Qualche riflessione sulla “Tomba del Tuffatore”, a partire dal volume di Marcello Scafidi: Tra il crepuscolo e l’alba, Arpeggio Libero Editrici, 2024
Nel 1968, in località Tempa del Prete a circa 1,5 km a sud di Paestum, viene riportata alla luce una tomba del V secolo a.C., al cui interno c’erano i resti e il corredo funebre di un uomo. Sulla lastra di copertura era raffigurato un giovane che spiccava il volo per tuffarsi in uno specchio d’acqua.
È la celebre Tomba del Tuffatore.
Partendo da ciò, Marcello Scafidi, che è esperto di beni culturali e si occupa di archeologia dei resti umani, ricostruisce, nel libro: Tra il crepuscolo e l’alba, una storia con al centro la morte di Batilao (l’uomo trovato nella tomba) avvenuta nel 471 a.C.
Si tratta di un romanzo storico che contiene in sé tra gli altri due aspetti: da un lato il tuffo nel passato di Poseidonia (Paestum); dall’altro la valorizzazione di un reperto archeologico che continua ad essere simbolo del Cilento ed è annoverato tra le risorse maggiormente conosciute ed ammirate del territorio.
La storia vede nelle pagine iniziali tre medici pitagorici: Simo, Adamante e Fedone, che scoprono il corpo dell’amico Batilao. I pitagorici all’epoca a Poseidonia erano invisi al governo della città che li accusava di empietà e blasfemia: la disputa era legata al rapporto anima e corpo, ai pianeti e alla corruzione dell’universo, alla relazione tra musica e numeri. In particolare, i seguaci di Pitagora affermavano l’esistenza della psichè, il soffio, l’ombra immortale che abbandona il corpo e vive nell’Ade: l’uomo è dotato di un’anima come gli Dèi, ma essa dopo la morte trasmigra in altri corpi umani o animali. Per i pitagorici la medicina era salute e ricerca di armonia; sostenevano che occorresse svolgere delle pratiche ascetiche, sia spirituali che fisiche, consistenti nella cura del corpo. Erano accusati per questo di non seguire l’insegnamento degli dèi dell’Olimpo, il culto di Asclepio e il potere curativo dei suoi sacerdoti: essi infatti profanavano i morti per cercare le cause delle malattie, che al contrario era dovuta all’azione degli dèi. Mettevano così in discussione le strutture politiche rappresentative della polis. Porfirio, nella “Vita Pythagorae”, riporta come il filosofo crotonese fosse osteggiato: “Sappiamo, o Pitagora, che tu sei uomo intelligente e sapiente; ma noi siamo contenti delle nostre leggi e vogliamo che restino così come sono”.
I protagonisti del romanzo si erano formati alla Scuola Medica Eleatica e si erano occupati dello studio dei corpi umani, e certamente la morte di Batilao non sembra loro naturale. Occorreva poi compiere un rituale per permettere al defunto di “trovare la giusta fonte dove abbeverarsi”. Ma era pericoloso svolgere la cerimonia perché il sacerdote di Apollo, Astifilo, e l’arconte-magistrato, Diocle, avevano sospetti sulle loro azioni: la decorazione delle pareti della tomba potevano costituire molte insidie.
L’autore offre alcuni spunti di riflessione su quello che sarà il dibattito intorno alla Tomba del Tuffatore. Nel racconto, gli amici pitagorici aprono la tomba e completano il lavoro: la scena del tuffo di Batilao, nella sorgente della divina Mnemosine, avrebbe ricordato il carattere divino dell’anima del defunto mettendo fine al suo peregrinare nel mondo terreno. Era il rito che permetteva la salvezza della sua anima. I protagonisti prelevano poi una parte del fegato dell’amico, che ripongono in un sacchetto con delle erbe per impedirne la putrefazione: avrebbero voluto svelare il mistero della sua morte.
Ho descritto questo lungo passaggio per evidenziare in che modo l’autore contestualizza il romanzo e come al centro ci fosse una questione dirimente, che riguardava i pitagorici e la loro volontà di spiegare le cose, in un racconto che invece concerne gli uomini e le loro debolezze che li spingono alle estreme conseguenze. Sarà poi il lettore a cogliere i ricchi ed avvincenti passaggi di una storia intensa, con tanti colpi di scena, tipica dei romanzi che lasciano fino alla fine con il fiato sospeso, e non sono per nulla scontati.
Intanto, rilevo i temi principali del lavoro di Scafidi, che certamente hanno al centro il rapporto tra “crepuscolo e alba” di un cambiamento e di una nuova conoscenza. Innanzi tutto, c’è Elea e Poseidonia, città che prosperavano con i commerci per mare e che erano organizzate con al centro la presenza forte degli dèi e di tutta una serie di miti che si concretizzavano in rituali opportunamente riportati.
È interessante la ricostruzione di una storia antica con i personaggi che si muovono nel territorio e mostrano la ricchezza di una civiltà; ma anche i sospetti e le sfide per il potere, gli incontri con Parmenide e Zenone tra gli altri; la ricerca di un sapere che parrebbe sfidare un assetto sociale determinato.
Tornando alla Tomba del Tuffatore, le immagini della lastra di copertura, con il tuffo del giovane nello specchio d’acqua, e dei pannelli laterali con scene di un simposio, rappresentano un unicum della pittura funeraria in Magna Grecia all’inizio del V sec. a.C.
