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Quando si realizza un saggio, l’autore si pone almeno due problemi: il primo è di dare valore scientifico al lavoro; l’altro è di cercare di far emergere delle idee nuove rispetto al dibattito in corso sull’argomento trattato.

Lo studioso di mitoarcheologia e psichiatra Luigi Leuzzi ha scritto un testo dal titolo: “Considerazioni in tema di communitas nel Cilento: dalle origini alle transazioni evolutive”. E poi un sottotitolo: “Origini, significati e simboli del Cilento tra tradizione e cambiamento”.

Sembra quasi di imbattersi in un passato in cui i titoli erano esplicativi di speculazioni epistemologiche, magari per confutare e mettere in discussione idee precedentemente formulate. L’autore, con un approccio critico, traccia un cammino che intende presentare un concetto, quello di communitas, entrato prepotentemente nel dibattito sulle società attuali. E ciò perché si sente il bisogno di comunità rispetto alle tendenze globalizzanti; del resto molte ricerche dimostrano che se si abbandona la comunità lo si fa per motivazioni economiche (lavoro, in primis) piuttosto che per la perdita di appartenenza al proprio paese o borgo che dir si voglia. I legami territoriali restano e sono sempre saldi.

Parto dalla definizione di communitas cui si riferisce Leuzzi, evidenziando i concetti di sistema, scambi e relazioni, libertà di autodeterminazione: “La comunità non è semplicemente la somma delle parti e quindi dei membri. (Quando un membro) opera in un sistema aperto è soggetto ed oggetto di un continuo scambio di azioni e retroazioni per cui bisogna definire gli obiettivi operativi quale frutto di relazioni circolari ed allo stesso tempo definire il ruolo (…) non trascurando la libertà di autodeterminarsi di ciascun membro”.

Ad una prima impressione, sembra individuare una comunità in evoluzione, anche se è certamente necessario, come egli fa, partire dalla complessità per affrontare il concetto di communitas.

Le comunità hanno origine millenaria e si affermano quando le genti abbandonano il nomadismo e diventano stanziali: l’autore parla del momento di transizione, quando le donne acquisiscono una rilevanza nella definizione di uno “spazio comune”, da preservare e con il tempo organizzare.

Riprende Luigi Zoja che rileva come, in quella fase, “la donna avrebbe imposto con preveggenza (…) una attenzione agli individui vulnerabili e quindi anelli fragili delle comunità”. Le stesse donne “avrebbero vincolato i cacciatori dopo la predazione a riportare parte della cacciagione all’interno del villaggio per conservarla e ridistribuirla a tutti i membri della comunità”. L’osservazione è certamente la costruzione di un atteggiamento verso l’altro fondato sullo scambio, munus, di cui ha trattato Roberto Esposito e certamente Marcel Mauss, con il concetto di dono.

Il nucleo originario di ogni società è la famiglia (familia), costituita da individui che hanno relazioni di parentela in genere basate su rapporti coniugali: la sposa e i figli del pater familias, che esercitava il controllo/dominio su tutti gli altri componenti, inclusi eventuali servi e schiavi. Il passaggio successivo è l’unione di famiglie che costituiscono una comunità, una organizzazione che, in un determinato territorio, ha un linguaggio comune, una struttura geograficamente limitata, in cui gli abitanti hanno le stesse caratteristiche ed analoghi comportamenti, un senso di appartenenza e di condivisione.

Nell’accezione della communitas tradizionale, ci si riferisce a “legami” basati sulla famiglia estesa, sulla parentela e sull’amicizia, e poi sui piccoli villaggi e sulle aggregazioni rurali.

