Qualche riflessione sulle crisi del modello liberal-democratico, le tendenze nazionaliste e populiste, le democrature, che partendo dalle diseguaglianze ed esclusioni sociali porterebbero alla negazione dei principi democratici.
Il cambiamento sociale oggi si sviluppa rapidamente e non senza problemi, perché le accelerazioni improvvise causano disagio e paura nella percezione delle persone. E ciò perché siamo abituati a modifiche non radicali o repentine, per la voglia di certezze; infatti, anche quando le situazioni impongono modifiche, le stesse vanno realizzate senza brusche fratture ma con accomodamenti su situazioni preesistenti. Il cambiamento è auspicabile perché permette trasformazioni che incidono sulle strutture e sui suoi modelli di organizzazione sociale. È il processo sociale che produce il passaggio verso una società più progredita, in cui lo sviluppo si realizza attraverso varie tappe in lunghi intervalli di tempo.
Oggi il cambiamento causa dinamiche a volte impreviste nelle regole di una democrazia come sistema di governo, fondate sul “costituzionalismo” occidentale. Questo modello è stato “esportato” in tutto il mondo ed attuato secondo un sistema di regole: elezioni democratiche, divisione dei poteri, libertà di espressione. Eppure, non mancano le critiche e le difficoltà dovute in parte all’evoluzione della liberal-democrazia: il mondo ha perso un equilibrio garantito dalla condivisione di punti di riferimento razionali, per affidarsi ad appartenenze culturali particolari, come l’islamismo radicale, oppure l’antioccidentalismo, nazionalismi e populismi.
La veloce affermazione delle tecnologie e l’avvento dei “consumi”, la globalizzazione, hanno visto la popolazione limitata e controllata perché ha percepito la negazione delle condizioni essenziali di cultura e vita sociale, oggi caratterizzate da incertezza, rischio e insicurezza.
È il paradosso di una cultura post-moderna dove le istituzioni che avevano promesso più sicurezza hanno creato l’opposto, facendo sorgere la consapevolezza che il mondo in cui viviamo sia fuori controllo. Le cause sono individuabili nella globalizzazione, nella circolazione di persone e merci, nella crisi della civiltà-mondo, quello capitalistico, definito finanzcapitalismo (Gallino), che affida la vita politico-sociale al mercato finanziario, con un ruolo rilevante delle banche che determinano le scelte degli Stati. Si è posto al centro il capitale con il potere di decidere cosa produrre, di controllare chi ha diritto ad un lavoro, di stabilire come organizzare il lavoro, di trovare i prezzi degli alimenti ed a chi destinarli, di decidere quali malattie curare e a chi destinare le cure. Si persegue solo l’accumulazione di denaro con lo scopo di realizzare altro denaro. Tutto ciò ha prodotto diseguaglianze di reddito e ricchezza, con la subordinazione al calcolo economico di ogni dimensione dell’esistenza.
Questo sistema è entrato in crisi e la reazione è stata la stretta sul sociale, con tagli ai settori essenziali quali: sanità, istruzione e servizi pubblici. Ci sono state conseguenze in termini di previdenza, occupazione, reddito disponibile per le famiglie, che ha fatto emergere nelle persone una forte critica che potrebbe indirizzarsi verso altre modalità di gestione del potere, attuate in maniera meno democratica.