La tomba fu portata alla luce nel corso di sistematiche campagne di scavo condotte da Mario Napoli, che ha scritto un volume su quel reperto ritrovato: La Tomba del Tuffatore (De Donato, 1970). Gli oggetti del corredo funebre, in particolare la lekythos attica, vaso per unguenti, unitamente alle considerazioni stilistiche, hanno permesso di far risalire la tomba al decennio compreso tra il 480 e il 470 a.C., nell’epoca aurea dell’arte pestana: venti anni prima era stato edificato il tempio di Atena (Cerere) e due o tre decenni dopo il celebre tempio di Nettuno.
Le scene raffigurate sulle lastre laterali rimandando ad un simposio. La copertura invece sembra attribuire al tuffo un significato non letterale, ma simbolico, il passaggio dalla morte all’aldilà. La piattaforma da cui si lancia il tuffatore, in posa atletica che sembra indicare un sorvolo verso una conoscenza non terrena, potrebbe alludere alle colonne d’Ercole, il confine del mondo, il simbolo del limite della conoscenza umana. Lo specchio d’acqua potrebbe voler rappresentare il mare. Nel significato etnoantropologico, il tuffo in mare sarebbe un antichissimo rito che prevedeva il tuffo/lancio di un membro della comunità che, attraverso la scomparsa tra i flutti, poteva superare una crisi personale o collettiva.
Si tratterebbe di una morte rituale, a cui segue la rigenerazione: è un simbolo del “trasumanare”, dell’attraversamento cioè dei limiti concessi agli uomini. Il salto si raccorderebbe ad un altro tipo di tuffo, quello nel “mare” del vino e nell’eros di cui si fa esperienza nel simposio: in questa prospettiva, si tratterebbe di una visione unitaria che esprime sia il superamento del confine tra vita e morte, sia il rapimento estatico. (L. Mancini, Poseidonia e la Tomba del Tuffatore, in U. Eco, a cura di, “Antichità. La civiltà greca. Arti visive. Storia della civiltà europea”, https://www.treccani.it/enciclopedia/poseidonia-e-la-tomba-del-tuffatore).
Gabriel Zuchtriegel propende per la rappresentazione metaforica del passaggio dalla vita alla morte. Questa interpretazione, che oggi è accettata quasi unanimemente, non è però priva di problemi. Il principale è che un linguaggio metaforico che parla della vita e della morte non fa parte del repertorio immaginativo attestato dalle fonti archeologiche e letterarie, almeno non in questa fase così remota dell’arte antica. I pittori e gli scultori dell’età classica erano in grado di creare opere di grandissima finezza e complessità, ma sempre partendo da una base concreta, narrativa, sia essa “mitologica o reale”.
Mentre Mario Napoli interpretò i dipinti della tomba come unico esempio rimastoci della grande pittura greca, altri come Massimo Pallottino e Ranuccio Bianchi Bandinelli insistevano sul carattere “coloniale” e “provinciale” delle pitture e sull’interdipendenza da modelli etruschi, popolazioni stanziate a nord del fiume Sele, e dell’esistenza di una tradizione locale di tombe dipinte a Paestum. Questo fatto potrebbe poi attestare la profondità e reciprocità degli scambi culturali e artistici tra le civiltà.
Una considerazione ulteriore, che riesce a rendere ancora più incerto il quadro, è che l’atmosfera del tuffo in un contesto astratto e stilizzato non sembra rispondere alle esigenze naturalistiche delle tombe funerarie che caratterizzavano gli Etruschi. Da rilevare poi che, circa ottant’anni dopo, Paestum fu conquistata dai Lucani che erano portati ad arricchire di decorazioni le loro tombe.
Si tratterebbe di interferenze culturali di mondi differenti ma contigui, dal momento che Poseidonia era una città di frontiera, tra la colonia greca e il mondo etrusco campano. La tomba sarebbe un prodotto della convivenza di culture diverse che fondono le loro identità.
Nel 2018, un Convegno internazionale a Paestum, dal titolo: “La Tomba del Tuffatore: rito arte e poesia a Paestum e nel Mediterraneo intorno al 500 a.C.”, introdusse nuovi approcci per indagare la tomba e il contesto sociale e culturale cui essa apparteneva. Con la crescente attenzione dedicata a studiare le forme artistiche legate ai modi in cui valori culturali e idee vengano prodotte, percepite e trasmesse, è messa in discussione la visione tradizionale dell’arte greca. La storia dell’arte, del pensiero e della cultura deve cercare di superare barriere tra discipline e settori e mettere in dialogo archeologia e filologia, arte e rito, letteratura e musica, filosofia e religione, antichità e contemporaneità. (La Tomba del tuffatore, a cura di, A. Meriani, G. Zuchtriegel, Argonautica, Collana di studi del Parco Archeologico di Paestum e Velia, Volume III, Edizioni ETS, 2021)
Al fine di affrontare le tante questioni ancora aperte, un supporto potrebbe provenire dalle nuove modalità d’applicazione delle tecnologie archeometriche per lo studio e la conservazione dei beni culturali.
Una considerazione finale sul romanzo è che esso offre uno spaccato di storia antica, con personaggi che si confrontano e si scontrano e proiettano in un mondo che ogni persona intende conoscere e che lo sguardo dell’autore permette di rendere manifesto.
Per queste ragioni, il volume è stato oggetto di riflessioni, giovedì 27 febbraio 2025, durante il Convegno che si è svolto a Capaccio-Paestum, dal titolo: “La Tomba del Tuffatore tra archeologia e letteratura”, per approfondire ulteriori aspetti archeologici e valorizzare il patrimonio storico del territorio.
Si tratta di riproporre un mondo passato che Marcello Scafidi mirabilmente è riuscito a ricostruire da appassionato studioso di antichità.
il 3 giugno 1968 gli operai la trovato e il sovrientente Mario Napoli si prese il merito. Basta con il prof che succede anche nel 2025.
Accade sempre così. Grazie