Per rilevare il concetto e renderlo esplicito, si sono studiati a lungo i termini communitas e sociětas, intesi come coppie concettuali antinomiche: le prime sono da intendere come organismo naturale, reale, dotato di una libertà oggettiva; le società sono un meccanismo artificiale, ideale, in cui si manifesta la libertà soggettiva. Nelle comunità, la volontà è essenziale: cresce e matura organicamente; nelle società, la volontà è arbitraria, tendente ad un pensiero artificiale è guidata dal progresso. I tipi di condotta sono: affetto, amore, riconoscenza, fedeltà (comunità); ricerca del proprio interesse, presunzione, comprensione, amicizia, avidità, brama di profitto, ambizione, brama di sapere (società). Queste considerazioni di sintesi si riferiscono alle tesi di studiosi, quali: F. Tonnïes, “Comunità e società”, Ed. Comunità, 1963, or. 1887; E. Durkheim, “La divisione del lavoro sociale”, Ed. Comunità, 1971, or. 1893; M. Weber, “Comunità”, Donzelli, 2016, oggi il primo di cinque volumi pubblicato da Donzelli nel 2022, dal titolo: “Economia e società”, postumo, contenente l’edizione critica della Max Weber-Gesamtausgabe, pubblicata tra il 1999 e il 2015.

Il Cilento del novecento è stato caratterizzato da una commistione di termini: cultura contadina, comunità, quella che a partire dal contesto di riferimento ha segnato una particolare identità del territorio. È emerso il senso comunitario, l’identificazione delle popolazioni intorno a valori e aspetti di vita semplici e immediati, racchiusi nella cultura quotidiana: le parole e i fatti, le leggende narrate che parlano di Dio e della morte, della superstizione e del mito.

È interessante osservare che le ricerche realizzate sulle comunità rimandano ad una forma territoriale identitaria (chiamata cilentanità), un contesto in cui sono evidenti i valori, gli usi e le tradizioni, che permettono di definire una propria specificità. Su tali questioni, il riferimento è alle ricerche realizzate da Pasquale Martucci e Antonio Di Rienzo, ed in particolare: “Identità cilentana e cultura popolare”, 1997; “Le comunità cilentane del novecento”, 2005; “Cilentanità”, 2008.

Individuando le principali caratteristiche, riconducibili a: atteggiamenti e abitudini (di vita); adattamento (nel rapporto con l’ambiente); appartenenza e attaccamento (ai luoghi e alle persone); subalternità (al potere); accoglienza e disponibilità (nei confronti dell’ospite), si è trovata una coincidenza tra i contenuti rilevabili nella concezione di cilentanità ed in quella classica di comunità rurale, ovvero cultura contadina, popolare. Si trova cioè in perfetta consonanza con tutte le teorizzazioni sociologiche ed antropologiche della comunità classica.

Dove il processo di modernizzazione non è stato particolarmente rapido, sono emersi sentimenti di identificazione collettiva che hanno determinato modi di vita in comune immediati e contatti personali semplici. Gli elementi comunitari contribuiscono alla coesione della popolazione, che avverte la consapevolezza che nella “cultura materiale” si possa trovare il senso del valore identitario. Ma la “cultura materiale” è anche rapporto con l’immaterialità, con superstizione e fatalismo. Questa asserzione trova nell’immaginario collettivo l’idea di una comunità che vive in sé stessa con i propri valori: pensiamo, infatti, a chi sostiene che i racconti di streghe o diavoli o di vita quotidiana servivano a fini educativi, cioè a trasmettere il senso del lecito e del proibito nella società. Partendo da ciò si rileva il simbolico di Leuzzi: diventa importante, cioè, il rapporto con la religione e le forme espressive/rituali che mantengono i legami comunitari.

I Culti Mariani extraurbani, che nel Cilento sono individuati nelle Sette Sorelle, “sarebbero l’esito di una aggregazione inter-comunitaria che riguarda un territorio allargato che nella Civiltà d’altura riconosce un destino comune”. È quella che l’autore chiama “Res lego”, “vincolo ancestrale” di questi luoghi atavici con un nume che permette coesione e communitas.

