Il dantista Mario Aversano, di cui sono da apprezzare l’originalità degli scritti e le tesi veramente innovative, ha impiegato 50 anni, attraverso un lavoro durissimo, nella decodifica di Dante, dal primo all’ultimo verso. È oggi disponibile il libro: M. Aversano, “Dante poeta della pace. Il canto I dell’«Inferno»: come leggere la «Commedia»” (Genesi, 2019), che offre un saggio del nuovo modo di spiegare la “Commedia”, e fa anche da apripista ad un lavoro che proseguirà con i principi di base e una serie di documenti che hanno permesso una svolta notevole nell’interpretazione del sommo poeta.
In questo volume, l’autore si dedica al commento del I° canto dell’«Inferno» ritenendo l’inaffidabilità delle note che hanno da sempre caratterizzato la Divina Commedia. Ma Aversano fa di più: produce una introduzione in cui sintetizza il nuovo approccio allo studio di Dante, che deve distinguersi dal vecchio modo di considerare il poeta “arretrato, reazionario, polemico, visceralmente di parte, vendicativo, arcigno, insensibile”. Qui la tesi si fa più interessante: “si destinano alla classica damnatio anche le ricerche che ricompongono le reali fattezze del suo volto”, riproponendo un profilo “severo indubbiamente, ma anche sereno, dolcissimo e luminoso perché sorretto dalla speranza”, ovvero il contrario della ritrattistica tradizionale che non conterrebbe valide prove testimoniali.
Nel 2003 Aversano diede l’annuncio della sua scoperta durante il LXXVI Congresso internazionale della “Società Dante Alighieri”, Siena, 25-27 settembre 2003, con la prolusione: “Dante e l’uomo del Rinascimento”, individuando Dante tra le figurazioni dell’Allegoria del Buon Governo, dipinto di Ambrogio Lorenzetti che si trova all’interno del Salone della Pace del Palazzo Pubblico di Siena.
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