A Cosentini di Montecorice (SA), sabato 10 agosto 2024, alle ore 21:00, l’Associazione Euphòria presenta:
Vieni cca, facimo nu cunto.
Il dibattito sulle tradizioni del Carnuluvaro, cungree e zite prevede due momenti di confronto:
1) una Tavola Rotonda con Filomena Chiariello (Presidente dell’Associazione Euphòria), Antonio Severino (antropologo, laboratorio Annabella Rossi DiSPaC Università Salerno), Annunziata Di Rienzo (Università Roma La Sapienza);
2) la presentazione del volume collettivo: “Patrimonio Culturale del Cilento. Antropologia, Storia e Religiosità nei Viaggi della Memoria”, a cura di Ezio Martuscelli e Luciana Gravina, con interventi di Pasquale Martucci (sociologo): “Patrimonio culturale: la Confraternita della Socia”, Luigi Leuzzi (psichiatra e studioso di mito-archeologia): “I simboli identitari e le Confraternite”.
Nell’ambito dei Convegno si svolgeranno incontri con le fonti della tradizione e della cultura popolare cilentana e la partecipazione del Coro Euphòria.
Considerazioni sulle Confraternite
di Pasquale Martucci
Le Confraternite/Congreghe costituiscono una delle più importanti espressioni della religiosità popolare cilentana, la cui origine delle risale al VII secolo, quando si iniziano a formare le prime comunità religiose di laici. Solo verso la fine del XV secolo si consolidano nel territorio cilentano.
La loro missione era volta alla preghiera per i vivi e per i morti, alle opere buone per la salvezza delle anime proprie e di quelle dei confratelli. Tra le loro finalità sono da rilevare l’assistenza materiale e spirituale ai bisognosi, l’aiuto alle giovani spose che devono procurarsi la dote per sposarsi, ma anche forme di incentivo alle attività artigianali ed agricole.
La costituzione delle Congreghe è riconosciuta canonicamente in una parrocchia con formale decreto dell’Autorità ecclesiastica, con compiti regolati da uno Statuto e con una organizzazione al cui vertice ci sono un Priore e un Consiglio degli Anziani, detto dei Mazzieri, ovvero coloro che portano un bastone durante le solenni cerimonie.
Un tempo le Cungrèe cilentane si incamminavano a piedi per raggiungere i paesi limitrofi; oggi si viaggia con i pullman. Il campanilismo era esagerato ed esasperato, e spesso per una mancata precedenza o per un errato saluto si litigava in modo violento, soprattutto quando si era sotto l’effetto di alcolici che venivano offerti dalla popolazione con generosità.
Partendo dai paesi di appartenenza e per omaggiare i sepolcri, le Congreghe fanno il giro dei borghi più importanti, per sfidare le altre consorelle in una competizione canora inneggiante la vita e la passione di Cristo, della Madonna e dei Santi.
Il canto è una sorta di sublimazione della voce per elevare il corpo e metterlo al servizio della fede e della spiritualità; si tratta di un supporto espressivo dell’emozione, della pietà, della gioia o della tristezza, dell’estasi e della compassione che accompagna i riti e le cerimonie. Il canto è commovente e lamentoso, un appello al perdono, all’espiazione, all’adorazione reverenziale.
I canti dei Cumpràti (confratelli, appartenenti alle Cungrèe) sono caratteristici: riprendono le antiche melodie contadine, le laudi, che meditano sulla passione di Cristo nel periodo della Settimana Santa. In molte occasioni, oggi si intona il miserère in tono gregoriano melismatico: si tratta di un canto melodico che carica su una sola sillaba testuale un gruppo di note ad altezze diverse, modulando l’intonazione senza interrompere l’emissione vocale, con un preciso significato liturgico che esprime la gioia eterna e divina.
Il tratto distintivo delle Confraternite è l’abito indossato: una larga tonaca che ricorda le manifestazioni pubbliche di espiazione dei peccati del mondo. L’indumento essenziale è un camice bianco con cappuccio, che richiama da un lato la tunica indossata da Gesù nella Via Crucis e dall’altro il cappuccio inteso come protezione e conservazione dell’energia spirituale.
Tra gli altri elementi simbolici: un corto mantello (mozzetto), differente per ogni Cungrèa, che demanda alla “cappa magna” di un dignitario non religioso e rievoca la protezione, la difesa, l’impenetrabilità; il cingolo è la corda portata ai fianchi che richiama le funi con cui fu legato Cristo (si tratta di una corda con diversi nodi, di numero dispari, che ricordano i momenti della “Passione”); lo stemma, il “signum”, riporta l’effigie del Santo che caratterizza la Confraternita; un lungo bastone un tempo, insieme al cingolo, era simbolo di umiltà e penitenza (in genere lo porta il priore, i confratelli che ricoprono cariche importanti e i più anziani).