Entrando nello specifico, scrive: “Il volto megalitico di S. Nazario del Nilo ti interroga ed è una domanda di senso ed allo stesso tempo suggerisce una possibile azione sull’altro da sé che non potrà rimanere inevasa”. Qui diventa essenziale il concetto di reciprocità, dunque l’ambito relazionale, tra io e l’immaginario, che “ci attrae proprio mentre siamo messi di fronte ad un volto numinoso originario che insiste in un tempo iniziale; un ‘altrimenti che’, capace di fondare in maniera basale una dimensione etica da cui non si può prescindere per sostanziare dinamiche di scambio comunicativo di tipo coesistentivo e comunitario”.

Un altro esempio è offerto a proposito della visita ai sepolcri che avviene il Venerdì Santo nella zona del Monte Stella. Sostiene: quel monte “in antico detto Cilento contiene l’idea della circolarità (“circum-ambulazione”, nell’espressione di Domenico Nicoletti) che determina uno spazio ed un tempo immanente in cui mentre le confraternite si scambiano le visite delimitano un recinto sacro che a partire da un tempo zero unisce le varie comunità del Monte Cilento in un afflato originario”.

La religione è dunque un aspetto determinante. La Vergine Maria, sostiene Leuzzi, mostra “corrispondenze eidetiche con le icone della Madonna del Santuario del Granato e del Monte Sacro; con la mano sinistra ostenta uno scettro conformato a stelo con frutto di melograno, simbolo di rigenerazione e fertilità, e con la destra regge un Gesù bambino con globo crucifero segno di potere in stretta relazione con il genius loci declinato al femminile”.

Le comunità cilentane si caratterizzano per una profonda devozione, che si estrinseca in una religiosità popolare molto sentita e partecipata, legata essenzialmente al calendario liturgico, agli atti di fede e di preghiera, attraverso il servizio ritualizzato di culto che si deve a Dio. Ed intorno ai momenti cerimoniali, si sviluppa una ritualità organizzata ed istituzionalizzata. Si tratta di dare vita alla tendenza a ricercare il trasporto in uno strano connubio tra sacro e profano, dove il sacro scende al livello del popolo e lo rende partecipe dell’importanza dell’attaccamento al divino, in cui si realizzano le manifestazioni che oggi conferiscono dignità all’aggregazione festiva e la rendono dotata di simboli e riti veramente caratteristici.

Il senso della religiosità popolare è naturale: molti paesi sembrano vivere la presenza del Santo, subire l’influenza di quell’appartenenza al divino che regna nei vicoli, nei centri storici, nelle oscure stradine dei borghi. I luoghi e la solitudine degli stessi rimandano proprio ad un’immagine misteriosa, alla tangibilità di un’idea che qui è viva, reale. Ecco perché l’autore riconduce al ricco apporto simbolico che caratterizza il Cilento e le sue comunità, e di cui si è occupato in altri importanti lavori di mitoarcheologia: “Architettura Sacra del megalitismo”, 2019; “Mitoarcheologia del Cilento e della Lucania occidentale”, 2021; “Megalitismo del Cilento e della Lucania Occidentale”, 2023; “Il codice morfologico del Megalitismo nel Cilento. Immagine e trascendenza”, 2024.

L’autore rileva un simbolo interessante nella “Madonna del Cilento”, opera dell’artista Mario Romano, affissa in una edicola consacrata a Ponte Barizzo: essa costituisce un esempio illuminante di come “rappresentare una identità di un popolo o più specificamente una ecclesia ed allo stesso tempo il patto simbolico in cui inscrive la devozione al culto Mariano nelle antiche terre del Cilento e della Lucania Occidentale, in stretta relazione con una progettualità comunitaria radicata nel passato ma orientata verso il futuro”.

Per una più puntuale significatività: “In fondo si parte da una interrogazione etica e si mantiene un circolo virtuoso che insiste in un tempo immanente che è capace di trascendersi nella contemporaneità di un presente che accoglie il passato e lo accompagna nel transito verso un futuro irriducibile in quanto etico e comunitario”.