Uno studio dell’Intelligence Unit dell’Economist (EIU) del 2023 dimostra che solo l’8% della popolazione mondiale vive in una “democrazia piena”, mentre il 40% conduce la propria esistenza sotto un regime autoritario, trovandosi sostanzialmente in un limbo tra democrazia e autocrazia. Ciò è avvenuto dove il processo di transizione democratica non è ancora finito e dove leader di estrema destra hanno trasformato i loro Paesi in autoritari, sfruttando la crisi sociale per sospendere le libertà fondamentali dei cittadini. Anche negli Stati occidentali la tendenza è verso l’autoritarismo o quanto meno si produce un arretramento dei processi democratici, come le elezioni o la dialettica tra i partiti. Questa sfiducia è alimentata dai media, ma anche dalle tendenze di un “pensiero dominante” definito “unico”, in cui le leadership politiche, utilizzando la sfiducia nei confronti del sistema e lo scontento sociale, attuano tutti gli strumenti per gestire le istituzioni democratiche. (Marco Tarquinio, https://www.ecodibergamo.it/)
Un fenomeno iniziato in America Latina, passato per l’Europa dell’Est, l’Asia, l’Africa, sembra oggi caratterizzare anche le più consolidate democrazie occidentali. È la democratura, un regime politico autoritario che, pur avendo le caratteristiche della democrazia, ovvero elezioni e multipartitismo, prevede che il governo di un Paese nelle scelte attui il programma di un unico partito, con il controllo degli organi di garanzia, ad esempio un Parlamento allineato che non esercita le sue funzioni legislative, oppure una magistratura assoggettata al potere di chi governa, con l’intera vita politica ed informativa controllata da un sistema che soffoca le opinioni e il libero dibattito. Quando al potere accedono leader populisti, le democrazie diventano prima democrature e poi rischiano di diventare autocrazie.
Pare che Eduardo Galeano abbia coniato la parola democratura, per riferirsi ad elementi democratici e autoritari all’interno di un modello di “democrazia ristretta” o di “dittatura costituzionale”. Anche il saggista Predrag Matvejevic descriveva i regimi formalmente costituzionali ma di fatto oligarchici, attraverso la crasi di democrazia e dittatura (democratura), con un uomo solo al comando. (https://www.treccani.it/vocabolario/ricerca/democratura/)
Nel 2020 Pierre Rosanvallon, nel libro: Il secolo del populismo, sosteneva come l’ascesa elettorale di partiti radicali, definiti “populisti”, permetteva di rilevare caratteristiche essenziali e generalizzabili a numerose situazioni. Si parte dalla differenza tra élite oligarchiche e popolo: esiste una separazione tra l’1% più ricco e il restante 99%, ed allora si verificano attacchi populisti diretti contro le democrazie “liberal-rappresentative”, preferendo esercitare strumenti di “democrazia diretta” oppure contestare “il governo dei giudici”. La sua riflessione riguarda il “popolo unico”, che si realizza con l’appropriazione del potere da parte di un leader che si erge a rappresentante di tutti. Temi importanti sono: il “protezionismo economico”; la relazione tra emozione e politica con la crescente diffusione delle teorie del complotto; l’affermazione di una “personalità populista”, caratterizzata dall’utilizzo delle emozioni popolari per plasmare una strategia elettorale. Le due principali sfide sono l’eliminazione delle élite consolidate, l’odio verso gli altri, soprattutto immigrati.
Tra le cause dei populismi, vi è certamente il venir meno delle tradizionali reti sociali che ha prodotto lo spaesamento dei cittadini, ora ripiegati su un’idea di nazione che deve affrontare le tendenze omologanti e globalizzanti, utilizzando anche metodi cruenti. Si è diffuso il dominio sull’altro, accettando sistemi neo-imperiali che possano legittimare le identità culturali attraverso la lotta, in un contesto di nazioni in contrasto fra loro. C’è stata la ripresa di una competizione aggressiva e una messa in discussione della “geo-politica” vigente, che in passato ha predisposto regole di compromesso e di continuo accomodamento tra gli Stati.
È messa in discussione la koinè culturale, oggi è percepita come livello “burocratico”, cioè regole, proclami e controlli formalistici, che alla distanza favoriscono un ripiegamento in termini individualistici ed egoistici, anteponendo i desideri personali e particolari al contesto più generale e violando regole e strutture socio-democratiche che dovrebbero considerare il bene comune.
