Ricevo da Gianni D’Alessandro il seguente scritto critico rispetto ad un turismo che potrebbe essere distruttivo per la cultura dei territori.
Questa tematica solleva molti commenti e prese di posizione. Per questa ragione pubblico il suo intervento e due documenti da lui trasmessi, che credo valga la pena leggere.
Un cordiale ringraziamento Martucci per l’interessante documentazione che mi stai inviando (consentimi il rapporto amichevole).
Ecco alcune mie considerazioni sul turismo, spostamento di grandi masse di individui, più curiosi che interessati, fenomeno ampiamente diffuso in Europa, fino a creare disagi sul territorio urbano e sulle comunità ospitanti.
Il ministro Santanchè nel G7 esprime ai Grandi della Terra concetti con particolare attenzione a un turismo inclusivo e sostenibile, al rispetto delle comunità locali e all’ambiente, alla valorizzazione del capitale umano. Per quanto nobile lo spirito che anima il progetto, condivisibile, deve trovare attuazione nella realtà adottando una politica di prevenzione e di regolamentazione del fenomeno.
Parlare di turismo è una sfida di complessità crescente, sfida che diventa sempre più difficile da affrontare se ai problemi reali che questo fenomeno manifesta sia nella organizzazione che nella diffusione, vanno a sommarsi le azioni, gli intrecci di gruppi che non sempre operano nel settore che la comunità locale è costretta a subire.
E’ un tema spinoso, è un addensato di tematiche e problematiche molto complesse ma è anche un tema delicato. Il diritto all’alloggio, ad abitare la città, diritti acquisiti e irrinunciabili dalla comunità, la proliferazione di locazioni turistiche, la svendita del patrimonio pubblico, la congestione del traffico come la massificazione di piazze e strade, la gentrificazione dei centri storici, processo spesso ignorato, l’iperproduzione di lavoro precario, sono alcuni degli effetti negativi dell’estensione turistica, disagi che l’industria del turismo provoca sul territorio urbano e sulle comunità.
Matera, piccola città, con i Sassi risorsa turistica di significativo interesse, vive gli stessi problemi legati a questo fenomeno, comuni a molte altre città che vivono da sempre queste esperienze.
Una folla invade ormai da qualche anno la città, presenze piuttosto che attenti visitatori, interessati ai Sassi come Monumento piuttosto che come Documento.
Presenze di croceristi i quali, per la loro fugace apparizione non contribuiscono a creare benessere sociale e nemmeno sono portatori di flussi di reddito.
Aldo Musacchio nel Rapporto su Matera (siamo nel 1970), pur riconoscendo le possibilità della città di divenire centro di attrazione turistica, anticipava gli effetti rischiosi della turisticizzazione allertando l’ignara classe politica a non sottovalutare il rischio che si corre a convertire i Sassi in bene di consumo.
Sia ben chiaro. Le mie considerazioni non si pongono astrattamente contro il turismo; vogliono essere una voce critica al modello attuale, una spinta per la condivisione di esperienze a contatto con la comunità locale.
Non so se sarà possibile coniugare i diritti sociali ed economici della comunità con le richieste, a dir poco irrinunciabili, degli operatori nell’attuale modello turistico.
Nel mondo contemporaneo in cui la gestione, il tatticismo, la governance hanno soppiantato la politica classica, la strategia, è sicuramente difficoltoso recuperare un modello che possa favorire un turismo alternativo, rispettoso delle necessità della comunità e di un’esperienza turistica di qualità.
Ti ringrazio per l’attenzione e per la documentazione interessante che continuo a ricevere.
Allego copia del Manifesto SET e per quanto di tuo interesse alcune mie considerazioni sul ruolo che Matera avrebbe potuto assumere all’indomani della designazione a capitale della cultura.
Cordialità e stima
Gianni D’Alessandro.
Caro Gianni D’Alessio
sei assai critico rispetto ad un turismo che potrebbe essere distruttivo per la cultura dei territori. Hai ragione e ti senti impotente tuttavia…
Questa è la mia concezione che fa capo a ciò che è ancora un’incognita, al limite astratta, ma sento che è nell’aria che respiriamo come una specie di matta, un Jolly.
Occorre che io presenti la città di Matera, perché fosse fatta laude ad un’ombrato “Sasso”, anzi un monte di Sassi, una sorta di epitaffio che l’ha caratterizzata.