I temi di rilievo del contributo di Leuzzi sono: individuo/sistema/contesto; relazione; circolarità. Lo sguardo è sempre attento alle dinamiche locali, che denotano un amore individuale che proietta nella dimensione di quella definita: “anima mundi”, o quella che Christian Norberg Schultz chiama il “genius loci”. Lo studioso realizza un saggio: “Genius loci. Paesaggio ambiente architettura” (Electa, 1986, or. 1980), in cui si pone la questione di come l’architettura si inserisca nel territorio e attraverso quali modalità può trasformarlo in “luogo”, ovvero quel centro visto come un sito con una precisa identità, sempre riconoscibile, con caratteri che possono essere “eterni o mutevoli”. L’architettura deve rispettare ed integrarsi con il luogo, prestando ascolto al suo “genius loci”, queste le conclusioni.

Sul queste tematiche nel 2023 ho pubblicato per Susil Edizioni un volume: “Del Cilento e del suo Genius Loci”, in cui affermavo che al centro della dimensione uomo/territorio c’è il genius loci, l’immaginario sociale, le espressioni tradizionali e legate alla cultura popolare di un territorio ricco anche di silenzi, colori, odori, suoni, di una cultura millenaria. Si parte dal megalitismo, di cui Leuzzi fornisce numerosi esempi anche in questo saggio, e dalle varie civiltà che si sono succedute ed hanno lasciato il segno, alle opere materiali e immateriali, agli individui che si sono affermati grazie ad un legame storico-culturale che rende unico e riconoscibile il Cilento.

La comunità di cui tratta Leuzzi parte certamente dalla tradizione: quando ci sono scelte libere e possibilità di decidere, gli uomini hanno davanti a sé funzioni sociali precostituite, cui dovranno adeguarsi per assumere delle responsabilità. Ed allora passano “dalla condizione di oggetti di tutela a quella di soggetti degli obblighi, dei doveri di responsabilità e dei poteri”. Per molto tempo le prestazioni di lavoro furono inquadrate nello schema paternalistico del rapporto padre-figlio e l’alleanza matrimoniale ebbe la funzione “di sanzionare unioni di carattere politico ed economico”. La citazione è di Fernand Braudel, “Il Mediterraneo: lo spazio, la storia, gli uomini, le tradizioni”, Bompiani, 2017, or. 1985.

Il senso del ragionamento di Leuzzi trova rilievo in un capitolo: “Transazioni evolutive”, che si occupa dell’Ermeneutica del soggetto. Viene individuato un soggetto “che si rapportava all’alterità in passato” e che ora diviene “oggetto nudo perdendo l’aura che lo investiva di mistero”. Quel corpo ora è parte di una “catena di montaggio che sostituisce gli istanti con altri sostituti istantanei”. Il sistema educativo “interculturale” e la relazione possono continuare ad esprimere “una esperienza comunitaria”.

Occorre riferirsi all’evoluzione delle comunità, affidata  alla “costruzione e rappresentazione della realtà”, in un contesto in cui l’identità possa essere riproposta e ricostruita, piuttosto che avere caratteristiche di staticità. L’identità permette di realizzare un processo che faccia interagire elementi differenti che vedono coinvolti la storia, la vita socio-economica, i comportamenti e la psicologia degli stessi, ed anche le istituzioni, il diritto che va ad inserirsi ed influenzare con i suoi disposti la società. Si tratta di una rinegoziazione continua: la formazione delle identità, o più correttamente la loro riformazione, diviene un compito che dura per tutta la vita, senza arrivare mai a conclusione. C’è sempre da svolgere un lavoro di ri-aggiustamento, poiché le condizioni di vita, il ventaglio delle opportunità cambiano in continuazione.