A lungo, le nostre società hanno affrontato le problematiche sociali e individuali, spesso contrapposte, ovvero il prevalere delle esigenze più generali o la tendenza a ricercare l’affermazione e lo spirito dell’individuo. L’individualismo promuove il raggiungimento di fini che riguardano l’autonomia del singolo, la creazione e la sperimentazione di sé stessi, producendo lacerazioni sociali, diseguaglianze o addirittura esclusioni o disgregazione collettiva. Jean-Jacques Rousseau, nel Contratto Sociale, rilevava la tendenza dell’uomo a favorire gli interessi personali, attraverso la “sottomissione alle passioni” e prestando scarsa attenzione “all’autonomia della ragione” (rispetto delle leggi). Quando le passioni prevalgono sulla ragione, certamente si producono fratture gravi che portano a malcontento e proteste, a volte drammatiche e cruente. Poi accade anche che, sulla spinta di una visione legata al “particulare” e agli interessi di pochi, qualcuno ne approfitta per perpetrare azioni di conquista ed annientamento dell’altro, riducendo la moltitudine in una condizione di assoggettamento.
Si è parlato spesso di liberismo, che dal pensiero liberale eredita l’assunto che la massima utilità generale è garantita dalla libera competizione, ma che si avvia verso una deriva che tocca le libertà di espressione, associazione, eguaglianza di fronte alla legge, su cui si basano i principi ispiratori delle Costituzioni occidentali, partendo dalle Dichiarazioni dei diritti dell’uomo e del cittadino delle rivoluzioni americana e francese. La recente trasformazione è verso il neoliberismo e libertarismo, termini che riconducono ad un uomo che agisce in proprio e, in rapporto con gli altri, demanda il potere all’autorità attraverso forme di democrazia diretta ma non rappresentativa. La critica è alla gestione e amministrazione della democrazia. Hayek parlò di “demarchia”, in cui i modelli democratici sono ritenuti oggetto di degenerazione, lesive della libertà del cittadino, e determinano la costituzione di caste o gruppi oligarchici: qualsiasi sistema basato su forme di collettivismo (dunque assenza di libertà individuale) permette la sopravvivenza di un’autorità centrale che può portare ai totalitarismi. Hayek tornò alla ribalta negli ultimi decenni del Novecento con l’ascesa di partiti conservatori (gli esempi sono Regan e la Thatcher), anche se si dichiarò non conservatore perché quella tendenza non si adatta ai cambiamenti e alle relazioni umane; criticò anche il paternalismo e il nazionalismo del conservatorismo, l’esercizio del potere tradizionalista e antintellettualista.
Tutte queste argomentazioni permettono di osservare la più stretta attualità, che si concretizza nella guerra, ovvero nel volere assoggettare intere popolazioni, che vivono anche condizioni di disagio e precarietà e sono spinte a chiedere l’intervento di un uomo solo al potere, dimenticando la lezione dei primi decenni del Novecento con l’avvento di pericolose dittature. A riflettere bene, sono stati proprio i disagi e le difficoltà sociali a favorire l’intervento di autocrazie che hanno prevalso sulle forme democratiche, ancora oggi le condizioni più auspicabili nelle nostre società.
Si sono studiati questi fenomeni scomodando la tendenza innata dell’uomo incline alla violenza più che al dialogo; allargando il campo si è parlato di volontà di pochi che intendono assoggettare al loro volere la moltitudine; si sono interessate scienze economiche, sociali, antropologiche; si sono osservati i cicli storici per rilevare come nella crescita della civiltà molte tendenze barbariche continuano a resistere, nonostante lo sviluppo di diritti e convivenze civili che dovrebbero realizzare altre e differenti dinamiche.
Oltre alla dimensione individuale, la vita di ognuno è caratterizzata dall’esistenza di moltissime relazioni sociali, attraverso le quali ciascuno, come è scritto nella nostra Costituzione, “svolge la propria personalità” esercitando un’ampia gamma di libertà collettive da parte di gruppi di persone. Le libertà si esercitano appieno quando una pluralità di soggetti sono accomunati da un unico fine, che non si esaurisce nella difesa di una sfera di autonomia individuale ma è volto alla concezione che la “libertà individuale” non deve entrare in conflitto con la “libertà collettiva”. Per Zagrebelsky occorre trovare un equilibrio nel rapporto tra queste due forme di libertà che si concretizzano nell’assunzione di responsabilità, coniugando ed integrando il particolarismo con le problematiche legate alle comunità di individui, e soprattutto cercando di sensibilizzare le persone alla solidarietà rinunciando ad alcune delle proprie libertà per il bene della collettività.
