”, elaborando un approccio scientifico generale del sé in rapporto alla struttura sociale. Secondo questa linea di analisi, le istituzioni sociali sono costituite dai ruoli ai quali gli individui si adattano: la famiglia è formata da padre, madre, figlio, fratello, sorella, e così via. È l’immagine funzionalista della società, specie se i ruoli sono determinati dall’istituzionalizzazione di norme e valori. Una parte del funzionalismo tenta di analizzare empiricamente le differenze che si possono notare nel comportamento degli individui, puntando all’insieme dei ruoli. Un individuo può essere simultaneamente moglie (per il marito), madre (per i figli), figlia (per i genitori), impiegata (per il datore di lavoro), dirigente (per il consiglio di istituto della scuola frequentata dal figlio), e così via. (3)
Sorge allora il problema: come si comporta l’individuo di fronte ai possibili conflitti che possono insorgere tra le diverse parti dell’insieme di ruoli? Ralph Turner offre una serie di proposizioni che cercano di predire in quali ruoli è più probabile che l’individuo trovi alloggio, cioè quali sono i ruoli nei quali l’individuo si identifica di più sentendovisi veramente se stesso e quali altri invece considera più superficiali.
L’interazionismo simbolico si sviluppò nella cosiddetta scuola di Chicago, che operò specialmente negli anni Trenta anche se la sua massiccia diffusione si registrò successivamente, negli anni Cinquanta e Sessanta, con l’emergere di sociologie alternative, critiche, radicali, contestative dell’establishment dominante legato al funzionalismo.
Quando si afferma l’interazionismo simbolico, l’analisi dell’azione sociale può essere intesa come attività capace di mettere in rapporto gli individui fra loro, nel più vasto contesto sociale. Ciò grazie soprattutto all’attribuzione di un significato a ogni fase o parte di tale azione, che viene espressa principalmente in forma simbolica. L’oggetto principale riguarda l’interpretazione di ciò che vuol dire il comportamento altrui. (4)
La conseguenza più evidente di una simile impostazione è l’importanza attribuita al soggetto nella costruzione di valori e principi che orientano l’azione. Ciò che emerge è il ruolo dell’individuo sociale, tale da rovesciare il vecchio rapporto durkheimiano tra società e singoli. Non è la società a condizionare l’agire individuale, ma è piuttosto quest’ultimo l’oggetto su cui concentrare l’indagine sociologica, con il ruolo del soggetto ricercatore che interagisce con il suo oggetto di studio.
In questo quadro, si collocano le dinamiche della vita quotidiana, terreno privilegiato dall’analisi interazionista che vede al centro della ricerca sul campo indizi, simboli e significati.
Per Blumer i significati sono prodotti sociali, creazioni formate e determinate dalle attività svolte dalle persone nel loro interagire. È l’essere umano che nella ricerca del significato delle sue azioni deve attivare un processo di interpretazione.
Nella prima fase, l’attore indica a se stesso le cose verso cui sta agendo (quelle che hanno significato): “la costruzione di tali indicazioni costituisce un processo sociale interiorizzato nel quale interagisce con se stesso”. Si tratta di un’istanza della persona che si impegna in un processo di comunicazione con se stesso. In secondo luogo, si sviluppa l’interpretazione per poter gestire i significati della sua azione in relazione con gli altri. Ed allora “seleziona, controlla, sospende, raggruppa e trasforma i significati alla luce della situazione di cui è parte”. In tal senso, l’interpretazione è “un processo formativo nel quale i significati sono usati e modificati come strumenti per la guida e la formazione dell’azione”. (5)
Sostiene Blumer che l’interazionismo simbolico è fondato su un numero di idee fondamentali (immagini originali), che rappresentano la natura dei seguenti problemi: “i gruppi umani o le società, l’interazione sociale, gli oggetti, l’essere umano come attore, l’azione umana e l’interconnessione delle direttrici dell’azione”. È il modo in cui l’interazionismo sociale vede la società e il comportamento. In queste dinamiche, ci sono gruppi umani intesi come soggetti che sono impegnati nell’azione, in molteplici attività, sia che si agisce singolarmente che in gruppo. Le attività svolte sono sempre entro situazioni determinate. Blumer intende considerare la società o i gruppi umani che esistono nell’azione e realizzano “una rappresentazione della società come azione”. Si tratta di individuare il processo complessivo delle attività, che in sociologia sono costituite da cultura e struttura sociale. La prima è definita come consuetudini, tradizioni, norme, valori, regole; la struttura sociale attiene a posizione, status, ruolo, autorità, prestigio. La vita di una società umana, afferma Blumer, “consiste necessariamente di un processo nel quale le attività dei suoi membri si adattano reciprocamente”. Parla poi della vita di una società costituita da individui interagenti, che attivano un processo che “forma la condotta umana”. (6)
Per Blumer un concetto fondamentale è la “definizione della situazione”, che coinvolge gli individui in rapporto fra loro. In pratica è questo il modo di reagire degli individui che tendono a interpretare le azioni altrui. Tuttavia vi è un’importante mediazione offerta dai simboli e dal significato delle azioni poste in condizioni di reciprocità tra di loro. Dunque gli individui sociali interpretano gli altri appunto per interagire con essi.