Oh poveri noi a causa di quel trentino Alcide De Gasperi che non seppe ritrarsi dal giudicarla come «la vergogna nazionale», se solo sapesse cosa si adombra dietro le false spoglie del passato!
La pianta del nucleo di Matera vista dall’alto si presenta con la stessa forma di un’omega greca. A questa lettera viene attribuita la valenza della conclusione di un ciclo o, comunque, del termine della vita. Nella particolare conformazione urbana della città si può notare un’inversione di questo significato. È interessante notare, infatti, come in passato i tetti a volte delle case servivano come loculi per la sepoltura: i vivi sotto terra e i defunti in superficie. Così riportava il cronista Verricelli nella sua “Cronica de la città di Matera” nel 1595: «in Matera li morti stanno sopra i vivi». Un posto magico, dunque, dalla valenza esoterica notevole che richiama alla mente il motto alchemico “come sotto così sopra” e mette in contatto simbolicamente il microcosmo con il macrocosmo e il sotterraneo con la superficie. Un concetto questo che ritroviamo anche nella formula del Padre Nostro “come in terra così in cielo”.
All’imbrunire gli abitanti accendevano i loro lumi al di fuori delle abitazioni, così allo spettatore che guardava dall’alto, i sassi si illuminavano come un cielo stellato; quindi a Matera, concludeva il cronista cinquecentesco, come i morti sono sopra i vivi, il cielo e le stelle si possono vedere al di sotto dei piedi degli uomini. In passato tale immagine aveva talmente impressionato i visitatori che un’interpretazione suggestiva farebbe risalire l’origine del nome di Matera al greco “meteor” ossia meteora, che indica proprio il cielo stellato.
Gli studiosi, invece, ricollegano il toponimo a “mater” ovvero alla “madre terra” e a “matheria”, termini che indicavano la legna da taglio o da costruzione, in riferimento alle zone boschive in cui la città sorgeva; altri invece ancora collegano il toponimo al termine ebraico “Me terah” che starebbe a indicare l’acqua pura. Come si può notare si tratta di ipotesi che celano significati fortemente simbolici giunti dall’oriente.
Matera può essere considerata a tutti gli effetti una città alchemica per la suddivisione in due piani; proprio per questa è conosciuta anche come la “città sotterranea”. Lungo tutto il centro storico corrono, infatti, un fittissimo dedalo di sotterranei, di cunicoli e anfratti: un’altra misteriosa città e specchio rispetto a quella presente in superficie.
In passato questo complesso sistema sotterraneo è stato utilizzato in maniera ingegnosa per la regimentazione delle acque; questa particolarità è stata presa in considerazione ed è stata determinante per l’attribuzione del riconoscimento di patrimonio dell’umanità. In quest’ottica l’ipotesi che il nome della città possa derivare, come detto, dal termine ebraico “Me terah” (acqua pura) assumerebbe una valenza particolare. Il concetto dell’acqua che scorre nel mondo sotterraneo dal punto di vista simbolico ha molti significati anche ambivalenti della vita. Per gli antichi le grotte, le gole profonde, le aperture nel terreno e le fenditure erano considerati delle zone di accesso al mondo dei morti. Per esempio è da notare che l’Acheronte ha una parte sotterranea del suo corso che poi sfocia nella palude detta Acherusia, giusto dove si collocava l’ingresso agli inferi (Odissea X,513).
Il principale Acheronte si trova in Epiro, regione nord-occidentale della Grecia, nei pressi della cittadina di Parga. È un immissario del lago Acherusia e nelle sue vicinanze sorgono le rovine del Necromanteion dell’Acheronte, l’unico oracolo della morte conosciuto in Grecia. [Mensile Mistero. Matera la città “magica” – Febbraio 2017 – Giuseppe Balena]
È stato detto del toponimo a “mater” ovvero alla “madre terra” e a “matheria”, termini che indicavano la legna da taglio o da costruzione, in riferimento alle zone boschive in cui la città sorgeva. Ma altri altri invece collegano il toponimo al termine ebraico “Me terah” che starebbe a indicare l’ “acqua pura” e questo ci porta a capire la sua forza, la sua capacità di reagire, fino al punto di risorgere.