Dunque, la libertà individuale si esercita entro il rapporto individuo/comunità, in cui ogni persona non può esistere senza considerare i suoi legami culturali e sociali e le relazioni con gli altri, secondo modelli che mutano nel corso della storia, avendo presente che l’individuo ha bisogno della società e che quest’ultima deve preservare l’autonomia dell’uomo nel rispetto però delle leggi alla base della civile convivenza.
Credo che le recenti dinamiche di accelerazioni dei cambiamenti vadano considerate soprattutto nell’ambito della commistione di economia e politica. Alcuni studiosi recentemente hanno rilevato l’occupazione delle gerarchie da parte di pochi, in dissenso con le aspettative che la comunità assegna loro. L’elemento culturale (in termini antropologico-sociale) diventa pertanto marginale man mano che si diffondono esigenze sociali globali, con l’uniformità di abitudini, regole e comportamenti. Si realizza pertanto una tendenza di un singolo che ricerca un cambiamento di status, relegando lo sviluppo collettivo a mera finzione e comportando la ricerca ossessiva della riuscita personale per elevarla a valore.
Si è sviluppata una profonda diffidenza verso i politici; molti cittadini hanno perso fiducia nel Governo e nelle Istituzioni democratiche, disinteressandosi della cosa pubblica. In questo scenario si è affermato il populismo che ha promosso una politica basata sull’emozione, sulla paura e sulle promesse impossibili da attuare; il malcontento sociale è stato capitalizzato sfruttando le paure delle persone per ottenere consenso politico. Inoltre, il controllo dei mezzi d’informazione, TV, giornali e la manipolazione dei social media hanno fatto il resto.
La crisi delle democrazie è causata da numerose ragioni. La prima è la crisi economica, determinata a partire dal 2008, che vede una crescita bassa in molti Paesi, un debito pubblico alto, così come una elevata disoccupazione giovanile. L’insoddisfazione sociale vede il fenomeno preoccupante della riduzione della classe media e dell’aumento delle povertà: tutto ciò rafforza i partiti anti-sistema, inducendo molti governi a rincorrere i loro programmi. La seconda ragione è la minaccia terroristica, con l’accentuazione dei radicalismi ed estremismi che portano i governi a cercare un delicato equilibrio tra sicurezza e privacy, tra protezione e libertà. La stessa emergenza rifugiati e il fenomeno più generale dei migranti sono fonte di preoccupazione: le reazioni sono i nazionalismi e l’innalzamento di muri ed espulsioni. La terza ragione deve fare i conti con le reti sociali e le nuove forme di comunicazione. Ormai la democrazia non è più rappresentativa: i politici hanno un rapporto diretto con gli elettori attraverso i social, dove tutti possono esprimere emozioni, impressioni, giudizi più o meno sensati, più o meno convincenti. La stampa non è esente da colpe perché troppo spesso cavalca gli umori dell’opinione pubblica.
Una modalità che potrebbe contrastare l’attuale situazione è muoversi sulla creazione e ricorso a un corpus legislativo solido, per evitare l’esercizio del potere sugli altri: quell’insieme delle norme e delle sanzioni volte a prevenire e a punire gli atti devianti e a ridefinire anche quelle leggi che rischiano di diventare categorie obsolete e non del tutto applicate.