I colori, che da soli evocano e sostituiscono le parole, come veicolo di comunicazione a livello simbolico si situano verso l’alto (l’uomo che si colloca tra la terra e Dio) e verso il basso (in rapporto al corpo). Il rito si caratterizza per un inizio (l’opera di vestizione e il raduno prima di iniziare il pellegrinaggio), uno svolgimento (l’intera giornata con tutti i momenti di canto e preghiera e i movimenti ripetuti di anno in anno) e una conclusione necessaria per chiudere con profondo trasporto la giornata di passione e penitenza.
In occasione della ritualità delle manifestazioni cilentane, la sosta al sepolcro è suggestiva: il bacio (adorazione) che i confratelli a coppia in ginocchio eseguono davanti al Sepolcro, con tre inchini di cui due simultanei verso gli altari e uno tra due confratelli; i comportamenti dei partecipanti sono legati ai gesti, ai movimenti, alle espressioni, alla preghiera, al canto. Si è mantenuto in molti casi il battito disciplinae (flagellazione) con cordicelle: i confratelli si percuotono tre volte la schiena per espiare le colpe. Questa azione serve a purificare l’individuo e a provare la sua fede, ad espiare le colpe.
Nel comune di Montecorice sono ben cinque le Confraternite che il Venerdì Santo svolgono pellegrinaggi circolari, per visitare le chiese dei vari paesi che gravitano intorno al Monte Stella: il Santissimo Rosario di Montecorice, Maria Santissima del Carmine di Agnone, la Madonna del Rosario di Ortodonico, il SS. Rosario di Cosentini, l’Immacolata Concezione di Fornelli.
Le quattro frazioni di Zoppi, Fornelli, Cosentini e Ortodonico compongono un’unica comunità parrocchiale: S. Salvatore di Socia, che indica ancora oggi i Casali (tra cui anche Montanari, finché ve ne fu traccia) di quella considerata la Chiesa Madre. Il sigillo ufficiale della parrocchia pone al centro il Salvatore; intorno c’è la scritta Cosentini, Zoppi, Socia, Ortodonico, Fornelli.
Il toponimo socia sembra derivare da sors, soccia, chiova, socia (dialetto: ‘a chióva); per la prima volta appare in un documento del 1270. Attraverso unioni di famiglie e gruppi militari, i Longobardi avevano organizzato la vita comunitaria in associazioni indicate con il termine consortium, da sors (socia), la terra posseduta. Il termine chiova individua la parrocchia almeno dal 1500, dunque la realtà a carattere religioso; socia potrebbe essere la realtà associativa amministrativa.
Le Confraternite che si riconoscono intorno alla Chiesa Madre S. Salvatore di Socia, attualmente sono tre: la Madonna del Rosario di Ortodonico, il SS. Rosario di Cosentini, l’Immacolata Concezione di Fornelli. Fino alla fine dell’ottocento, insieme ad esse c’era Zoppi: oggi alcuni abitanti di quest’ultimo paese si aggregano a Fornelli.
Elemento centrale resta la forma aggregativa della Socia, per ragioni storiche e legate alla tradizione. Tutti concordano che andrebbe trovata l’unità, qualcuno ci crede ancora, ma ci sono difficoltà perché ogni paese vuole la sua Confraternita.
Ricevo dal prof. Angelo Paolo Perriello, che ringrazio, il seguente commento.
perriello.angelo@tim.it
La manifestazione proposta è di assoluta autorevolezza e rappresentatività. E’ un ulteriore momento annodato di tutela del prezioso patrimonio della cultura popolare in un momento in cui emergono élites che certamente si autoconfenzionano il mondo a propria immagine e con la sola forza finanziaria. Parlare del popolo, con il popolo e per il popolo è una virtù a molti ignota. Vivere le emozioni, i comportamenti aggreganti, i flussi di coscienza dei nostri alteri e orgogliosi cittadini del Cilento è ancora più “euforico” ed avvincente. Questi incontri di pubblica evidenza certificano la presenza di forze interiori, estetico espressive che si traducono nel mistero dello spirito che crea e costituisce una comunità oggi messa a rischio dai possessori dei media della comunicazione e dagli effetti devastanti della grande distribuzione. Complimenti vivissimi. Angelo Perriello.