Nell’interpretazione di Blumer, l’interazionismo simbolico è una presentazione di gesti ed una risposta ai loro significati. Ovvero, è una parte o un aspetto di un’azione che “rivela l’atto più ampio del quale è parte” (mostrare un pugno potrebbe significare l’imminente possibile attacco). La persona organizza la sua risposta in base a ciò che i gesti significano per lui: il gesto ha un significato sia per chi lo fa che per la persona cui è diretto. Sostiene: il significato di un gesto “indica quanto la persona cui è diretto deve fare, quanto la persona che lo sta facendo progetta di fare, e l’azione comune che sorge dall’esprimersi delle azioni di entrambi”. (7)
Premesso che il comportamento sociale dell’uomo si esprime attraverso simboli, già nella coscienza dell’individuo (soggetto) l’io forma tanto il ‘sé’ quanto gli ‘altri’ (oggetto). Se la società è creata dagli individui con le loro interazioni sociali, ne consegue che quella realtà sociale esiste solo nel contesto dell’esperienza umana.
Secondo tale teoria, l’interazione fra individui è basata su azioni autonome orientate secondo il significato soggettivo che gli attori attribuiscono agli oggetti sociali, ovvero i simboli. Quindi gli attori individuali regolano il loro comportamento basandolo sul significato da loro attribuito ad oggetti e simboli. Queste complesse interazioni presuppongono che ognuno cerchi di interpretare e dare una spiegazione dal punto di vista dell’altro.
Un altro elemento è legato alla natura degli oggetti. I mondi esistenti per gli esseri umani e per i loro gruppi sono composti da oggetti, prodotti dall’interazione simbolica; sono fisici, sociali, astratti, ed ogni oggetto è “qualcosa che può essere identificato e cui ci si può riferire”, considerando che la natura di ogni oggetto “consiste del significato che ha per la persona per cui diviene tale”. Qui diventa importante l’introduzione del contesto e dell’ambiente, che Blumer definisce meglio “mondo”, per indicare il rapporto e lo sviluppo delle azioni dell’uomo: il comportamento umano va inserito entro il mondo degli oggetti, visti come “creazioni sociali formati e determinati dal processo di definizione e interpretazione interno all’interazione della persone”. (8)
Ultimo aspetto da considerare è l’essere umano che è da intendere come “organismo agente”, un essere umano oggetto della propria azione. Per divenire oggetto per sé una persona deve vedersi dall’esterno e lo fa mettendosi nella posizione degli altri. La persona diventa “destinazione o approssimazione della propria azione”. Ci vediamo così come gli altri ci vedono e definiscono. Si tratta sempre di interazione sociale, in cui “la persona si indirizza a se stesso come individuo e si dà risposte”. (9)
La visione dell’essere umano secondo la prospettiva dell’interazionismo simbolico riguarda l’organismo che si impegna nell’interazione sociale con se stesso dandosi indicazioni e rispondendo loro: si impegna in “un processo di autoindicazione in cui oggettiva ciò che nota, gli dà un significato e lo usa per indirizzare la sua azione”. L’azione dell’uomo consiste nel darsi una linea di condotta coerente con il modo in cui interpreta il mondo, considerando che la sua natura è di rapportarsi “alle situazioni nelle quali è chiamato ad agire accertando il significato delle azioni degli altri e determinando la propria linea di azione alla luce di tale interpretazione.” (10)
Ad ogni modo, sostiene Blumer, non è vero che gli schemi sociologici sono fondati su una società che esiste come ordine vivente costituito, perché certamente si presentano nuove situazioni problematiche rispetto alle quali le regole sono inadeguate. Quando ciò accade, ogni parte dell’azione va strutturata nuovamente e gli attori dovranno “costruire di nuovo le rispettive direttrici di azione e adattarle reciprocamente attraverso il processo duale della designazione e dell’interpretazione”. (11)
Per sintetizzare il pensiero di Blumer, si può dire che la società è formata da persone che vivono in “un processo di attività all’interno delle quali i partecipanti sviluppano direttrici di azioni legate alle molteplici situazioni incontrate”. Il processo consiste “nell’indicare agli altri cosa fare” e “nell’interpretare le indicazioni avanzate dagli altri”. (12)
Note:
- H. Blumer, La metodologia dell’interazionismo simbolico, a cura di R. Rauty, Armando, 2006, or. 1969.
- R. Cipriani, Interazionismo simbolico, Enciclopedia Italiana Treccani, 1992.
- R. K. Merton, Teorie e struttura sociale, Il Mulino, 2000, or. 1949.
- R. Cipriani, cit.
- H. Blumer, cit., pp. 42-43.
- Ivi, pp. 44-45.
- Ivi, p. 49.
- Ivi, pp. 52-53.
- Ivi, pp. 54-55.
- Ivi, pp. 57-59.
- Ivi, pp. 63.
- Ivi, pp. 67.
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