Nella città di Chonai, che prima si chiamava Colossi, era vivo il culto di San Michele Arcangelo (Archistratega) correlato con la difesa delle acque, che aveva l’origine orientale ed era già diffuso dal III secolo in Asia minore, sulle coste e le isole di Grecia. In Asia Minore Sant’Arcangelo era appunto patrono delle acque curative. Inizialmente tutti i santuari micaeliti avevano sorgenti prodigiose.
Scrittore e agiografo bizantino del X secolo Simone Metafraste descriveva l’apparizione dell’Arcangelo a Cheretopa in Frigia che ha fatto sgorgare l’acqua miracolosa e che risale al I secolo.
Il tema del Miracolo dell’arcangelo Michele a Chonai (Τὸἐν Χωναῖς/Χῶναις Θαῦμα τοῦ Ἀρχαγγέλου Μιχαήλ) aveva notevole rilievo nella spiritualità orientale. Secondo la tradizione, il miracolo di San Michele a Chonai avvenne nel santuario a lui dedicato, dove i pagani volevano distruggerlo, deviando il fiume contro di esso. L’asceta Archippo di Erotopo con un grande fervore pregò l’Arcangelo San Michele che intervenne, spaccando con un fulmine la roccia e dando così all’acqua che sgorgava un nuovo corso. Così mise in salvo la chiesa, santificando per sempre anche l’acqua della sorgente.
Potrebbe accadere che “l’acqua pura” di Matera costituisca il suo baluardo, la sua risorsa per opporsi ai turisti, più curiosi che amanti della sua storicità, come erano quelli di Chonai che volevano distruggere il suo santuario.
Naturalmente queste mie parole che sorgono, come dal regno dei morti, non hanno peso ma, ma si tengano a mente…
I turisti che non si possono fermare per il loro apporto apparentemente incrementale economico, ma compromesso come rilevi giustamente Gianni D’Alessandro, assai critico rispetto a riguardo, assomigliano ai miliardari e spiego perché.
Secondo Forbes una cosa che cresce in Italia oggi è il numero di miliardari. Il primo fra essi è Giovanni Ferrero.
Uno studio condotto da parte di Ubs ha certificato che in Italia ci sono 62 miliardari: il patrimonio totale dei “super ricchi” italiani cresce più che in altri Paesi ed è aumentato del 23% in un anno. Pur non fornendo le identità dei miliardari, è facile desumere che l’elenco sia formato da chi occupa i piani alti della classifica dei più ricchi d’Italia stilata da Forbes, con in testa sempre Giovanni Ferrero, numero uno dell’omonimo gruppo della Nutella con un patrimonio di 43,8 miliardi di dollari.
In Italia ci sono 62 “super ricchi” stando allo studio condotto da parte di Ubs: il numero dei miliardari italiani risulta in crescita, così come il patrimonio complessivo, salito del 23% nel giro di un anno.
La ricchezza totale dei miliardari di tutto il mondo, arrivati a quota 2.682, è stimata in 14mila miliardi di dollari: una cifra più che raddoppiata negli ultimi dieci anni, a un tasso del 121% superiore rispetto al rialzo messo a segno dall’indice azionario globale. Stando all’analisi di Ubs la crescita non è dovuta all’aumento del numero assoluto di “paperoni”, bensì all’incremento delle rispettive fortune individuali. Link: https://initalia.virgilio.it/chi-sono-62-italiani-super-ricchi-98190
C’è chi scende e chi sale, i “paperoni”, ma “paperino” scende sempre mentre il furbo suo cuginastro Gastone, no, che può essere l’esempio dei miliardari.
E i turisti di Matera che anche loro sembrano invincibili, sono come i miliardari ma, potrebbe accadere qualcosa di imprevisto per opera di quei Sassi di Matera legati alle sorgenti d’acqua, lo spuntare di una Matta, un Jolly in favore di Matera.
Cordiali saluti,
Gaetano Barbella
Ringrazio Gaetano Barbella per il suo lungo e articolato commento alla documentazione trasmessa da Gianni D’Alessandro. Quando gli stimoli servono a produrre un dibattito franco e costruttivo sono apprezzabili.
Caro Pasquale Martucci
beati tutti gli artisti che, con la loro opere, fanno ben più di “lunghi e articolati commenti”.