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Il nostro Paese conosce il triste fenomeno dello spopolamento specie nelle zone più interne. Ciò accade per il problema della denatalità, e il  conseguente aumento della popolazione anziana, per la mancanza di lavoro, per la difficoltà di avere strutture e servizi adeguati ad una esistenza da vivere nei paesi d’origine.

L’Italia è un territorio di piccoli comuni: il 70% ha meno di 5.000 abitanti, mentre il 25% ha addirittura meno di 1.000 abitanti.

I piccoli comuni non sono solo nelle aree interne del meridione, ma anche nelle aree alpine ed appenniniche e nelle basse pianure del Nord. I dati attualmente disponibili che variano di anno in anno (vari istituti di ricerca) dimostrano che dal 1951 a oggi, la popolazione nei comuni maggiori è aumentata del 30%: da circa sedici ad oltre venti milioni di abitanti. Nelle città maggiori, l’aumento è stato del 49% (da 16 a quasi 24 milioni); in quelli periferici e ultra-periferici si è registrato un crollo negli ultimi 70 anni, rispettivamente del 18% e del 26%. Ovvero: da 6,7 milioni di abitanti censiti agli inizi degli anni cinquanta a 5,4 settant’anni dopo.

Verificando l’andamento ISTAT del 2023 (dati del 21 ottobre 2024), è possibile rilevare che le nascite scendono a 379.890 (-3,4%) sull’anno precedente; un ulteriore calo demografico più sensibile si riscontra nei comuni delle aree interne del Mezzogiorno: variazione di circa il 5% in meno sull’anno precedente, con la riduzione della popolazione in quattro comuni su cinque.

La popolazione residente in Campania, definita sulla base del Censimento aggiornato al 31 dicembre 2022 (dati pubblicati il 13 maggio 2024), ammonta a 5.609.536 residenti, in calo rispetto al 2021 (-14.884 individui; -0,3%); più della metà della popolazione vive nella città metropolitana di Napoli (53,1%). La diminuzione rispetto al 2021 è frutto dei valori negativi del saldo naturale e di quello migratorio interno. È vero che in Campania, a differenza del resto del Paese, i nati sono lievemente aumentati (44.469, +1.066 rispetto al 2021); tuttavia il tasso di mortalità è cresciuto dal 10,8 per mille del 2021 al 10,9 per mille del 2022. L’età media si è innalzata rispetto al 2021 da 43,6 a 43,9 anni. Gli stranieri censiti sono 251.996 (+12.006 rispetto al 2021), il 4,5% della popolazione regionale, anche se nelle zone interne (comuni con una popolazione compresa tra 1.001 e 5.000 abitanti) il decremento si è avvertito.

In Campania su un totale di 550 comuni, quelli con meno di 5.000 abitanti sono 343 (48,2% e vi risiede l’11,1% della popolazione) e quelli con meno di 1.000 abitanti sono 78.

Dall’analisi delle caratteristiche fisiche dei comuni emerge un’elevata presenza di quelli collinari (57,1%) nei quali vive più della metà della popolazione (55,8%); in quelli di pianura (19,6%) vive il 38,2%. Meno di un comune su quattro (23,3%) è classificato come montuoso e vi risiede il 6,0% della popolazione campana.

Osservando le differenze tra il 2022 e il 2021, si nota che nei piccolissimi comuni il processo di invecchiamento è più accentuato, con un’età media di 50 anni; si registra il tasso di natalità più basso: 5,4 nati per mille abitanti, e il tasso di mortalità più elevato: 18,4 per mille; il tasso di natalità aumenta al crescere dell’ampiezza demografica dei comuni fino ai 50mila abitanti. Man mano che aumenta la classe di ampiezza demografica, diminuisce l’età media. L’insieme dei comuni con popolazione compresa tra 20.001 e 50.000 abitanti presenta la struttura per età più giovane: età media di 42,7 anni. I dati della dinamica naturale evidenziano la vivacità demografica tipica di una popolazione più giovane per i comuni tra i 10.001 e 20.000 abitanti e quelli tra i 20.001 e i 50.000 abitanti, presentando il più elevato tasso di natalità (rispettivamente 8,3 e 8,5 per mille) e il più basso tasso di mortalità (9,7 e 9,8 per mille).