Per credere ancora nella democrazia, specie nel nostro Paese, è necessario attuare una serie di riforme che si potrebbero così individuare: a) potenziamento e sviluppo della dimensione europea, attraverso decisioni più rapide e meno vincolanti, in quanto uno Stato da solo non è in grado di reggere le sfide globali; b) un nuovo criterio di selezione della classe dirigente, soprattutto politica, che non possa prescindere dal merito, perché persone senza una preparazione specifica e adeguata non possono assumere ruoli decisivi per il governo del Paese; c) la giustizia dovrebbe passare necessariamente per una forte riduzione dei tempi dei processi; d) interventi per la riduzione della burocrazia e delle articolazioni dello Stato, ed in particolare prestare attenzione all’autonomia differenziata che invece di migliorare la qualità dei servizi aumenterà i centri di spesa; e) interventi sul fisco introducendo meccanismi più semplici e soprattutto più equi, imponendo imposte progressive a tutti i redditi: di lavoro, d’impresa, di capitale.
In sostanza, visti i tempi, è necessaria un’azione di riforme in società ritenute organizzate e moderne, caratterizzate da “incertezze” e “rischi”, che vanno affrontate anche attraverso reazioni forti nei confronti di chi nega i diritti e propone sistemi anti-democratici.
Un esempio lampante è il trumpismo e altre forme di gestione del potere che sembrano dilagare. Accettare l’idea di un uomo al potere di un grande Stato produce chiusure ai mercati, tendenze nazionaliste e soluzioni inidonee ad affrontare problematiche politiche, economiche e sociali complesse. La sua visione presta attenzione alle risorse umane e materiali, associate insieme e legate ad uno stesso obiettivo economico, ed applica un metodo “populista” che ha caratteristiche di autoritarismo e di estremismo, faciloneria, disinvoltura e improvvisazione, ma che rischia di catturare il sentimento di gran parte del popolo. Ricoprendo ruoli di responsabilità pubblica, la sua azione causerà certamente profondi cambiamenti e non si sa in qual direzione.
Qualcuno sostiene che in una società globale non è pensabile affidarsi all’uomo forte che gestisce il potere, eppure gli esempi dimostrano che quel potere, associato a strumenti di distrazione di massa e propaganda informativa, anche attraverso l’uso di tecnologia al servizio di pochi, potrebbe agire consolidando ancora di più gli appetiti economici e l’accumulo di ricchezza, a discapito di popolazioni relegate ai margini, all’aumento delle povertà, delle diseguaglianze, degli stessi diritti individuali e collettivi.
La democrazia non è data una volta per tutte: i suoi valori riconducono ad una sovranità che è del popolo che può esercitare una potestà in forme di partecipazione diretta o indiretta, influenzando le decisioni politiche che riguardano tutti.
Nell’ambito della nostra democrazia sono garantiti: le libertà individuali (pensiero, espressione, religione, movimento); la partecipazione popolare (partecipazione alla vita collettiva attraverso il voto o forme di protesta per far sentire la propria voce); l’eguaglianza politica (davanti alla legge e contro ogni discriminazione); lo stato di diritto (un sistema giudiziario indipendente che protegge i diritti fondamentali di tutti i cittadini, compresi coloro che esercitano il potere); la libertà di stampa e di espressione (operare senza censure, esprimere le proprie opinioni, esercitare un controllo sulle decisioni politiche); l’alternanza politica (attraverso elezioni libere e giuste che assicurano il controllo su ogni accentramento di potere e rischio di dittature).
Si tratta di principi che vanno ricordati con forza per sostenere una cultura democratica diffusa ed impedire che l’esercizio del potere non sia di un unico soggetto politico che possa dimenticare i limiti che sono stati conferiti nella costruzione storica del progresso e della civiltà.
Tornano in mente gli insegnamenti dei padri della democrazia, che si battevano per l’assenza di privilegi di nascita e di ceti chiusi, oltre che per le opportunità offerte a tutti di partire dallo stesso livello nella competizione sociale.
La democrazia sia come struttura e regime politico che come esercizio sulla società civile, costumi, idee e vita intellettuale, sono i principi su cui si fissano le regole per poter bilanciare i poteri ed assicurare il consolidamento del migliore dei sistemi ancora oggi vigenti. È necessario però produrre una riflessione sugli attuali modelli, per proporre e creare le condizioni di affrontare ma rifiutare con forza le tendenze neo-imperialiste e permettere di combattere le disuguaglianze e le negazioni dei diritti.
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