L’identità, in una società in continua evoluzione “mantiene costante un rapporto tra struttura e relazione come ci indica Francesco Remotti” (Leuzzi), è  intesa come “costruzione sociale”, che si realizza attraverso l’interiorizzazione di oggetti sociali e delle componenti normative, in considerazione che ogni individuo è frutto della propria cultura e società, nonché della propria esperienza di attore che si adatta alle relazioni sociali, in un mondo definito dalla libertà, creatività e modernità.

È necessario favorire l’interdipendenza tra questi elementi, che producono le azioni che le moderne società esercitano su loro stesse e su ciò che le circonda; inoltre, le società moderne devono acquisire quel livello di soggettivazione riconoscendo l’interdipendenza di tutti i livelli dei comportamenti umani, reintroducendo i sentimenti, le relazioni e il riconoscimento dell’altro in quanto soggetto.

Il cambiamento è rappresentato dallo sforzo dell’individuo di diventare attore, di mettersi al servizio della sua esigenza e del suo desiderio di affrontare un universo in movimento. Si tratta di un soggetto culturale in grado di ritornare padrone del proprio destino, capace di cambiare la propria realtà a partire da sé e in relazione con gli altri.

Sull’elemento soggettivo, l’autore così si esprime: “Ognuno di noi dovrebbe lasciarsi andare ed accogliere ed essere accolto in una relazione di fiducia gli aspetti emozionali e per questo intangibili ma insostituibili proprio mentre l’istituzione richiede un supposto sapere specialistico e ci inserisce in una rete di competenze e relazioni che si affollano al punto tale di creare una barriera di fraintendimenti comunicativi e di molteplici interazioni incomprese”.

Nel saggio proposto, Leuzzi si avvale di un approccio che utilizza “una modalità eidetica” e, citando Edmund Husserl e Martin Heidegger, si affida ad “un modello fenomenologico ed esistenziale”. Questa precisazione introduce i tanti studiosi che sono a supporto delle sue tesi e che legittimano molte concettualizzazioni applicate al Cilento, il vero oggetto di studio, con i suoi simboli e i significati esistenziali che permettono l’affermazione della communitas. George Dumezìl, George Bataille, Daniel Goleman, Roberto Esposito, Byung Chul Han, Ludwing Binswanger, Hans Georg Gadamer, Martin Heidegger, James Hillman, Emmanuel Levìnas, Paul Ricoeur, Massimo Recalcati, sono solo alcuni nomi che delineano un percorso tra antropologia, filosofia, psicologia.

Credo di poter condividere con Luigi Leuzzi una possibile prospettiva, che si risolve nel ripensamento di una nuova identità/cilentanità in una comunità che si confronta con le nuove generazioni, incontrando l’alterità e lavorando sull’interdipendenza e sul noi soggettivo. Ciò significa intraprendere e agire, non abbandonarsi al fatalismo e alla rassegnazione, creando ed operando non solo per se stesso ma soprattutto per l’affermazione della propria comunità.

Marco Aime parla oggi di comunità inclusive che devono garantire una maggiore partecipazione: è centrale l’elemento del noi (cum) “condivisione, comune, cooperazione”. Si deve agire sul bene comune nelle comunità di cittadini. L’antropologo usa la metafora del ponte: “il ponte deve unire ciò che si tenta di dividere. Ci sarà qualcuno che tenterà di abbatterlo, ma altri cercheranno di ricostruirlo unendo nuovamente gli individui in comunità”. (M. Aime, “Comunità”, Il Mulino, 2019, p. 127)

La società cilentana, attraverso la sua storia e le sue tradizioni, deve puntare ad un’identità tra tradizione e modernità, perché i cilentani sono soggetti e non più individui gettati nella comunità senza meta e senza futuro.

Pasquale Martucci

(Prefazione al volume di Luigi Leuzzi: “Considerazioni in tema di communitas nel Cilento: dalle origini alle transazioni evolutive”)

2 Responses to “Sul concetto di communitas”

  1. Antonio

    Grazie allo Psichiatra Leuzzi per avere scritto un interessante saggio e grazie al Sociologo per la splendida prefazione

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