Le aggregazioni per zone altimetriche subiscono un calo demografico, soprattutto quella relativa all’area montuosa; se al contrario la classificazione altimetrica è incrociata con quella litoranea si evidenzia una minore diminuzione. Se la popolazione dei comuni di montagna interna registra i cali più marcati, la variazione è altrettanto evidente nei comuni della collina interna, ma più contenuta  per quelli della collina litoranea; i comuni di pianura mantengono una media invariata.

Da questa mole di dati, si può rilevare che lo spopolamento dei centri minori situati in zone disagiate, lontane dai grandi centri abitati, è un fenomeno che ha bisogno di politiche e strumenti adeguati per invertire la drammatica tendenza del calo demografico.

Queste località in pochi anni sono condannate a scomparire per la fuga dei giovani verso il centro-nord e l’estero: i dati che abbiamo visto dimostrano la velocità di questo fenomeno. Si tratta di borghi destinati alla rovina se non si prendono i dovuti provvedimenti da parte delle autorità competenti: per frenare la fuga dei giovani occorrono incentivi adeguati, tenendo esercizi commerciali aperti, cercando di favorire chi è disposto a prendere la residenza sul posto e a mettere su famiglia, tagliando le tasse o addirittura fornendo risorse economiche per il mantenimento delle strutture abitative, dei monumenti, dei beni comuni in generale, musei, luoghi di cultura. (P. Zocconali, Lo spopolamento dei centri minori, Newsletter dell’ANS, 31 agosto 2024 – N. 10/2024 anno ventiduesimo)

Il sociologo Zocconali, che da tempo si occupa del fenomeno dello spopolamento, fa l’esempio del turismo: nelle numerose piccole località ci sono case padronali vuote o poco utilizzate, boschi adatti alla realizzazione di camping o parcheggi di camper, che potrebbero ospitare villeggianti, per attirare questa tipologia di turisti. Si avverte la necessità di rigenerare le comunità attraverso la formazione: accogliere nel miglior modo possibile i turisti con strutture e personale dedicati all’accoglienza.

In effetti, tra le misure che andrebbero potenziate ci sono il finanziamento di investimenti per tutela dell’ambiente e beni culturali, la mitigazione rischio idrogeologico, la salvaguardia e riqualificazione urbana dei centri storici, la messa in sicurezza di infrastrutture stradali e istituti scolastici, promozione e sviluppo economico e sociale, insediamento di nuove attività produttive. (https://www.ifelcampania.it/)

Nei prossimi sguardi, mi dedicherò a considerazioni più specifiche sul territorio cilentano.

4 Responses to “Sguardi sociologici 3 – Spopolamento, qualche numero”

  1. Alessandro

    Buongiorno Dottor Martucci, interessante lo studio e l’analisi sullo spopolamento. Il problema i riguarda personalmente poiché da poco abito in un borgo di non più di una trentina di residenti. dove il paese più vicino è Semproniano che dista tre kilometri ma presenta le stesse criticità che lei evidenzia nel suo studio. Le risposte al problema sono chiare e le istituzioni dovrebbero intervenire investendo risorse per i giovani sostenendo iniziative turistiche nell’ambito naturale del paesaggio. grazie per l’articolo

    • Pasquale Martucci

      Grazie. È certamente da approfondire attraverso strumenti metodologici che si rivolgano alla complessità del fenomeno.

  2. Sergio Mantile

    Molto interessante il tuo articolo, che dovrebbe spingere operatori e studiosi, e segnatamente i sociologi, ad esperire concretamente, in sinergia con le comunità locali, strategie di sopravvivenza e rinascita culturale e sociale. I tuoi studi sull’identità evolutiva nel Cilento sono effettivamente in tale direzione.

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  Categoria: ricerche territoriali

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